Amnesty International, sollecita tutti i partecipanti alla ‘Conferenza Per la Libia’ di Palermo ad assicurare che «i diritti umani di tutte le persone presenti in Libia, migranti e rifugiati compresi, siano posti al centro dei negoziati». I migranti, la situazione dei migranti in Libia, non pare il tema esattamente al centro delle discussioni, per quanto le migrazioni (ovvero il blocco degli arrivi in Italia) sia una delle motivazioni forte (insieme al petrolio) alla base di tutti gli sforzi che l’Italia sta compiendo in Libia, conferenza di Palermo in primis.
Oggi ARCI, ASGI, AMNESTY ITALIA, in una conferenza stampa dal titolo ‘Le verità scomode sugli accordi con la Libia e le sue milizie’, presentano cosa sta accadendo davvero in Libia dopo l’accordo stretto dall’Italia con il Governo con quel Paese in tema di flussi migratori.
Le navi delle Ong, sostengono gli organizzatori, non possono più svolgere l’attività di ricerca e soccorso. Chi scappa dall’inferno libico, viene catturato e riportato in Libia dalla cosiddetta ‘guardia costiera libica’, rinchiuso in centri di detenzione finanziati dall’Italia e dall’UE, dove i migranti vengono sottoposti a trattamenti disumani e degradanti, come è ormai ampiamente stato documentato.
‘Le Monde’ nell’intervento pubblicato ieri in occasione dell’apertura della Conferenza di Palermo sulla Libia, -‘La rivalité entre Rome et Paris complique encore la situation en Libye’-, a questo proposito è più che esplicito: mentre la Francia è orientata sulla linea dell’antiterrorismo appoggiando il maresciallo Haftar, Roma ha investito sui gruppi armati in Tripolitania per mettere a sicuro i pozzi di petrolio e bloccare l’immigrazione. La parte di Libia guidata da Sarraj è quella storicamente più vicina all’Italia, dove si trovano anche le principali installazioni dell’ENI. «Gli italiani fanno degli accordi un pizzico mafiosi con delle milizie», ha affermato una fonte diplomatica francese rimasta anonima e riportata dal servizio.
Milizie che controllano il mercato della morte, come già nell’aprile 2017 noi aveva denunciato con una corrispondenza dalla Libia.
Amnesty Italia, che già in agosto aveva diffuso un report –‘Tra il diavolo e il mare blu profondo. I fallimenti dell’Europa su rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale’- nel quale accusava l’Italia, Malta e l’Europa di essere «collusi con i libici» e di usare come «moneta di scambio le vite dei migranti», mettendo in evidenza come le nuove politiche italiane abbiano lasciato le persone bloccate in mare per giorni e analizzava come i Paesi dell’Unione europea stiano cospirando per contenere rifugiati e migranti in Libia, dove sono esposti a torture e abusi. Era la triste conferma delle responsabilità italiane, che avrebbe dovuto spingere l’Italia a un atto di assunzione di responsabilità (e approntamento di una difesa). Nulla è accaduto, anzi, i casi di Asso 28 e della Diciotti sono esempio della piena riconferma delle politiche dell’ultimo anno, rafforzate dal così detto Decreto Salvini.
Ieri, proprio in coincidenza con la conferenza internazionale sulla Libia di Palermo per trovare soluzioni alla paralisi politica nel Paese, Amnesty Italia ha diffuso il report ‘ Libya: EU’s patchwork policy has failed to protect the human rights of refugees and migrants’, a un anno dall’emergere di filmati scioccanti di migranti apparentemente venduti come merce in Libia, che ha spinto a riflettere sulla politica migratoria dell’UE, il documento contiene le conclusioni circa la situazione attuale.
Una serie di soluzioni e promesse non ha migliorato la situazione dei rifugiati e dei migranti, sostiene Amnesty International. Di fatto, le condizioni per profughi e migranti sono peggiorate in gran parte durante lo scorso anno (non ultimo a causa del fallimento del Processo di Khartoum) e gli scontri armati a Tripoli che si sono svolti tra agosto e settembre quest’anno hanno solo aggravato ulteriormente la situazione.
Lo scorso marzo era già evidente il peggioramento della situazione dei migranti causa soprattutto il controllo del territorio attuato dalle milizie, ovvero bande di criminali usciti dalle prigioni dopo la caduta di Tripoli. In un servizio di Hanne Herland lo avevamo raccontato. E ancora prima, a dicembre 2017, l’orrore libico ci era stato raccontato dalla portavoce delle tribù libiche, Linda Ulstein.
Le politiche degli Stati membri dell’Unione europea per fermare l’immigrazione, e l’insufficienza dei posti messi a disposizione per il reinsediamento dei rifugiati, continuino ad alimentare un ciclo di violenza, intrappolando migliaia di migranti e rifugiati all’interno dei centri di detenzione libici, in condizioni agghiaccianti.
Negli ultimi due anni gli Stati membri dell’Unione europea hanno posto in essere una serie di misure per bloccare l’attraversamento del Mediterraneo centrale, rafforzando le capacità della Guardia costiera di intercettare imbarcazioni, stringendo accordi con le milizie libiche (quanto rinfacciato da ‘Le Monde’) -in nome del «rischio per la tenuta democratica del Paese» sostenuto dall’allora Ministro degli Interni Marco Minniti, era sembrata la soluzione di ‘necessario pragmatismo’ come ci spiegò il direttore di ‘Analisi Difesa’, Gianandrea Gaiani– e ostacolando il lavoro delle Ong impegnate nelle operazioni di ricerca e soccorso.
Queste politiche hanno determinato la diminuzione degli approdi in Italia di quasi l’80 per cento: da 114.415 tra gennaio e novembre 2017 ad appena 22.232 fino a ora nel 2018. Nei centri di detenzione libici sono trattenuti circa 6.000 migranti e rifugiati.
«Mentre la rotta marittima del Mediterraneo centrale è quasi completamente chiusa e le autorità libiche mettono illegalmente in carcere i rifugiati rifiutando di rilasciarli sotto la protezione dell’Unhcr, l’unico modo per uscire dai centri di prigionia è l’evacuazione verso un altro Paese attraverso i programmi gestiti dalle Nazioni Unite. Per quanto riguarda i rifugiati, che evidentemente non possono tornare nel Paese di origine, la mancanza di posti per il reinsediamento sta facendo sì che migliaia di loro restino abbandonati nei centri di detenzione libici».
«Le crudeli politiche attuate dagli Stati dell’Unione europea per impedire gli approdi sulle loro coste, insieme al loro insufficiente contributo in termini di percorsi sicuri che potrebbero aiutare i rifugiati a raggiungere la salvezza, significa che migliaia di uomini, donne e bambini restano intrappolati in Libia e continuano a subire violenze orribili, senza una via d’uscita», ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
«All’interno dei centri di detenzione libici i migranti e i rifugiati rischiano regolarmente di subire torture, estorsioni e stupri», denuncia Amnesty, ricordando come l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha registrato 56.442 rifugiati e richiedenti asilo in Libia e ha ripetutamente chiesto ai governi, europei e non, di reinsediarli, anche attraverso l’evacuazione via Niger. Finora sono stati messi a disposizione solo 3.886 posti per il reinsediamento da parte di 12 Paesi e solo 1.140 rifugiati sono stati effettivamente reinsediati dalla Libia e dal Niger, sottolinea Amnesty, secondo cui «tra dicembre 2017 e febbraio 2018 l’Italia ha evacuato, trasferendoli sul suo territorio, 312 richiedenti asilo ma non vi sono state ulteriori evacuazioni fino al reinsediamento di 44 rifugiati il 7 novembre».
«L’apertura di un a lungo promesso centro dell’Unhcr a Tripoli, che potrebbe dare riparo a un migliaio di rifugiati, viene ripetutamente ritardata -evidenzia Amnesty- La sua apertura sarebbe indubbiamente un gesto positivo ma riguarderebbe solo una piccola parte dei rifugiati in stato di detenzione e non offrirebbe comunque una soluzione sostenibile».
«Mentre fanno il massimo per fermare le partenze e aiutare la Guardia costiera libica a intercettare persone in mare e a rispedirle nei famigerati centri di detenzione, i Governi europei hanno catastroficamente mancato di mettere a disposizione altre rotte per lasciare la Libia a coloro che ne hanno più bisogno», ha sottolineato Morayef
«Siccome l’Europa non vuole allungare una cima di salvataggio a coloro che ne avrebbero disperatamente necessità e che restano bloccati nei centri di detenzione libici a rischiare violenza, è il momento che le autorità della Libia si prendano le responsabilità per le loro atroci politiche di detenzione illegale e proteggano i diritti umani di tutte le persone che si trovano nel loro territorio», ha proseguito Morayef.
Gli scontri armati avvenuti a Tripoli tra agosto e settembre hanno reso la situazione più pericolosa anche per i migranti e i rifugiati. Alcuni detenuti sono stati feriti da pallottole vaganti. In altri casi, chi doveva sorvegliare le carceri è fuggito per scampare agli attacchi lasciando migliaia di detenuti senza acqua né cibo, conclude Amnesty International, sollecitando tutti i partecipanti alla Conferenza di Palermo ad assicurare che «i diritti umani di tutte le persone presenti in Libia, migranti e rifugiati compresi, siano posti al centro dei negoziati». L’attenzione a Palermo è rivolta all’accordo politico, gran parte del quale sarà incentrato sul controllo del territorio e dunque del petrolio, che resta il tema centrale. Da qui, in tempi sicuramente non brevi, si potrà capire che ne sarà delle migliaia di uomini e donne in fuga.