Adesso che la partita si gioca tutta sul fronte del lavoro, tra disoccupazione che non arretra, Jobs Act governativo, vertenze con botte in piazza, Maurizio Landini è come un fornaio che impasta la farina. A suo agio a casa propria, fra le sue cose, a far quel che meglio sa fare.
E, certo, non può essere che scontro totale tra l’autoreferenziale Capo del Governo e chi, invece, concepisce se stesso come parte di un gruppo, «persone da tutelare e da cui traggo forza. Di un popolo, se vogliamo ancora usare questa vecchia, bella parola». E Landini è, in effetti, un vecchio di soli cinquantatre anni. Vecchio per attaccamento ad antichi valori, non poi tanto antichi pensando a quando ancora avevano corso, lontanissimi se si pensa a quanto passino per superati.
Quanto a lui, prese le botte al corteo per le acciaierie ternane, pronto a fronteggiare Matteo Renzi sulle politiche del lavoro, prepara lo Sciopero Generale del 14 Novembre a Milano e del 21 a Napoli. Pronto a tenere botta contro il nuovo, quasi inarrestabile, uomo della provvidenza. Quasi.
Nel tentativo di reinventare una sinistra altra rispetto all’estinto Partito Democratico, che più si riempie di voti e meno esiste in quanto tale, molti lo vorrebbero impegnato a ridar vita ad una sinistra che ormai da molti anni rimedia solo sonore sconfitte o miserabili contentini. Landini è di un’altra pasta. Almeno così si è dimostrato sinora, anche nello scontro con proprietà e dirigenza FIAT. Ma l’uomo che Sergio Marchionne si sogna di notte non ha in animo di perder tempo con polpette di risulta, fatte appallottolando assieme pezzi di pdexpcipdsds, un po’ della spappolata Sel orba di Nichi Vendola in exitu, una spruzzata di rifondaroli e comunistitalianimadeindiliberto, qualche fuoriuscito Cinquestelle, realtà associative e territoriali sparse… Ci sono sondaggi che attribuiscono ad una sua formazione la dimensione del 10 per cento, ma, per ora, pensa all’impegno in corso. “Contro il lavoro non si va da nessuna parte”. Parole in cui c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico. Vecchia Emiliaromagna, etichetta rossa. “Gli interessi dei lavoratori non sono rappresentati dal Governo”, insiste. E ribadisce: “Diventando Segretario della FIOM ho preso l’impegno di fare questo. Intendo continuare a farlo”. Per ora. Di sé, e dell’Italia, ha capito una cosa: “Non voglio essere il capo di una minoranza di peso. Il nostro Paese ha bisogno di essere radicalmente cambiato, e in fretta. E chi vuole cambiare l’Italia non può mirare a stare all’opposizione”.
Sul suo modo di comportarsi pesa il ricordo delle radici, della storia personale. Erano un gruppo di ragazzi, lavoravano in una Cooperativa di Reggio Emilia “all’aperto, faceva freddo d’inverno, abbiamo segnalato il disagio. Non che volessimo lavorare meno, volevamo vedere riconosciuta quella difficoltà. Abbiamo chiesto alla Cooperativa di affrontarla”. Replicano che è giusto, ma c’è questo problema, e quello, e quell’altro… “Mi alzo e dico: ‘Abbiamo la tessera del medesimo partito. Però ho freddo lo stesso’. Lì ho capito che il sindacato deve rappresentare le condizioni di chi lavora senza guardare in faccia a nessuno”. Cambiare la fabbrica per cambiare il mondo. La FIAT, il sindacato, la sinistra assente, è un suo librointervista di tre anni fa. Titolo riferito alla vicenda Fiatmarchionne, che spiega tutto Landini. La centralità del lavoro. Partire dal concreto allargando viavia lo sguardo al contesto generale. Una sinistra latitante. Che, oltretutto, nel frattempo, è diventata un po’ troppo simile alla destra.
Ma, comunque, non demorde. Fa, da buon artigiano, il suo lavoro, quello di guidare la più importante rappresentanza sindacale italiana. Non vende fumo, non si crede di essere il salvatore della Patria. Semplicemente prova a salvaguardare la dignità degli operai. Cioè di tutti.