venerdì, 24 Marzo
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Mali: i militari non mollano la presa sulla transizione

Ennesimo colpo di Stato in Mali. Ieri, i militari, scontenti del nuovo Governo annunciato dalle autorità di transizione, hanno rimosso con la forza il Presidente, Bah Ndaw, e il Primo Ministro, Moctar Ouane, portandoli nel campo militare di Kati, a poche miglia dalla capitale, Bamako, in stato di arresto. Nella stessa caserma era stato condotto Ibrahim Boubacar Keita lo scorso agosto 2020 dai colonnelli golpisti per annunciare le sue dimissioni. Secondo alcune fonti, quegli stessi colonnelli autori del golpe dello scorso anno stanno gestendo questo ennesimo colpo di Stato.

Secondo alcune agenzie, anche il Ministro della Difesa sarebbe stato arrestato.
L’Esercito, secondo le ricostruzioni delle agenzie internazionali, sarebbe intervenuto dopo una ridistribuzione delle cariche ministeriali, in forza della quale due membri del consiglio militare che ha preso il potere in agosto hanno perso il loro incarico.

Il Presidente Bah Ndaw avrebbe dovuto preparare il Paese a nuove elezioni entro un anno e mezzo dal colpo di Stato militare dello scorso anno, dopodiché un governo civile avrebbe potuto riprendere il potere. Sarebbe dovuta essere presentata anche una nuova Costituzione.

Questo ennesimo colpo di Stato, secondo gli osservatori locali, compresi quelli di ‘Associated Press‘, è da mettere in relazione al rimpasto appena annunciato del governo. Un governo ancora dominato dai militari, ma dal quale sono stati rimossi gli ufficiali vicini alla giunta che aveva preso il potere dopo il colpo di Stato dell’agosto 2020 e di cui Assimi Goita era il leader. I colonnelli avevano installato dopo poche settimane le autorità di transizione, tra cui un Presidente, Ban Ndaw -un ufficiale in pensione- e un governo guidato da Moctar Ouane, un civile. Con riluttanza, e sotto la pressione della comunità internazionale, si erano impegnati a consegnare il potere ai civili eletti dopo 18 mesi, invece dei tre anni che ritenevano necessari per la transizione.
Di fronte alla crescente protesta politica e sociale, il Primo Ministro si è dimesso dieci giorni fa ma è stato immediatamente reintegrato dal Presidente di transizione Ndaw, con il mandato di formare una squadra inclusiva. La grande incognita era il posto che sarebbe stato dato ai militari, soprattutto quelli vicini all’ex giunta, e negli ultimi giorni è cresciuta la preoccupazione che i colonnelli potessero non essere soddisfatti delle scelte di Moctar Ouane. Così evidentemente è stato. N
el governo annunciato dalla presidenza di transizione, i militari detengono ancora i Ministeri della Difesa, della Sicurezza, dell’Amministrazione territoriale e della riconciliazione nazionale. Ma tra i cambiamenti annunciati in una dichiarazione letta alla radio e alla televisione pubblica, due membri dell’ex giunta, i colonnelli Sadio Camara e Modibo Kone, lasciano i rispettivi portafogli della Difesa e della Sicurezza sostituiti rispettivamente dal generale Souleymane Doucoure e dal generale Mamadou Lamine Ballo.

L’intervento dell’Esercito c’è stato poco dopo che due dei leader del colpo di Stato dello scorso anno, Sadio Camara e Modibo Kone, hanno perso il loro incarico. Un alto funzionario del governo maliano ha detto a ‘Reuters‘ che il licenziamento di Camara e Kone è stato «un enorme errore di valutazione» e che le azioni dei militari erano probabilmente finalizzate a riportarli ai loro posti.

Del nuovo governo fanno parte anche -all’Istruzione e agli Affari fondiari- due Ministri che sono membri dell’Union for the Republic and Democracy (URD), la principale forza politica del Movimento 5-Jun (M5), il collettivo che ha guidato la protesta che ha portato al rovesciamento del Presidente Keita. Queste scelte sarebbero alla base del nuovo colpo di mano dei militari.

Gli sviluppi politici di ieri, annota Baba Ahmed di ‘Associated Press‘, sono l’ultimo segno di tensione in un Paese che sta combattendo un’insurrezione islamica che ha preso piede dopo il colpo di Stato militare nel 2012. C’è una preoccupazione diffusa che questi sconvolgimenti possano tardare ulteriormente gli sforzi per contenere i militanti legati ad al-Qaeda e Stato Islamico. Le potenze internazionali, guidate dalla Francia, hanno dispiegato migliaia di truppe e speso miliardi di dollari per cercare di stabilizzare il Paese. Ma gli islamisti continuano a effettuare attacchi regolari contro l’Esercito e i civili. Usano anche il Mali come trampolino di lancio per attacchi nei Paesi vicini come il Niger e il Burkina Faso.
Dopo il colpo di Stato del 2012, gli estremisti islamici hanno preso il controllo delle principali città nel nord del Mali. Solo un intervento militare del 2013 guidato dall’ex potenza coloniale francese ha spinto gli estremisti fuori da quelle città. La Francia e una forza delle Nazioni Unite hanno continuato a combattere i ribelli estremisti, che operano nelle zone rurali e attaccano regolarmente strade e città, ma con scarsi risultati.

Nazioni Unite -che stanno spendendo 1,2 miliardi di dollari all’anno in una missione di mantenimento della pace-, Unione europea, Unione africana, ECOWAS hanno condannato i fatti e chiesto l’immediato rilascio dei Ministri. ECOWAS ha affermato che «l’azione sconsiderata intrapresa oggi comporta il rischio di indebolire la mobilitazione della comunità internazionale a sostegno del Mali». L’UE, attraverso Josep Borrell, ha detto che saranno imposte sanzioni contro coloro che si frappongono alla transizione.

I partner internazionali del Mali sono preoccupati per le implicazioni per la sicurezza regionale, l’Europa teme che una prolungata instabilità dell’area possa vedere più persone sfollate, alimentando un’altra ondata di migrazione verso il vecchio continente.
Peter Pham, l’ex inviato speciale degli Stati Uniti per il Sahel, intervistato da ‘Bloomberg‘, ha affermato che «La crisi è una battuta d’arresto.L’assetto transitorio era un equilibrio concordato dalle parti interessate locali, approvato dall’Unione africana e dall’ECOWAS. Una parte non può cambiare i termini e non aspettarsi una reazione negativa».
Si attende di capire come reagirà l’Eliseo, presente nel Paese con oltre 5.100 soldati, che ha già convocato per domani una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Alla base di questi ennesimi sconvolgimenti, i problemi di sempre di un Paese che dipende dall’estrazione dell’oro e dall’agricoltura, particolarmente vulnerabile alla volatilità dei prezzi delle materie prime, che ha prodotto 66,5 tonnellate di oro nel 2020, divenendo il terzo più grande produttore di metallo in Africa, dove i giovani costituiscono un terzo della forza lavoroe proprio la disoccupazione giovanile ha raggiunto quasi il 15% -era al 7% otto anni fa prima che Keita si insediasse. Il tasso di povertà è aumentato dal 45 per cento nel 2013 a quasi il 50 per cento nel 2020. Più maliani sono stati sfollati a causa dell’insicurezza nel 2019 che in qualsiasi momento nella storia del Paese, sottolineano analisti come Philip Obaji Jr. Il sistema sanitario è allo sfascio e la minaccia della violenza ha lasciato milioni di bambini senza scuola. Nonostante l’intervento militare francese, sono stati scarsi i progressi in termini di disarmo dei gruppi gruppi estremisti violenti che ancora sono ancora molto attivi in molte aree. I militanti legati ad al Qaeda e allo Stato islamico hanno alimentato una crisi in Mali e in generale nello Sahel, che ha determinato un aumento di otto volte degli attacchi mortali dal 2015 al 2020 e oltre 5 milioni di sfollati. Ad oggi nel Paese ci sono oltre 13.000 caschi blu delle Nazioni Unite e 5.100 soldati francesi, eppure i militanti hanno reso ingovernabili zone del Mali centrale e settentrionale, come conferma ‘Reuters‘ in queste ore.
La ‘politica di decentralizzazione’ adottata dopo la guerra del 2012-2015 che aveva lo scopo di fornire alle comunità del nord una maggiore autonomia nella speranza che l’inclusione nella governance avrebbe impedito ai gruppi locali dal prendere le armi è stata inefficace e mal gestita. In risposta, i gruppi armati che controllano vaste aree di territori nel Mali settentrionale e centrale si stanno ritagliando un ruolo politico e amministrativo con la forza.
Sono molti gli osservatori che da tempo invocano che Francia e Stati Uniti convincano la comunità internazionale a fornire un piano di ripresa economica globale, simile al Piano Marshall, al Mali, ma non solo, a Mauritania, Niger e Burkina Faso. Senza investimenti sostenuti, i problemi che affliggono il Mali da anni potranno solo intensificarsi.

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