Si è conclusa la controversa esperienza di governo di Ahmed Maiteeq, il politico indipendente ma appoggiato dalle frange islamiste che lo scorso 9 maggio è stato nominato Primo Ministro ad interim della Libia in sostituzione del dimissionario Abdullah al-Thinni. Un verdetto della Corte suprema libica ha difatti stabilito l’incostituzionalità della votazione parlamentare che ha condotto all’elezione dell’uomo di Misurata. La votazione del 5 maggio, condotta in un Parlamento stravolto dal caos e dalla confusione, aveva visto convalidata dal Presidente del Congresso, l’islamista Nuri Abu Sahmain, la vittoria di Maiteeq nonostante diversi parlamentari sostenessero che non fosse stato raggiunto il quorum di 120 voti (2/3 del Congresso) necessari per l’elezione. La questione ha causato il protrarsi di una grave situazione di stallo, in cui al-Thinni e Maiteeq si contendevano il diritto al ruolo di Primo Ministro.
La sentenza della Corte pone nuovamente al suo posto Abdullah al-Thinni, già Ministro alla Difesa, designato nello scorso marzo come successore di Ali Zeidan, in seguito alla fuga dell’ex Premier sfiduciato per via delle vicende legate alle esportazioni di petrolio autonome da parte delle milizie dell’Est del Paese. A metà dello scorso marzo, al-Thinni, incaricato di formare una nuova squadra di governo, aveva annunciato l’intenzione di lasciare il potere in seguito a nuove elezioni parlamentari, da tenersi a giugno. La scelta di al-Thinni è stata legata a un attacco subito fuori dalla sua residenza da parte di uomini armati nei giorni successivi alla sua nomina.
I membri delle frange islamiste del Parlamento nazionale hanno deciso di approfittare del vuoto di potere per cercare di portare avanti la candidatura di un nuovo Premier, senza attendere il voto che avrebbe dovuto formare il nuovo governo. Tale mossa ha prodotto un lungo stallo parlamentare, che ha spinto al-Thinni a decidere di impegnarsi in maniera attiva per contrastare le mosse del rivale Maiteeq. Allo stallo politico, corrisponde quello economico. L’est libico, cuore della produzione del petrolio del Paese, è da mesi bloccato da milizie separatiste, gruppi tribali e scioperi dei lavoratori che stanno bloccando gli impianti di raffinamento e i terminal di esportazione e riducendo al minimo gli introiti legati al commercio di idrocarburi, vitali per la poco diversificata economia libica. L’esportazione petrolifera, che costituisce la quasi totalità degli export dell’industria libica, è crollata da metà 2013, in seguito all’aggravamento delle tensioni che lacerano il Paese e all’impossibilità delle autorità libiche di tenerle sotto controllo; dal totale di 1,4 milioni di barili di petrolio esportati quotidianamente nel giugno scorso, il livello è sceso notevolmente, oscillando oggi tra i 150mila e i 200mila barili al giorno.
«Le compagnie petrolifere straniere hanno portato via il loro staff e interrotto le operazioni di esplorazione, mentre i clienti europei che hanno bisogno di olio si sono rivolti altrove per forniture più celeri. La decisione della corte di lunedì scorso che ha risolto un’impasse tra governi rivali è stata ben accolta dai ribelli che controllano alcuni dei maggiori terminali petroliferi di Es Sider e Ras Lanuf, e solleva speranze riguardo l’arrivo di un accordo per far ripartire i principali impianti d’esportazione. Ma anche se un accordo per far ripartire tutti gli impianti e i porti venisse trovato, fonti interne all’industria e ufficiali del National Oil Corp della Libia sostengono che sia oggi difficile stabilire quale danno sia stato apportato alle preziose infrastrutture petrolifere o quanto tempo sia necessario per ritornare ai livelli anteguerra». Le problematiche legate alle incognite riguardanti l’effettiva possibilità di ripresa della produzione ed esportazione petrolifera ai livelli di un anno fa stanno creando preoccupazione internazionale, e sono state tra le tematiche maggiormente discusse ai recenti summit dei Paesi OPEC. «Sei mesi fa» scrive il ‘Wall Street Journal’ «una delle principali preoccupazioni dell’OPEC riguardava la possibilità che un boom nella produzione shale statunitense potesse bloccare i mercati fornendo un’eccessiva quantità di olio. Oggi, il gruppo di alcuni dei maggiori produttori di petrolio ha una preoccupazione più immediata: come compensare la perdita di crudo libico in una fase storica in cui aumenta la domanda e crescono le tensioni tra la Russia e l’Occidente».
Il disordine imperante nel Paese consente ai miliziani di prendere in mano il sistema della giustizia e amministrarlo in completa autonomia, senza rendere conto alle autorità ufficiali e gestendo casi di varia entità e portata nella totale informalità. «La Libia sta fallendo nell’istituire lo stato di diritto e proteggere i diritti dei cittadini, mentre il Paese scivola più a fondo nell’illegalità» scrive l’Organizzazione Human Rights Watch nel suo World Report del 2014. «Mentre il governo ha limitata abilità per mettere sotto controllo le centinaia di milizie armate che portano avanti abusi e operano al di fuori del controllo governativo, è necessario effettuare progressi nel riformare le repressive leggi che violano i diritti umani e mettono a rischio la transizione verso la democrazia del Paese».