L’esposizione ‘Stanzione in Galleria’, realizzata con il sostegno della Banca di Credito Cooperativo di Roma e il coordinamento dell’associazione ‘Verderame progetto cultura’nella Galleria Nazionale di Arte Antica a Palazzo Corsini a Roma fino al 28 luglio prossimo, prende spunto dal dipinto raffigurante l’‘Immacolata Concezione’ di Massimo Stanzione (1585-1656), già nella chiesa di Gesù e Maria di Costantinopoli a Pescocostanzo vicino L’Aquila, recentemente restaurato e lo mette a confronto con la ‘Madonna della Rosa’ dello stesso pittore, documentata negli inventari storici della collezione Corsini sin dall’Ottocento e ora conservata nella Galleria. Da qui il sottotitolo della mostra: ‘Massimo Stanzione a confronto: recupero e valorizzazione’.
Stanzione è stato un pittore attivo principalmente nel Regno di Napoli durante il periodo barocco ed è definito il ‘Guido Reni napoletano’ perché la sua produzione mostra esiti dell’influenza della pittura emiliana di Reni e Domenichino, ma risente dell’uso di ombre e luci tipico dei post-caravaggeschi.
I due dipinti, di datazione e stato conservativo differente, si trovano a dialogare e ispirare confronti e suggestioni da molteplici punti di vista, dall’iconografia allo stile, dalla resa materica al cromatismo finale, fino alla differente resa dei monogrammi che ne attestano la paternità. Il restauro dell’‘Immacolata Concezione’, condotto con l’alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell’Abruzzo, è stato realizzato assecondando le metodologie più aggiornate e per una durata di 14 anni, quasi interamente finanziato da sponsor privati che ‘Verderame progetto cultura’ si è adoperata a raccogliere attraverso campagne di donazioni, costruendo una rete in modo da garantire il massimo risultato possibile nell’utilizzo dei migliori e moderni sistemi di restauro.
La scelta di ospitare e mettere in relazione questo dipinto con uno già presente nella Galleria Corsini di Roma rientra in un ampio progetto mediante il quale la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma intende valorizzare le proprie sedi espositive e creare un punto di incontro con altre Soprintendenze italiane, impegnate nel gravoso compito della tutela e della conservazione del patrimonio artistico nazionale.
‘Verderame progetto cultura’ ha restaurato anche altre due dipinti presenti nella stessa chiesa abruzzese, attribuendone la paternità al pittore Giovanni Battista Gamba, l’una in base ai resti della firma autografa e l’altra per confronto dellatecnica pittorica e dello stile. Queste tre opere, restituite alla loro bellezza originaria, ritorneranno nella sede della chiesa di Pescocostanzo nel mese di agosto.
Abbiamo intervistato Giorgio Leone, direttore della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini, dove si può ammirare l’esposizione dei dipinti di Stanzione.
Qual è l’importanza storico-artistica di Massimo Stanzione?
Massimo Stanzione è uno dei più importanti pittori napoletani del Seicento. Egli, partendo dal naturalismo caravaggesco e post-caravaggesco, riuscì a elaborare una propria singolare maniera, fondendo questi suoi inizi alla lezione emiliano-classicista di Guido Reni e Domenichino, appresa attraverso soggiorni romani e anche attraverso la presenza del Domenichino a Napoli. È con Stanzione che si delinea una nuova corrente pittorica napoletana, che farà da contraltare sia al post-caravvaggismo sia al barocco.
Quale è l’intento dell’esposizione del restauro nella Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Corsini che presenta il quadro di Stanzione?
L’intento della Soprintendenza Speciale e del Polo Museale Romano e della Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Corsini è quello di aprire le porte al territorio. Esponendo un dipinto restaurato, posto in confronto con un altro, del medesimo autore o del medesimo soggetto, si ha un momento di approfondimento e di valorizzazione che, in questo caso, trova il partner ideale nella Soprintendenza per i beni storico-artistici dell’Abruzzo.
I due dipinti sono distanti cronologicamente e per stato conservativo. Ce ne parla meglio?
La ‘Madonna della Rosa’ è senz’altro da riconoscere con il dipinto citato come «Madonna del Cav.e Massimo, larg. pal. 5-7», provvisto di «Cornice dorata con un ordine d’intaglio», nell’inventario riferibile al principe Tommaso Corsini (1767-1856) databile entro il 1845. Non essendo possibile, al momento, rintracciare, negli inventari storici della collezione Corsini precedenti a questo, altre simili dirette segnalazioni, si può ritenere che l’opera sia entrata tardi nella raccolta, oppure che possa essere celata in uno dei tanti quadri raffiguranti la Vergine, con o senza il Figlio, elencati negli stessi documenti, ma privi delle dimensioni e del nome dell’autore, o con una indicazione di questi errata.
L’interesse della famiglia Corsini verso pittori napoletani, del resto, è testimoniato già in anni precedenti alla formazione della collezione così come è oggi conosciuta, realizzata appunto con l’insediamento del cardinale Neri Maria Corsini junior (1685-1770) nel nuovo palazzo di famiglia alla Lungara, costruito a partire dal 1730, anno dell’elezione a pontefice di Lorenzo Corsini con il nome di Clemente XII (1730-1740). Si potrebbe anche supporre, però, come è stato fatto per altri dipinti della stessa raccolta, che l’opera in questione sia stata in possesso dei Corsini sin dal Seicento e che sia entrata nella collezione solo con il principe Tommaso, rimanendo fino ad allora custodita in altre residenze di famiglia e perciò non inserita negli inventari ufficiali della quadreria del palazzo alla Lungara.
Il dipinto raffigura la Madonna col Bambino in un paesaggio: Ella è seduta su una pietra squadrata – sulla quale compare la sigla di ‘EQ. MAX’ (‘Cavalier Massimo’, da cui la citazione inventariale) – e tiene il Figlio sul ginocchio sinistro sorreggendolo con la rispettiva mano, mentre con l’altra sostiene il gambo di una rosa afferrato anche dal Bambino. Legandosi all’antica tipologia della “Madonna con il fiore” e avvalendosi dei molteplici significati mistici espressi dalla rosa, l’immagine rappresenta, quindi, una variante di un tema abbastanza noto nell’iconografia mariana e anche nella produzione del pittore, del quale si può ricordare almeno l’altra versione a Salerno.
La datazione plausibile, dopo le iniziali assegnazioni attorno agli anni quaranta del Seicento, è stata suggerita da Pierluigi Leone de Castris e si colloca attorno al 1650, su base stilistica, grazie al confronto con la ‘Madonna col Bambino’ di Santa Maria Donnaregina a Napoli e l’‘Adorazione dei pastori’ di Capodimonte e dell’altra a Filadelfia. In tutti questi dipinti, infatti, compaiono analogamente ben equilibrati, nelle forme eleganti e raffinatamente cromatiche, tipiche della maturità del pittore, gli iniziali riferimenti naturalistici e i sopraggiunti riferimenti classicistici, sviluppati in specie attraverso i suoi soggiorni romani.
La ‘Madonna della Rosa’ della Galleria Nazionale d’arte Antica in Palazzo Corsini risulta comunque privata delle velature finali, a causa di malaccorti restauri a cui si è cercato di porre rimedio in un recente intervento curato da Roberto Della Porta.
Abbiamo intervistato anche Maria Beatrice De Ruggieri, storica dell’arte e delle tecniche artistiche facente parte dell’associazione culturale ‘Verderame Progetto Cultura’, che si è occupata, insieme a Marco Cardinali, delle indagini diagnostiche sul dipinto di Massimo Stanzione appena restaurato da Giulia Silvia Ghia e dal gruppo di ‘Verderame’
Quali operazioni di restauro sono stati eseguite sull’‘Immacolata Concezione’ di questo maestro?
Partiamo dal supporto: il telaio è stato rifunzionalizzato perché, anche se in condizioni buone, era fisso, quindi non era possibile adattarlo in nessun modo ai movimenti della tela. Tale rifunzionalizzazione, eseguita da Antonio Iaccarino Idelson e Carlo Serino, è consistita nel mantenere il telaio originale , applicandovi un sistema meccanico che gli consenta di assecondare i naturali movimenti della tela. Si tratta di sistemi di restauro piuttosto innovativi, che si cominciano a sperimentare in questi anni e che consentono di rispettare e mantenere la struttura di sostegno originale. Il dipinto aveva una doppia foderatura antica, una delle quali era presente solo nella metà superiore, e ciò aveva creato moltissimi problemi e scompensi, ovvero un irrigidimento della parte superiore che, unito al fatto che il dipinto ha una preparazione e degli strati pittorici piuttosto spessi, aveva provocato un’ampia crettatura e distacchi di colore consistenti proprio nella parte alta. Queste due tele, sia quella presente per metà sia l’altra, sono state rimosse ed è stato eseguito un nuovo rifodero con sistemi altamente innovativi. Per consentire di intervenire adeguatamente sulla superficie pittorica il dipinto, in diversi giorni e in più riprese, è stato mantenuto in una camera ad umidità controllata con un ‘data logger’ collegato ad un computer. Contestualmente alle prime fasi del restauro, sono state eseguite le indagini diagnostiche, cioè riflettografia infrarossa e radiografia. Siamo stati così in grado di capire, soprattutto con la radiografia, la reale consistenza della pittura originale, dove si erano verificate cadute di colore poi nel tempo ridipinte e ristuccate e dove queste ridipinture sormontavano le lacune: in particolare, sul viso della Madonna, una caduta consistente si trovava in corrispondenza dell’occhio destro. La ridipintura ricopriva anche parte della pittura originale e la radiografia è stata utile per capire che si poteva rimuovere la ridipintura e ricostruire pittoricamente le parti figurative. Il dipinto è in una chiesa, è una pala d’altare e quindi è oggetto di devozione. La scelta della direzione lavori, la Soprintendenza dell’Aquila con la dottoressa Anna Colangelo, in accordo con i restauratori, è stata dunque quella di riproporre la parte dell’occhio mancante.
Come si presentava l’opera prima del restauro?
Si presentava in uno stato pessimo: molto annerita, con vernici ossidate, presentava una crettatura piuttosto ampia soprattutto nella parte superiore, e poi cadute di colore, allentamento della tela, sulla quale era anche inchiodata una cornicetta.
Il restauro ha permesso di identificare la firma di questo pittore sul quadro. Dove è stata ritrovata e come mai non era stata notata prima?
Più che firma, se vogliamo precisare, è stato ritrovato il monogramma. Stanzione, dopo che fu nominato cavaliere (assunse in realtà due cavalierati negli anni venti del Seicento), si firmava con dei monogrammi che variano: qui troviamo le lettere MS, collocate in basso a sinistra. Non erano visibili a causa degli strati di deposito superficiale.
Questi quadri provengono dalla provincia dell’Aquila colpita tempo fa dal grande sisma. Qual è la situazione dei quadri nelle chiese abruzzesi dopo il sisma?
La Soprintendenza ai Beni Artistici dell’Aquila ha molto lavorato per mettere in sicurezza le opere e ha avviato moltissimi restauri e non soltanto sulle tele. Tutti ciò, come sempre, si scontra con i fondi carenti e molti altri problemi che riguardano, come è noto, i Beni Culturali. La tela di Stazione era in uno stato di conservazione precario già prima del terremoto.
È stato individuato anche l’altro autore delle altre due opere conservate nella chiesa di Gesù e Maria di Pescocostanzo, Giovanni Battista Gamba. Ci parla di quest’altro pittore?
Giovan Battista Gamba è un pittore che lavora principalmente in ambito abruzzese. Non è particolarmente famoso, ma fu molto attivo nella zona, anche eseguendo dipinti murali, ad esempio alcune cupole affrescate nella stessa cittadina di Pescocostanzo. I due dipinti pertinenti alla chiesa di Gesù e Maria sono: la pala di altare principale con ‘Il Perdono di Assisi’ e ‘La Sacra Famiglia con Sant’Anna’ di un altare laterale. Il secondo dipinto aveva una firma che siamo riusciti a leggere meglio dopo la pulitura. Il nome è frammentario, ma il cognome Gamba si legge molto bene. L’altro, per ragioni stilistiche e di tecnica esecutiva, è stato attribuito da Anna Colangelo allo stesso maestro.
Il restauro è stato finanziato anche da sostenitori privati. Crede che avvalersi di mecenati privati aiuti il recupero delle opere d’arte là dove lo Stato non arriva?
Sì, diciamo che in questo caso tutte le operazioni di ricerche tecniche, restauro e valorizzazione, come l’esposizione temporanea a Palazzo Corsini, la mostra che si terrà a Pescocostanzo dal 2 agosto e la pubblicazione (della casa editrice Etgraphiae), sono state interamente finanziate da sponsor privati. Il principale è stata la Banca di Credito Cooperativo, ci sono poi altri enti e istituzioni, ma anche famiglie private di Pescocostanzo. E’ veramente complesso riuscire a finanziare operazioni di questo genere interamente attraverso il contributo di privati, e siamo davvero felici di esservi riusciti. L’istituzione pubblica, cioè la Soprintendenza ai Beni Artistici dell’Aquila, ha curato l’Alta Sorveglianza del restauro nella massima collaborazione con le altre parti coinvolte.
Quali sono le principali tecniche di restauro più usate in Italia?
Per quanto riguarda la tradizione italiana del restauro scientifico, ossia di quello conservativo, in linea di massima ancora ci si dovrebbe basare sulle teorie di Cesare Brandi relative alla sua ‘Teoria del Restauro’ pubblicata nel 1963, ma la cui elaborazione teorica ebbe inizio già negli anni trenta del Novecento. Il primo concetto è quello della maggiore reversibilità possibile rispetto alle operazioni che vengono compiute. VA tenuto in conto che la reversibilità totale è impossibile, nel senso che ci sono operazioni, come la pulitura, dalle quali si può tornare indietro. Gli altri due principi che bisognerebbe sempre incrociare sono: l’istanza storica e quella estetica, quindi il mantenimento sull’opera dei segni della sua storia, perché l’opera ha un tempo- vita e molte cose accadono nei vari secoli; l’istanza estetica riguarda la presentazione dell’opera nella sua unità visiva. Nel caso dell’‘Immacolata Concezione’, per esempio, l’istanza estetica, per quanto riguarda la ricostruzione di parte dell’occhio, è stata preferita rispetto a quella storica, che avrebbe forse mantenuto la lacuna sull’occhio. Bisogna quindi sempre conciliare questi due aspetti.
Quali sono le varie scuole di pensiero riguardo al restauro in Italia?
Per quanto riguarda l’Italia esistono due scuole non di pensiero, ma di guida e riferimento per il restauro: l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma e l’Opificio delle Pietre Dure a Firenze, che rimangono un importantissimo riferimento teorico e non solo. Ciò che avviene nella pratica quotidiana del restauro, non è detto che rispetti i principi guida degli istituti centrali, anche perché ci sono restauri con una destinazione pubblica e altri che invece riguardano il mercato antiquario, e in tal caso è opportuno, o almeno è ciò che avviene, effettuare operazioni più mimetiche, in cui la storia conservativa si legga un po’ meno, per ottenere una superficie pittorica esteticamente ‘perfetta’.