Attacchi, dichiarazioni di presa di Tripoli roboanti, ma di fatto quella che oramai viene chiamata la terza guerra civile della Libia è in stallo, e sempre più assomiglia a una guerra per procura. Uno dei protagonisti stranieri è la Francia, dove pochi, in questi anni, e mai pesantemente, hanno messo in dubbio la posizione e le azioni dell’Eliseo, ora un dubbio incombe sulla realtà delle intenzioni francesi, come scrive il parlamentare Alexis Corbière in una recente interrogazione che attende risposta. Ma, interrogazione a parte, c’è di più: la richiesta (proposta di risoluzione presentata il 18 luglio), da parte di forze di sinistra, e tra questi proprio Corbière -tra i firmatari della proposta di risoluzione anche Jean-Luc Melenchon- dell’istituzione di una commissione di inchiesta sulla presenza e azione della Francia in Libia.
Potrebbe essere molto di più di una messa sotto accusa della politica di Emmanuel Macron. «Va anche tenuto presente che l’azione militare della Francia in Libia, decisa dal Presidente Nicolas Sarkozy, è una delle cause della durevole destabilizzazione del Paese e, più in generale, dell’intera regione sahelo-sahariana, a causa di compresa la diffusione di armi in tutto il subcontinente. La guerra in Mali in cui è impegnata la Francia è in parte il risultato di questo uso sconsiderato della forza», si legge tra il resto nel testo della proposta.
Oltre 1.200 i morti, 6.000 i feriti e 110mila gli sfollati questo è il bilancio, ad oggi, dell’offensiva del generale Khalifa Haftar su Tripoli, iniziata lo scorso 4 aprile. L’ultimo attacco due giorni fa, il 27 luglio, quando il LNA, l’autoproclamato Esercito Nazionale Libico, ha bombardato un ospedale da campo civile vicino Tripoli facendo 5 morti -4 medici e 1 infermiere- e 8 feriti, nello stesso giorno in cui il Presidente francese Emmanuel Macron ha avuto un colloquio, a Tunisi -dopo i funerali del Presidente tunisino Beji Caid Essebsi- con il premier libico Fayez Serraj, durante il quale Macron ha fatto appello alla «de-escalation militare, alla cessazione delle ostilità, ad un accordo politico sotto l’egida delle Nazioni Unite ed alla mobilitazione per la lotta contro il terrorismo» .
Le Nazioni Unite, esprimendo la condanna per il bombardamento, si sono mosse in queste ore: l’inviato ONU per la Libia, Ghassan Salamé, ha incontrato ieri il generale libico Khalifa Haftar a Rajma. Al centro del colloquio, «i recenti sviluppi in Libia e le strategie per tornare a una situazione di pace e dialogo». Salamé, che sabato aveva visto, a Tunisi, al-Serraj, ha «messo in guardia dalle conseguenze di un’escalation dei combattimenti e di un aumento delle interferenze straniere».
Sabato, le forze di Haftar avevano preso di mira per la prima volta la città di Misurata, «più di 10 obiettivi» colpiti, hanno dichiarato. Da considerare che i combattenti di Misurata rappresentano la principale forza di difesa del Governo di accordo nazionale di Tripoli. Questa mattina, le forze di Haftar hanno tagliato la principale via di rifornimento tra Tripoli e Misurata, secondo quanto sostenuto dal generale Ahmad al-Mesmari, portavoce del Lna, «via di rifornimento molto importante e strategica, usata dal loro principale accampamento militare, che gli garantiva armi, munizioni e combattenti da Misurata a Tripoli».
Secondo Gianandrea Gaiani, direttore di ‘Analisi Difesa’, l’attacco su Misurata non è l’anticamera della spallata finale di Haftar a Tripoli. Il fronte terrestre nelle operazioni intorno alla capitale non sembra destinato a sbloccarsi a breve. L’offensiva terrestre di fatto non c’è, è una guerra condotta grazie ai contributi degli sponsor (qatarini e turchi al fianco del Gna, egiziani ed emiratini a supporto dell’Lna). Entrambi i contendenti non hanno grandi capacità logistiche: per prendere Tripoli, secondo Gaiani, ci vorrebbero truppe corazzate per avvolgere, come in una tenaglia, la città, ma le milizie non sono in grado di usare i carri armati, non sanno usarle: fare funzionare i tank significa avere le capacità tecnologiche di cui le milizie non dispongono, ha dichiarato Gaiani all’agenzia ‘AGI’.
In effetti, Haftar più che conquistare terreno lavora molto di annunci e propaganda che poi non sono seguiti dai fatti, il che comincia essere evidente alle cancellerie internazionali e ciò non gli gioca a favore, anzi, sta mettendo a rischio un buon pezzo della sua credibilità.
Per altro da mesi si mette in discussione la sua figura, accusandolo di essere un moderno signore della guerra che cerca di consolidare la sua presa sul potere per favorire le sue nascenti imprese criminali. La sua rete e il LNA sono accusati di attività criminali e flussi finanziari illeciti, si va dal traffico di esseri umani, a varie forme di racket, estorsione e appropriazione indebita di fondi pubblici e corruzione.
Non bastasse, qualche volta compie errori grossolani, quello dell’attacco all’ospedale è stato un grave errore, il che gli attira il dissenso. Haftar da combattente contro il terrorismo islamico sta ora diventando un personaggio imbarazzante, le sue operazioni iniziano infastidire la comunità internazionale e in particolare quei Paesi che sarebbero suoi alleati e sostenitori. Uno dei primi segnali di ciò viene proprio dalla Francia, il Paese accusato di aver dato al generale il via libera per la presa di Tripoli e rifornirlo di armamenti.
Quel che sta emergendo, per quanto i media europei non sembrino propensi a darne visibilità, a differenza di quelli arabi, è il dissenso di alcune forze politiche francesi, forze forse marginali, ma potrebbero essere l’acqua che scava la montagna.
E’ della scorsa settimana la notizia che diciassette deputati francesi hanno chiesto, lo scorso 18 luglio, l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla presenza e l’azione della Francia in Libia nel periodo precedente e successivo all’offensiva del 4 aprile di Haftar.
Nel loro memorandum esplicativo, i deputati -la maggior parte dei quali fanno parte della sinistra di La France insoumise (LFI)- sottolineano che «Molti osservatori sospettano che vi sia un’attività clandestina a favore del signor Haftar, in contrasto con le dichiarazioni pubbliche dei rappresentanti della Francia», qualificando l’azione della Francia come ‘estremamente opaca’. «Per alcuni mesi ci sono stati sospetti sulle intenzioni e le azioni del Governo francese in Libia», si legge nella proposta.
Richiamando i fatti del 14 aprile relativi al convoglio francese che trasportava un grande arsenale intercettato al confine tra Libia e Tunisia, la spiegazione del Governo francese non è chiara, sostengono i parlamentari. Circa i missili Javelin acquistati dalla Francia negli Stati Uniti trovati a giugno in possesso delle forze di Haftar, i deputati si sono chiesti se la Francia abbia violato l’embargo imposto dalle Nazioni Unite sulle armi in Libia. Per loro, la risposta delle autorità francesi è ‘estremamente nebulosa’, sottolineando che l’azione ‘clandestina’ della Francia in Libia è un ‘segreto di Pulcinella’.
«(…), la diplomazia richiede la coerenza e non la pratica di un doppio discorso che fa perdere la nostra credibilità sulla scena internazionale», hanno affermato, spiegando che l’istituzione di una commissione di indagine parlamentare «deve consentire di chiarire la natura dell’azione della Francia in Libia e di verificare il rispetto dei nostri impegni internazionali».
Considerata l’inconcludenza di Haftar, e quanto la sua immagine e credibilità cominci essere difficile da sostenere, la Commissione potrebbe mettere seriamente a rischio il sostegno della Francia.