martedì, 21 Marzo
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Lunàdigas, il film che racconta delle donne senza figli

L’intervista a Marilisa Piga, autrice e regista del documentario che testimonia l’esistenza (rinnegata) della “non-maternità”

Sapreste riassumere in una parola l’espressione “donne senza figli”? Probabilmente no, perché nella lingua italiana non esiste un termine del genere e, probabilmente, non si tratta di una casualità. Lo hanno notato Nicoletta Nesler e Marilisa Piga, autrici e registe del film-documentario Lunàdigas, ovvero delle donne senza figli, presentato a Torino lo scorso 24 febbraio, dedicato a quel mondo inesplorato di ragioni e sentimenti delle donne che hanno scelto di non avere figli, una decisione che si scontra spesso, ancora oggi, con l’idea che ciò sia quasi contronatura.

Lunàdigas è infatti la parola con cui i pastori sardi chiamano le pecore che non si riproducono, nonostante siano fertili. Lunàdigas sono quella comunità di donne che, per ragioni svariate e senza troppi drammi, scelgono consapevolmente di non avere figli, perché non ne vogliono, non possono, hanno altre priorità. Una realtà tanto presente quanto rinnegata, un’Italia che c’è ma non si vede, vittima di un pregiudizio atavico o il più delle volte ad un semplice giudizio, negativo.

Ritrovando una pratica nata negli anni Settanta, quella del partire da sé, in questo film Marilisa e Nicoletta si mettono in gioco per cercare di (ri)costruire l’immaginario che ha permesso a tantissime donne, giovani ed anziane, eterosessuali e omosessuali, volti noti (compare la testimonianza di Veronica Pivetti e di Margherita Hack) e meno noti, di farsi lunàdigas prima ancora che questa suggestiva parola fosse scelta per descriverle. Ecco dunque una serie di interviste, di incontri, di discussioni in cui le lunàdigas si confrontano e si raccontano, cercando quel riconoscimento sociale che non hanno ancora avuto.

Abbiamo intervistato Marilisa Piga, autrice e regista del film Lunàdigas insieme a Nicoletta Nesler, per scoprire i retroscena, approfondire il tema e capire quale sviluppi ci si deve aspettare da questa raccolta di testimonianze così “forti”.

Dottoressa Piga, può parlarci della genesi del progetto? Cosa ha fatto scattare l’idea che ha portato alla realizzazione di Lunàdigas?

Se c’è stato un momento preciso? Diciamo di sì. Era da tempo che con Nicoletta pensavamo e volevamo dedicare, cosa tra l’altro già fatta nel corso della nostra carriera, un intero film alle donne. Naturalmente il mondo femminile è ampissimo, pieno di argomenti, di punti che si possono scegliere. Quindi abbiamo impiegato un po’ di tempo a cercare qualcosa di ancora poco percorso fin qui, anche perché quello di andare ad esplorare temi un po’ insoliti, pezzi di visioni del mondo non tanto illuminate e frequentate, è stato sempre il tratto che ha caratterizzato i lavori di Nicoletta e miei. Insieme abbiamo pensato di partire da noi stesse: il dato che ci ha da sempre accomunato, sul quale non avevamo mai tanto ragionato era proprio questo, essere due donne di età diverse ma senza figli. E Lunàdigas è nato proprio così, cercando qualcosa che sarebbe stato nuovo ed interessante scoprire.

Dare un nome, identificare una realtà significa al livello sociale dare concretezza e dignità a quella realtà. Cosa implica constatare che non esista ancora una parola nella nostra lingua che designi “le donne che scelgono di non avere figli”?

Non so spiegare cosa significhi precisamente a livello sociologico, so che è molto significativo. È una realtà poco riconosciuta, una realtà che genera diffidenza, pochissima comprensione. E quindi io credo che sia questa o una di queste la ragione per cui non esista un nome che definisca le donne che non hanno figli. In realtà “lunàdigas” è stato trovato un po’ per caso: una nostra conoscente, con cui poi siamo diventate amiche, una scultrice sarda, in una sua mostra che stavamo visitando aveva esposto una scultura intitolata “Lunàdigas”, dedicata proprio alle donne senza figli. Una parola bellissima, come da lei stessa definita nel film, che abbiamo fatto subentrare nella lingua italiana dove mancherebbe altrimenti. Esiste in inglese, con childfree, ma in italiano proprio no.

Nel film compaiono tantissime testimonianze, molte delle donne sono quasi sorprese di essere interpellate per parlare di questo argomento. Quali sono state le reazioni iniziali alla vostra richiesta? Ha prevalso l’entusiasmo, il timore o lo stupore?

Ci sono state tutte queste emozioni che hai citato, qualcuna si è ritratta e ha scelto di non parlarne considerando la questione troppo privata, ma sono state pochissime, tre o quattro sulle centinaia che abbiamo incontrato. La cosa che ci ha fatto piacere è stato lo stupore delle volontarie, uno stupore in positivo, espresso con frasi come “Certo, finalmente”, “Non ne ho mai parlato ma mi fa piacere”, “Finalmente se ne parla”, in un crescendo di entusiasmo, di comprensione, con atteggiamento che diceva “È giusto che se ne parli”, finalmente.

Ho notato (o forse mi sbaglio, me lo dica lei) un “sottotema”, quello dell’omosessualità femminile, che è un tabù in Italia forse più delle Lunàdigas. È stata una scelta voluta lasciare la questione in “sottofondo” o semplicemente avrebbe significato andare fuori tema?

In parte è stato casuale. Nella grande quantità di donne che abbiamo incontrato, spesso tra le più consapevoli ed abituate ad esporsi sull’argomento, c’è stato un campione abbastanza ampio di donne omosessuali, spesso le più esplicite nel motivare la propria scelta. Ritornando alla domanda, no, non è stato voluto, è giustamente capitato.

Legato al tema dell’omosessualità mi viene spontaneo pensare all’idea di essere “contronatura”. Perché ne 2017 per la società è ancora un problema? Cosa si è conservato dell’antico pregiudizio?

Credo che, se possibile, da un certo punto di vista i pregiudizi siano aumentati e talvolta “peggiorati” rispetto al passato. Negli ultimi dieci, quindici, vent’anni hanno cominciato a sgretolarsi o perlomeno a vacillare tutta una serie di conquiste che le donne di una volta avevano vittoriosamente ottenuto. Ritengo ci sia un bisogno di un ridimensionamento del ruolo femminile moderno e una conferma di quello tradizionale, che vuole la donna, secondo il cliché storico, a casa, a badare ai bambini. Non è tanto il lavoro, è ormai riconosciuto come la donna si impegni lavorativamente sia in casa che fuori casa, ma è la scelta di non fare figli che è considerata fuori dalla norma, troppo fuori ancora. La gravità sta nel fatto di equiparare il fare figli con una “non scelta”, qualcosa di automatico, “ho dei bambini, allora tutto a posto”, mentre, come in tutto, ci dovrebbe essere almeno una parità di libera scelta: una donna dovrebbe scegliere di avere dei figli perché si sente nelle condizioni giuste per farlo, emotive prima di tutto, che è la parte fondamentale, poi è chiaro che ci sono quelle economiche, quelle sociali e tante altre che concorrono. Se  una donna non lo sente , non se la sente, non dovrebbe subire questo “rifiuto” da parte della società.

Se posso muovere una critica mi sarei aspettata maggiore attenzione al tema “posto di lavoro”, a quei contratti disumani a mio avviso che prevedono licenziamento immediato in caso di maternità. Cosa pensa di questa triste realtà?

Ti dirò, questa è stata una nostra scelta, di Nicoletta e mia. Trattare del tema sarebbe stato “presuntuoso” a mio avviso. Non siamo sociologhe, non avremmo saputo affrontare nel modo giusto questo discorso che è molto complesso, che raccontato in modo superficiale sarebbe potuto arrivare in maniera scorretta al pubblico. Ovviamente sappiamo che è una realtà che purtroppo esiste e di cui bisogna tener conto, ma noi abbiamo preferito tenerlo da parte. Abbiamo scelto e cercato di focalizzarci, essendo anche più in linea con i nostri precedenti lavori, sulle ragioni personali che si celavano dietro queste donne e non quelle della società, essendo tuttavia perfettamente consapevoli della loro esistenza e della loro incombenza talvolta nella decisione di non avere figli. Insomma, abbiamo scelto consapevolmente di adottare uno specifico punto di vista.

Una delle sfumature forse più delicate del tema è quello dell’aborto. È stato molto interessante come alcune delle testimoni lo considerassero una pratica normale, altre fortemente traumatica. Alla luce dei recenti dibattiti (bando per medici non obiettori) a che punto siamo in Italia secondo lei?

Sto seguendo con attenzione questo dibattito portato avanti non solo in Italia. Trump negli Stati Uniti sta annunciando sfracelli rispetto a questo tema, una commissione di soli uomini oppure una triangolazione sul parere del compagno del momento deciderebbe se le donne siano legittimate ad abortire oppure no. Stiamo scivolando all’indietro, come dicevo prima, c’è proprio un ritorno al passato, a visioni veramente retrive della libertà femminile. Bisognerebbe riprendere e continuare le “lotte”, i discorsi intrapresi nel passato: l’8 marzo ci sarà uno sciopero e già rappresenta qualcosa, che non basterà sicuramente, però pare che le donne stiano reagendo e questa è una cosa importante.

Mi ha molto colpito il concetto di “donna a metà” che viene spesso additato alle donne che scelgono (o non possono) avere figli. Cosa è per lei una donna “completa”, in ogni sua parte?

Una donna che riesce prima di tutto a rispettare sé stessa e le sue decisioni, anche se non sono quelle riconosciute e accettate universalmente ma che corrispondono ai sui desideri. Questo direi che è una donna completa, una donna solida, con tutti gli errori, rimorsi e rimpianti che si possono fare ed avere. Questo mi pare che faccia una donna in ogni sua parte, discorso che si può tranquillamente ampliare all’universo maschile: una persona che riesce a seguire le proprie indicazioni suggerite da istinto e ragione è una persona senz’altro completa. La cosa che può dispiacere in modo particolare è che certe considerazioni anche molto severe come quella “Non sei completa perché non hai avuto figli” vengano spesso dalle donne stesse e in alcuni casi riferite a sé stesse. E spesso vengono dalle madri che sono molto a “disagio” con i propri figli, ovvero coloro che se potessero tornare indietro non lo rifarebbero. Certo, ammettere una cosa del genere è un altro paio di maniche. Capirlo, anche vedendo alcuni atteggiamenti o osservando certi comportamenti di madri con i loro figli, non è poi così complicato. Spero che le nostre energie, di Nicoletta e mie, possano contribuire a fare chiarezza in queste donne, tant’è che le “madri pentite” potrebbe diventare il prossimo argomento, un argomento complesso che andrebbe a focalizzarsi su una realtà che è difficile ammettere a sé stessi prima che al resto del mondo.

Qual è l’obiettivo di questo film? A chi volete arrivare e cosa volete trasmettere?

Io direi che il nostro primo obiettivo sia mantenere aperto questo canale di discussione. Il nostro lavoro è stato proprio quello di stimolare un’apertura di scambi e riflessioni su questo argomento. Abbiamo proprio colto il punto e questo ci ha molto rincuorato, ripagando la fatica e l’impegno che ci è costato. Ora dobbiamo continuare ad impegnarci per portare in giro questo messaggio, è sarà gratificante e faticoso allo stesso tempo. L’importante è che se ne parli serenamente, magari anche discutendo in modo acceso: noi ce le aspettiamo e vorremo ascoltare.

Cos’ altro dopo Lunàdigas? Esistono già progetti correlati, c’è qualcosa in cantiere?

Le idee ci sono ma non si concretizzerà nulla nell’immediato: si tratta di temi molto complessi e delicati che necessitano tempo. Se era complesso quello delle Lunàdigas figuriamoci quello sulle madri pentite. Io direi che la cosa più probabile è che nell’immediato noi cercheremo di aprire un altro tavolo di discussione sul tema della maternità per le donne di altre culture. Ormai conviviamo con una moltitudine di nuove mentalità ed etnie che concepiscono la maternità in modo molto diverso dal nostro. Indagare in queste direzioni ci incuriosisce molto e rappresenterebbe un modo per avvicinarsi e capirsi meglio, essendoci ancora molta diffidenza nei confronti del “diverso”. Forse questo sarà un modo per sentire queste persone più vicine.

Chi vorrebbe ringraziare per la realizzazione di questo progetto?

Vorrei concludere con un enorme e sconfinato ringraziamento a tutte le donne che hanno testimoniato, non solo quelle che appaiono nel film ma anche alle altre numerosissime testimonianze che si trovano online nel nostro webdoc e che hanno reso possibile tutto questo. Un grazie alla loro disponibilità e generosità. Nel film, per ragioni di linguaggio cinematografico, ce n’è una piccola parte e anche molto breve, ma quelle integrali, importanti, che ci hanno condotto alla fine di questo progetto sono moltissime e le ringraziamo tantissimo, singolarmente.

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