L’uomo forte della Libia, il Maresciallo Khalifa Haftar (che ha tenuto prigionieri per 3 mesi i 18 pescatori di Mazara del Vallo, accettando di liberarli dopo la visita del premier Giuseppe Conte e del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio) ha ‘dichiarato guerra’ alla Turchia. «Non ci sarà pace in presenza di un colonizzatore sulla nostra terra»,ha dichiarato Haftar giovedì scorso, in occasione del 69° anniversario dell’indipendenza della Libia. «Quindi riprenderemo le armi per plasmare la nostra pace con le nostre stesse mani. Poiché la Turchia rifiuta la pace e opta per la guerra, preparati a scacciare l’occupante per fede, volontà e armi».
L’obiettivo è palesemente esposto. Haftar, supportato da Egitto, Emirati Arabi, Francia, Russia, intende sconfiggere le forze turche. Il loro intervento, con consiglieri militari, materiale e mercenari, ha bloccato l’offensiva contro il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, quando era ad un passo dalla vittoria. Il sostegno diretto è la conseguenza pratica degli accordi siglati nel novembre 2019 tra Ankara e Tripoli tesi a controllare i confini marittimi del Mediterraneo e a rafforzare forme dirette di cooperazione militare.
«Ufficiali e soldati, preparatevi», ha esortato Haftar, chiamando centinaia di soldati in parata in una caserma militare nella città portuale orientale di Bengasi. La dichiarazione di guerra giunge una settimana dopo che il Parlamento di Ankara ha adottato una mozione che proroga di 18 mesi lo spiegamento di soldati in Libia.
La dichiarazione di guerra di Haftar è stata presa in seria considerazione da Ankara. In risposta al proclama di Haftar, il Ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, si è recato in Libia per ispezionare le unità militari turche. Durante la visita ha lanciato un monito al maresciallo Haftar. «Un criminale di guerra, assassino, i suoi sostenitori devono sapere che saranno considerati un obiettivo in caso di attacco alle truppe turche dislocate in Libia».
Dalle parole ai fatti il passo è stato breve per Haftar. Le sue truppe hanno occupato la piccola ma strategica città di Ubari, nel sud della Libia fino ad ora controllata da Tripoli. Il generale Ali al Sharif, leader militare delle forze del GNA, ha accusato la Francia di aver non solo sostenuto l’offensiva militare che ha violato la tregua, ma di averla addirittura ordinata, con l’obiettivo di rafforzare la presenza della multinazionale petrolifera TOTAL in Libia, Sahel e Sahara. La zona di Ubari è ricca di petrolio… Secondo fonti accreditate, l’offensiva su Ubari sarebbe stata condotta con una forte presenza di mercenari russi che hanno partecipato ai combattimenti.
Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra del ‘Corriere della Sera’, ci offre una visione chiara dei giochi internazionali in ballo in Libia. «A meno di tre mesi del cessate il fuoco dichiarato tra Tripolitania e Cirenaica, grazie alla mediazione dell’Onu, sono oggi più che mai Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan a dettare le regole del gioco tramite i loro militari schierati nel Paese. S’indebolisce così la speranza della nascita di un governo unitario e cresce invece l’opzione di una divisione a metà del Paese sotto l’influenza a est russa e ad ovest turca».
Le dichiarazioni di guerra contro la Turchia pronunciate da Haftar e l’offensiva militare su Ubari segnano la fine della tregua firmata siglata lo scorso ottobre. Haftar e il suo rivale appoggiato dalla Turchia erano tornati al tavolo dei negoziati. Una tregua che non poteva evolversi in una fine del conflitto, secondo esperti regionali. Nonostante l’arresto dei combattimenti, entrambe le parti stanno rispettando i termini del cessate il fuoco per rafforzare le forze militari.
Se Cremonesi individua Putin e Erdogan come i principali attori stranieri nel conflitto libico, Egitto ed Etiopia rappresentano due punti chiave per quella che è ormai diventata una guerra geopolitica combattuta in remoto da Europa, Russia, monarchie arabe e Turchia.
Lunedì 21 dicembre il Parlamento egiziano ha autorizzato il dispiegamento di truppe fuori dal Paese, dopo che il Presidente ha minacciato un’azione militare contro le forze sostenute dalla Turchia nella vicina Libia. Il Parlamento ha approvato all’unanimità «il dispiegamento di membri delle forze armate egiziane in missioni di combattimento al di fuori dei confini egiziani per difendere la sicurezza nazionale egiziana … contro le milizie armate criminali e gli elementi terroristici stranieri», recita il comunicato.
La possibilità di uno scontro tra forze militari egiziane e turche in Libia diventa ora probabile. L’Egitto è da tempo impegnato a limitare l’espansionismo turco nel Mediterraneo e Nord Africa. Il generale Abdel Al-Sisi è convinto che Erdogan voglia rifondare l’Impero Ottomano, di cui l’Egitto faceva parte. Anche se questa convinzione non fosse fondata, l’espansionismo turco nel Mediterraneo e Nord Africa ridimensiona il ruolo dell’Egitto, che ha sempre esercitato una importante influenza sulla regione. La Libia potrebbe essere il primo terreno di scontro tra Egitto e Turchia, ma altri focolai di guerra si stanno profilando all’orizzonte.
Il maldestro tentativo di eliminare con le armi l’avversario politico -il Tigray People’s Liberation Front (TPLF)- del Primo Ministro etiope Abiy Ahmed Ali, ha determinato un altro scenario di guerra regionale. Già coinvolti militarmente Eritrea ed Emirati Arabi, a fianco del governo federale, e il Sudan, probabilmente a fianco del TPLF. L’Egitto sta studiando le opportunità di intervento nel conflitto etiope attraverso una per procura, al fine di risolvere a suo favore il contenzioso delle acque sul Nilo e la contestata mega diga Grande Rinascita. La Turchia, seppur fino ad ora non abbia manifestato chiare intenzioni, potrebbe entrare a sua volta nel conflitto etiope in chiave anti–Cairo. Se la Libia è già una Siria africana, l’Etiopia ne corre il rischio.
L’Unione Europea è divisa e sembra essere stata travolta dagli eventi. L’ostinazione a non far entrare la Turchia nella UE e la successiva debolezza dimostrata da Bruxelles di fronte all’espansionismo turco nel Mediterraneo che sta minacciando la Grecia (suo storico rivale), hanno rafforzato le ambizioni imperialiste di Erdogan. A complicare la situazione c’è la partecipazione turca alla NATO. Tecnicamente la Turchia fa parte del sistema di difesa europeo architettato e controllato dagli Stati Uniti.
I Paesi europei non hanno una linea comune sulla Libia. Alcuni appoggiano Tripoli, altri il maresciallo Haftar, altri oscillano da una parte all’altra a fasi alterne, come l’Italia. Il Governo italiano è di fatto accusato di doppio gioco, in quanto ufficialmente sostiene il Governo di Accordo Nazionale di Fayez Al-Sarraj, ma allo stesso tempo appoggia indirettamente Haftar. Secondo alcuni specialisti italiani di politica estera l’atteggiamento dell’Italia farebbe notare «l’assoluta mancanza di una visione strategica sulla Libia e il Mediterraneo che vada al di là della ossessione di dover fermare una (inesistente) invasioni migranti dall’Africa».
L’appoggio incondizionato della UE all’Egitto è stato garantito nella speranza che Al-Sisi possa costituire un baluardo e riesca a contenere l’espansionismo turco nella regione. Nello stesso tempo, Bruxelles cerca di evitare che l’Egitto entri nel conflitto etiope, in quanto dal 2018 la UE ha deciso di puntare sul Primo Ministro Abdiy, presentandolo come un riformista e un democratico, dopo aver fatto affari d’oro durante i 30 anni di potere del TPLF. Lo stesso dilemma viene affrontato dagli Stati Uniti. Per l’Occidente si sta materializzando il rischio di interventi armati egiziani sia il Libia che in Etiopia.
Il Generale Abdel Fattah al-Sisi, punta di diamante del regime dell’ex Presidente Hosni Mubarak in qualità di Direttore della Intelligence militare, sta godendo di una deplorevole omertà e ‘green light’ che lo mette al riparo dalle quotidiane violazioni dei diritti umani e civili in Egitto, proprio per la sua promessa di erigere un baluardo invalicabile contro la Turchia. Una promessa che gli permette di ricevere grossi quantitativi di armi, soprattutto da Stati Uniti, Francia e Italia. Queste armi nel 2021 potrebbero servire per ‘regolare i conti’ con l’Etiopia, risolvendo con la forza bruta la complicata controversia sulle acque del Nilo.