martedì, 21 Marzo
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Libia: il proficuo mercato degli esseri umani e il ricatto all’Italia

Il bombardamento del campo di detenzione di Tajoura, che ha provocato 53 morti e 130 feriti, ha riportato alla luce le condizioni degli immigrati bloccati in Libia grazie agli accordi siglati tra Paesi europei e il Governo di Tripoli per prevenire agli immigrati di arrivare in Europa via Mediterraneo.
Ieri, il Governo del premier libico Fayez al-Sarraj ha lasciato liberi 350 migranti che erano rinchiusi nel centro, 70 autorizzati e gli altri usciti e non fermati per evitare atti di violenza, come dichiarato dal  Ministro dell’Interno, Fathi Bashagha, che, riportano le agenzie, sembra escludere che si sia trattato dell’inizio di una liberazione generalizzata di tutti i migranti detenuti in Libia. La liberazione dei 350 era stata annunciata ieri, con un tweet, dalla filiale libica dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Centinaia di migranti del centro avevano iniziato uno sciopero della fame prima di questa uscita.

In nome della ‘Fortezza Europa’, la UE e l’Italia in primis, hanno accettato di essere complici di crimini contro l’umanità commessi in questi centri di detenzione. Crimini quali: scarne razioni di cibo e acqua che provocano malnutrizione severe, lavoro forzato, violenze sessuali, torture. 

Qualcuno potrebbe obiettare che i crimini non sono commessi dai Paesi ‘democratici’ e ‘civili’ dell’Europa, bensì da Paesi del ‘terzo mondo’. E questo corrisponde al vero. Ma se si è a conoscenza di questi crimini e si continua a rispedire gli immigrati in Libia, Paese in guerra civile dal 2011, addirittura pagando il Governo di Tripoli per internare questi immigrati, giuridicamente si parla di complicità, crimine di eguale gravità. 

Dal gennaio 2019 ad oggi 2.300 immigrati intercettati nel Mediterraneo sono stati deportati in Libia, secondo dati forniti dalle Nazioni Unite. Perché in Libia e non nei Paesi di origine? Per il semplice fatto che la Libia è geograficamente vicina, quindi la scelta diventa economicamente conveniente. Il Governo di Tripoli è condiscendente in quanto l’accoglienza di migranti è un ottimo affare per generali, politici e trafficanti. 

All’origine della nostra complicità in questi crimini contro l’umanità vi sono: gli accordi di Schengen del 1985, accordi che hanno trasformato una migrazione fino allora legale e controllata in una migrazione illegale e fuori controllo; e il Processo di Khartoum del 2014, che ha sancito la connivenza di rispettate democrazie con regimi dittatoriali, milizie, e altri attori assai dubbi in Libia e Sudan, tramite degli accordi firmati dalla Unione Europea o dai singoli Stati europei.

La situazione si è aggravata con l’offensiva militare del generale Khalifa Haftar – 1.048 morti, tra cui 106 civili, e oltre 5.500 feriti, è il bilancio dell’offensiva dell’Esercito nazionale libico su Tripoli, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità-  e con la crisi politica in Sudan, che dura dal dicembre 2018. «I Paesi europei hanno deliberatamente adottato una politica di cecità dinnanzi alla situazione degli immigrati in Libia. Gli accordi firmati tra Unione Europea e Libia non possono essere considerati semplici accordi di cooperazione»,  afferma Vincent Cochetel, Inviato Speciale delle Nazioni Unite per il Mediterraneo Centrale. 

Questi accordi firmati e mai resi pubblici, quindi coperti da segreto di Stato, sono doppiamente deleteri perché non solo espongono Unione Europea e singoli Paesi alla complicità per crimini contro l’umanità, ma anche perché i partner africani non sono affidabili. Si tratta di partner che di fatto sono regimi dittatoriali e discendenti dei predoni arabi che dal 1400 d.c. fino al 1700 d.c. gestivano la tratta degli schiavi dall’Africa. Numerose sono ormai le prove che questi regimi ricevono i soldi europei per limitare i flussi migratori dall’Africa e nello stesso tempo li gestisconoanche Haftar, secondo rapporti ben noti a Bruxelles-, in collaborazione con un network mafioso internazionale che coinvolge anche noti gruppi criminali europei ed italiani

Secondo i dati forniti dalla Organizzazione Internazionale per la Migrazione, almeno 5.200 immigrati sono attualmente detenuti nei campi di detenzione in Libia.
Tra loro vi sono decine di centinaia di rifugiati eritrei che tentano di scappare dal loro Paese, in quanto il regime eritreo dal 1998 (inizio della guerra contro l’Etiopia) ha reso la leva obbligatoria per tutti  gli uomini e donne dai 17 anni fino ai 50 anni. In poche parole, il regime di Asmara ha trasformato la sua popolazione in mano d’opera gratuita, i suoi cittadini in schiavi che vengono utilizzati per la realizzazione di opere pubbliche e, addirittura, offerti alle rare ditte straniere che operano ancora nel paese, tra cui varie ditte italiane. 

Per arginare gli effetti delle sanzioni economiche internazionali il regime eritreo ha basato la sua economia sulla schiavitù. Questo sistema di schiavitù continua tutt’ora nonostante la pace con l’Etiopia e la fine delle sanzioni economiche. Dinnanzi a questa situazione il tentare di fuggire dall’Eritrea non solo diventa l’unica scelta possibile, ma un dovere per ogni eritreo

La Commissione Europea informa che dal 2014 ad oggi sono stati stanziati 338 milioni di euro per programmi in sostegno di immigrati nella sola Libia e sono stati deportati in territorio libico 38.000 africani che tentavano di raggiungere l’Europa.
Nello stesso periodo sono stati stanziati 400 milioni di euro in favore del Sudan per le stesse motivazioni.
In tutto 738 milioni stanziati sarebbero stati più che sufficienti per programmi di inserimento di questi immigrati nel tessuto sociale ed economico europeo. Inoltre 38.000 persone in più in Europa sarebbero state facilmente assorbite senza particolari sforzi. 

L’Unione Europea negli ultimi due anni ha ricevuto vari e dettagliati rapporti sulle reali condizioni degli immigrati deportati in Libia e sulle connesse violazioni dei diritti umani. Rapporti redatti dalle Ong francesi Première Urgence Internationale e Medici Senza Frontiere, dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati UNHCR, dall’associazione americana in difesa dei diritti umani Human Rights Watch e non ultimo il dettagliato rapporto del Clingendael Institute.

Come abbiamo visto nel caso del Sudan, anche il Governo di Tripoli usa l’immigrazione come arma politica e fonte di guadagno economico. Il Presidente Fayez al-Sarraj, e il Governo di Accordo Nazionale, sono consapevoli che l’Europa, e sopratutto l’Italia, necessitano di qualcuno che faccia illavoro sporco’, di conseguenza ora alzano la posta. 

Il generale Ayoub Kacem, portavoce di quello che rimane della Marina militare libica, pur ricevendo milioni di euro, due giorni fa ha affermato che il suo Paese è diventato vittima dei flussi migratori, accusando i Paesi membri della Unione Europea di non essere sensibili al destino degli immigrati.

Giovedì 4 luglio il Governo di Tripoli ha reso noto di essere impegnato a considerare la chiusura di tutti i centri di detenzione di migranti in Libia, e il rilascio di tutti i migranti detenuti al fine di garantire la loro sicurezza dopo il bombardamento del centro di Tajoura. Questa dichiarazione è stata fatta in contemporanea alla richiesta avanzata alle Nazioni Unite per l’avvio di una inchiesta internazionale e indipendente sulle responsabilità del raid areo a Tajoura, riscontrando parere favorevole dell’Unione Africana. Attacco per il quale è stato fin da subito accusato Khalifa Haftar.

L’affermazione del Governo di Tripoli ha immediatamente preoccupato le diplomazie europee e in special modo il Governo italiano.
Grazie ai soldi europei e ai crimini contro l’umanità commessi da Tripoli, il numero di immigrati illegali e di rifugiati dalla Libia all’Italia è diminuito dell’87% tra il 2016 e il 2017. La principale arma usata dai ‘soci libici’ è il ricorso sistematico alla violenza contro gli immigrati compiuta da trafficanti, milizie e altri gruppi criminali. 

Il giorno successivo, venerdì 5 luglio, il Governo di Tripoli ritratta la dichiarazione sulla possibile decisione di chiudere i centri e rilasciare tutti gli immigrati. É l’Ambasciatore libico a Roma, Omar Tarhouni, a dichiararlo, affermando che non vi è stata nessuna dichiarazione ufficiale da parte del Ministro degli Interni. Il Governo di Tripoli stava solo esaminando i mezzi più adatti per proteggere l’incolumità degli immigrati, le dichiarazioni attribuite al Ministro degli Interni  Bashagha, e interpretate come una sorta di ‘ricatto’ all’Italia ed alla comunità internazionale, non sono da considerarsi fondate. «Io non ho visto alcuna dichiarazione ufficiale in tal senso. Il ministro ha detto che, considerata la situazione di conflitto, c’è un rischio, un pericolo per i  migranti che si trovano lì. Ma non ha detto che vuole rilasciarli», ha dichiarato l’Ambasciatore. Piuttosto, secondo Tarhuni, il Governo di Tripoli torna a chiedere l’aiuto dell’Italia, dell’Ue e delle Nazioni Unite «per rimpatriarli: vorremmo dare loro la possibilità  di tornare nei Paesi di origine».

Le rassicuranti affermazioni di Tarhuni, secondo nostre fonti in Libia, non sono corrispondenti alla realtà. Il Governo di Tripoli, secondo le nostre fonti, stava facendo pressioni molto forti sull’Italia e l’Europa, convinto che, dopo la vicenda della #SeaWatch, era giunto il momento favorevole per alzare la posta in gioco chiedendo più soldi per continuare il ‘lavoro sporco’ di controllo dei flussi migratori verso l’Europa.
Secondo le nostre fonti, sarebbe stata avanzata una richiesta di ulteriori fondi per il rimpatrio degli immigrati. Un rimpatrio i cui termini non sono stati ben chiariti. Gli immigrati verranno messi su aerei di linea in direzione di loro Paesi di origine oppure semplicemente scortati al di là dei confini libici e abbandonati alla loro sorte? 

Il ricatto libico starebbe funzionando. Già da venerdì scorso la Farnesina si sarebbe messa al lavoro per individuare soluzioni di emergenza, nel timore che il rilascio degli immigrati crei nuovi flussi migratori verso l’Europa tramite nuove vie di transito.
Il Presidente al-Sarrāj conosce bene l’efficacia di questi ricatti. Nel 2017 i generali sudanesi Mohamed Hamdan Daglo (detto Hemetti), capo delle milizie arabe Rapid Support Forces (RSF), e Salah Gosh, ex capo dei servizi segreti NISS, avevano minacciato l’Italia e l’Unione Europea di interrompere la loro collaborazione sul controllo dei flussi migratori dal Sudan ottenendo immediatamente fondi supplementari, fondi che furono poi utilizzati per comprare altre armi e munizioni per le RSF e NISS, le principali forze di repressione del regime islamico sudanese e responsabili del genocidio in Darfur.

Questo ricatto, secondo le nostre fonti, sembra destinato a funzionare,  altri soldi verranno stanziati affinché i libici facciano la loro parte in questo ignobile dramma.
Non è stato possibile verificare se la liberazione dei 350 migranti di ieri sia un messaggio per Roma o meno.

Il ruolo della Libia diventa ora di importanza vitale, visto che il secondo partner europeo, il regime islamico sudanese, è nel pieno caos politico, quindi incapace di far fronte agli obblighi assunti in cambio dei milioni di euro elargiti. 

Ruolo di Tripoli fondamentale anche in considerazione del secco rifiuto dello scorso marzo venuto dall’Unione Africana al progetto dell’Unione Europea (caldeggiato dal Ministro degli Interni Matteo Salvini) per la creazione dipiattaforme regionali di sbarcoin Africa’  (controllate da UE e ONU), presso le quali i migranti raccolti nelle acque europee del Mediterraneo verrebbero stazionati in centri di accoglienza -in Paesi africani, appunto- in attesa che la loro domanda d’asilo venga esaminata nei Paesi europei. Progetto avanzato durante il Consiglio europeo del 28 giugno 2018.
L’Unione Africana (UA) ha definito la proposta di Bruxelles una grave violazione del diritto internazionale e un tentativo di creare un moderno mercato degli schiavi. I centri di accoglienza che dovrebbero sorgere nei Paesi africani, finanziati dall’Europa, sono stati definiti dai Capi di Stato africani ‘centri di detenzione’. La posizione della UA è totalmente condivisa da tutte le associazioni in difesa dei diritti umani, sia africane che internazionali, e dalle società civili del continente. 

Il Governo di Tripoli, ci riferiscono dalla capitale libica, otterrà quello che vuole e i fondi saranno destinati non a migliorare le condizioni di vita degli immigrati, o a rafforzare la loro protezione da raid aerei, ma a comprare nuove armi e munizioni al fine di contrastare l’offensiva della Libyan National Army guidata dal generale Haftar. Soldi che finiranno nelle tasche del Governo turco che, proprio in questi giorni, sta approvvigionando il governo di Tripoli di armi e munizioni, certamente non gratuite.
Per intanto, a titolo di ‘antipasto’, il 3 luglio, la Camera aveva approvato il rifinanziamento (56,3 milioni di Euro) della missione italiana in Libia e il sostegno alla Guardia costiera libica, e lunedì 8 luglio (la Farnesina era da venerdì 5 a caccia di soldi per Tripoli),  il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, presieduto dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini, ha deliberato altre dieci motovedette italiane da consegnare alla guardia costiera libica entro l’estate.  

Per ottenere maggior fondi possibili Tripoli starebbe truccando i numeri degli immigrati detenuti. Subito dopo il raid aereo, il Governo tripolitano aveva dichiarato che nel centro di Tajoura erano internati 120 immigrati di cui solo 10 usciti indenni dal vile attacco. Ora il numero degli internati è salito a 500. Anche il numero di internati registrati negli altri centri di detenzione è soggetto a revisioni al rialzo, forti del fatto che le uniche cifre disponibili sono quelle fornite dallo stesso Governo libico. Ogni immigrato aggiunto corrisponde a maggior fondi e, quindi, a maggior disponibilità finanziaria del Governo di Tripoli per acquistare armi e munizioni dalla Turchia o da altri Paesi, forse anche europei. 

Insistere sulla soluzione di mantenere i centri di detenzione in Libia per contenere i flussi migratori è sbagliato, come dimostrano le esperienze dell’Australia e degli Stati Uniti, dove i centri sono diventati una specie di ‘case dell’orrore’, dove si consumano quotidianamente numerose violazioni dei diritti umani: detenzioni arbitrarie, violenze sessuali, abusi, trattamenti crudeli, degradanti e disumani, sevizie sui minori, torture e anche casi di decesso. 

Se queste gravi violazioni dei diritti umani avvengono in Paesi occidentali, a maggior ragione avvengono anche in Libia, dove, dal 2011, non esiste uno Stato. «Il supporto ai centri di detenzione da parte dell’Unione Europea si traduce nel sostegno a forze repressive che violano i diritti umani», faceva osservare  il ‘Washington Post’ nell’agosto 2017…

Questa cooperazione dimostra la volontà dell’Italia e dell’Unione Europea di chiudere tutti e due gli occhi dinnanzi agli abusi dei diritti umani. Italia e Unione Europea, ci fa notare un intellettuale libico dietro ampie assicurazioni di copertura della sua identità, “con la loro folle politica di contenimento dei flussi migratori, sono diventate ostaggio di arabi taglia gole che non riflettono un solo istante a supportare (se vi è la convenienza) i loro amici terroristi islamici di Al-Qaeda Magreb e Daesh, quelli che, se non erro, ogni tanto si divertono a seminare morte e distruzione in varie città europee…”.

Invece di provare a trovare una via di sana uscita, “l’attuale Governo italiano, con il Ministro degli Interni, sfrutta la situazione per fini politici di bassa lega. Una politica populista fondata su false rappresentazioni dell’insicurezza nazionale e veicolata da campagne propagandistiche e fake news”, prosegue il nostro interlocutore da Tripoli, proprio quando «i dati oggettivi indicano i vari fenomeni criminali in diminuzione o non rispondenti all’allarme sociale suscitato»,  come fa notare il Sindacato di Polizia. 

Ieri, la Senatrice di +Europa Emma Bonino, intervenendo nell’aula di Palazzo Madama durante la discussione sulle risoluzioni relative alle missioni internazionali del 2019 (il provvedimento approvato il 3 luglio alla Camera), ha affermato, rivolgendosi ai Colleghi dell’area di Governo: «Voi sapete perfettamente che tutti coloro che rimandate indietro, attraverso la guardia costiera libica da noi supportata e armata, in prosecuzione di decisioni prese prima su cui io ero contraria, li rimandate in luoghi di tortura. E’ una violazione del diritto internazionale. Non penso sia una grande politica quella di ergere muri acquatici o di filo spinato rimandando la gente alle morti, alle torture e agli stupri». Aggiungendo poi il suo ‘No’ alla missione:  «Per come stanno andando le cose in Libia, in presenza di una vera e propria guerra civile, con l’aeroporto fuori uso e con il nostro Ministro degli Esteri che dichiara pubblicamente che non è un posto sicuro, io credo che la proroga della missione che il Governo chiede sia irresponsabile. Cosi’ come stanno le cose, io penso che sia bene sospendere la missione e darci il tempo per riflettere su come coinvolgere gli altri Paesi europei», ha concluso Bonino.

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