Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto;
è quanto mi hanno dato al posto di un fucile
(Philip Roth)
Mannaggia alle ricorrenze ed alla memoria! L’attenta Redazione del Quotidiano cui nulla sfugge (mannaggia!) mi sollecita ad occuparmi dell’amara ricorrenza di domani 17 febbraio. Ricorrenza vuol dire il ritorno periodico di un fatto o di un fenomeno. Aiuta la memoria che sbiadisce i ricordi e dovrebbe rinnovarne motivi e ragioni con riflessioni adeguate. Che sarà questo 17 febbraio? Ricorre il trentennale (nostalgia canaglia! no) della più gigantesca, diffusa ed estesa esplosione della corruzione nel nostro Paese dal secondo dopoguerra. Come passa il tempo, 30 anni. Tempus fugit… Allora ero un giovane indignato e speranzoso ricercatore alla ricerca dell’Arca dell’Alleanza poi perduta che nuotava in una mare scudo crociato poi, purtroppo per il Paese, dissoltosi in tutte le formazioni politiche fino ad oggi. Oggi vivo con un realismo laico, per cui noi umani siamo quella roba lì ed inutile illudersi. Il che non vuol dire contrastare con coerenza i prezzi delle proprie scelte. Oltre è troppo. Ho ripensato a quel periodo e mi sono interrogato su ciò di cui mi occupavo. Ed il ricordo va su riflessioni e ricerche sui migranti, ad organizzare Scuole di formazione socio-politica per migliorare la qualità del personale pubblico, con capacità e legalità, credendo allora come oggi al bene comune. Ed avevo appena licenziato per l’Editore Franco Angeli di Milano la prima ed unica ricerca la mondo sulla fabbrica siderurgica Italsider di Bagnoli, Napoli, con prefazione, mi preme dirlo, di Alain Touraine, uno dei più influenti sociologi internazionali, il cui incontro resta una delle cose migliori della vita. A parte gli amori. Insomma un proficuo periodo di studi e ricerche, rabbia e voglia di riscatto.
Il fenomeno che esplose in quel ’92 si chiamò ‘Mani Pulite’, e poi in gergo ‘Tangentopoli’, divenuto in seguito il più gigantesco e controverso fenomeno di corruzione della/nella politica dal dopoguerra in Italia. L’arco di tempo passato ha storicizzato diverse dinamiche e pratiche che nel tempo offesero buona parte del popolo italiano i cui cascami non risolti registriamo oggi con angoscia e sgomento. Difatti, molti sperarono che politica e società comprendessero. Al contrario, dopo iniziali evocazioni manettare liberatorie della rabbia popolare accumulata verso una politica magnona, cominciarono fughe e ripensamenti, dinanzi all’evidenza di una rete sistemica diffusa nelle istituzioni e nelle amministrazioni locali, perché i molti iniziali gridatori qualche collusione pure ce l’avevano. Così la lotta al terrorismo, cosiddetta, perché fu più una caccia al ‘rosso’ più facile da praticaredi individui che ammazzavano ‘contro’ lo Stato, con le buffonate di esuli che dopo 40 anni vogliono in galera!!, mentre il terrorismo nero a tutt’oggi è vivo e vegeto perché non volutamente combattuto essendone intrise le istituzioni tuttora condizionate (rivedersi intrecci funzionali mafie-P2 di Gelli, pure l’arcorense aveva una tessera, ma guarda un po’!, politica-terrorismo nero, un’omertosa omissione istituzionale clamorosa) fu l’unico moto di comunanza in un Paese fino ad allora e poi dopo mai preso dal senso di unità nazionale.
Ritrovandoci ad oggi con alcuni dei protagonisti di quella politica e dei cascami della società di allora. Trascinata oggi tra problemi irrisolti ed un aggravamento dei problemi, dal primato europeo dell’evasione fiscale che continuo a chiamare truffa benché il danno non sia penale, ma sempre truffa resta, alla proliferazione strutturale micro di ogni appalto o contratto pubblico subito aggredito da amministratori o da mafie. In una vita sociale ed economica in cui leggi cancellate o ammorbidite – se no l’economia non tirava (così per lavorare abbassiamo i princìpi di legalità, mica rafforziamo i controlli, dall’edilizia a quasi tutti gli altri settori!) – hanno prodotto forme di quieta compromissione ed acquiescenza collettiva che hanno ancor più abbassato la già scarsa propensione italica alla tutela del bene comune, delle regole, della legalità, del denaro pubblico. Essendo l’Italia il paese dei Guelfi e dei Ghibellini, l’un contro l’altro armati in guerre tra bande, non abbiamo storicamente il senso dell’appartenenza ad una Costituzione condivisa, delle istituzioni, della tutela del bene pubblico, del rispetto per il comune, il cum munus, ovvero il comune che dunque non è di nessuno. Siamo propensi piuttosto a competere con enfasi individualistica e particolaristica, piuttosto che fidarci l’un dell’altro e sostenere obiettivi e scopi altrui di utilità collettiva. Proverò a differenziare alcuni aspetti giuridico-penali da considerazioni di natura morale, molto più scivolosi di una notizia di reato, che poi determinano lo stato morale di una società e di una nazione. Ma che cosa successe quel 17 febbraio 1992 quando un fatto in apparenza secondario si diffuse a macchia d’olio per poi diffondersi ed esplodere in un turbinìo che scatenò un effetto domino fece crollare la Prima Repubblica? Ripercorriamone alcuni passaggi, per rinfrescarci noi ex giovani la memoria ed a beneficio dequelli che non c’erano e che non sanno.
Successe che un piccolo imprenditore di Monza, Luca Magni, consegnò 7 milioni di lire ‘sporche’ perché fotocopiate da un allora giovane pubblico ministero a Milano, Antonio Di Pietro, a Mario Chiesa, presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio. Sì lo stesso di un presunto scandalo nella prima ondata di pandemia Covid-19 con i malati anziani infettati. Chiesa fu beccato quel mattino mentre tentava di disfarsi della banconote buttandole nel water… Pratica ancora diffusa, se è vero che il fascista Trump intasava i water della Casa Bianca perché vi buttava molti documenti compromettenti! Da questo episodio milanese che pareva unico, si scoperchiò il Vaso di Pandora per scoprire che ci si trovava dinanzi ad una corruzione generalizzata, un sistema di accaparramento di risorse pubbliche ‘organizzato, gerarchico, interconnesso’ (Prof. Vannucci, l’Espresso febbraio 2022). Con quella prima confessione di marzo, si delinearono i contorni di un fenomeno che spostò gli equilibri tra politica e magistratura che dopo di allora, soprattutto con l’Arcorense, saranno micidiali a colpi inferti alla Costituzione ed alle istituzioni che arrivò come una valanga nei palazzi della politica e nella società italiana, attonita e per buona parte estranea. Emersero corruzioni sistemiche negli appalti comunali e regionali, grandi imprese italiane in cui si nascondevano ‘fondi neri’, fino ai conti segreti dei partiti. L’inchiesta Mani Pulite andò avanti fino al dicembre 1994 quando Di Pietro, misteriosamente, si dimise prima di essere indagato e poi assolto a Brescia. Attenzione alle date: fine 1994. All’inizio di quell’anno, con un colpo di grande furbizia, irrompe sulla scena pubblica politica uno degli imprenditori che poi condizionerà, fino all’elezione del Mattarella bis del 2022!, la politica italiana monopolizzandone tic e strategie di aperta delegittimazione ed attacco alla magistratura. Quel Berlusconi che si inventò (o fu consigliato) un partito personale, un contenitore vuoto fatto di yes men e soprattutto women tettute e di eccessiva presenza, senza congressi e strutture di partito, per scopi personali a difesa delle sue aziende e televisioni. Avendo perso il ‘padrino’ politico che lo difendeva, Bettino Craxi, Segretario del Partito Socialista, scappato non da esule – come dice la figlia – ma da condannato, ad Hammamet. Così privo di protezioni consolidate e senza una legge sul conflitto di interessi e soprattutto sul suo impero mediatico, salvato innanzi tutto dal cialtroname finto di sinistra, ‘scende in campo’ (bruttissima allocuzione, perché nella politica, se fosse nobile, si salirebbe con fatica e trasparenza per garantire il benessere dei cittadini).
In meno di 3 anni terribili, furono condannati tutti i leader e tesorieri dei partiti di governo. Riporto alcuni dati sulla dimensione della corruzione di cui si occupò il Pool di giudici di Milano, dapprima sostenuti da una sorta di ‘gogna’ popolare con il popolo che voleva punire i rei, per poi nel corso degli anni, virare verso modalità di maggiore accettazione. Grazie a norme e leggi più ‘comprensive’ dei truffatori. Gli avvisi di garanzia furono 25.440, 4525 gli arresti, 1069 politici coinvolti solo dal pool di Milano, 1300 tra condanne e patteggiamenti definitivi (dati TGCom24, 14 febbraio 22). Altri numeri, gli imputati furono 3175 ed al 2002 furono comminate 1233 condanne, 429 assoluzioni, 448 dichiarazioni di prescrizione o amnistia (che nel nostro distratto paese funziona sempre, l’Espresso, 13 febbraio 22). Altissimo fu pure il ricorso al patteggiamento, ben 828, cioè l’applicazione della pena su richiesta delle parti, preceduto da confessioni. Va poi ricordato che furono “aggiunte ca. mille condanne per tangenti nell’edilizia”. Con Berlusconi e le sue non disinteressate ansie garantiste, si cominciò ad aprire il fuoco sui giudici rei di essere dei ‘manettari’ colpevolisti. Dopo il 1997, dopo aver sbollito la rabbia popolare ed aver cominciato ad ammorbidire leggi troppo severe per gli italiani, le condanne subiscono una significativa caduta con riforme meno restrittive che aumentano le prescrizioni (altre 700) come pure le assoluzioni, non ritenendosi utilizzabili i verbali d’accusa non confermati nel dibattimento in aula. Passarono in televisione immagini terribili di segretari politici che esplicitavano caratteri e modi di un sistema corruttivo di proporzioni enormi, che gettarono nello sconcerto istituzioni politica e cittadini. Non tutti. Dopo quell’iniziale adesione entusiastica, si passò ad uno scontro che poi diverrà esiziale per tutti, dalla de-legittimazione della politica e dei politici, ai cittadini che dapprima plaudirono alle azioni di controllo giudiziario e fiscale per poi cominciare ad allontanarsi da posizioni ritenute troppo invasive. Innanzi tutto dal non-partito aziendale del ‘parùn’ o anche conducator di Forza Italia, bollando come giustizialismo l’approccio dei giudici di Milano, che sarà anche stato eccessivo in taluni casi ma fu determinato dalla dimensione abnorme del fenomeno. Preferendogli un sistema chiamato per comodità ‘garantista’ in contrapposizione al cosiddetto ‘giustizialismo’ che poi significa chiedere giustizia con tanto di colpevoli, così dovrebbe funzionare. Nel senso che garantisse comunque la migliore impunità per i tanti corruttori le cui violazioni non furono certo opera giudiziaria, ma l’esito di riscontri e confessioni.
Da allora ci trasciniamo in uno scontro con tutto l’apparato propagandistico e mediatico molto violento e duro del ‘Capo’ di Arcore, e dall’altra parte chi voleva che i reati si perseguissero colpendo i responsabili. Quindi, un dibattito che si è venuto intossicando nel tempo con la solita solfa dello schierarsi tra i ‘garantisti’ (quelli che plaudiranno poi alle decine di leggi ad personam, allo stravolgimento del dettato costituzionale, al libero impedimento, alla difesa dai processi attaccando i giudici, all’acquisto dei senatori per fottere Prodi, fino alla ‘nipotina’ di Mubarak, egiziano, lei algerina! Con sempre a farsi notare la ‘Contessa Serbelloni Mazzanti vien dal Mare’, che lì al Senato vaneggiava di presidenze, in una Repubblica malmessa, collusa, corrotta, immorale, acquiescente che trovò nel nonno di Arcore l’uomo giusto, quello del: io devo salvare i miei affari e voi fate un po’ quello che c…o vi pare. E da lì in poi giù con il garantismo….) Qui concludo parzialmente una vicenda la cui immorale grandezza fa il paio con la sua irresoluta soluzione che ci investe oggi dinanzi ad un degrado economico politico e morale che si è fatto sistema e pervade tutti i luoghi istituzionali del Paese con un mefitico odore, insapore ed incolore. L’odore ‘maleodorante’ della legalità.