Il 77.esimo posto non è certamente confortante e probabilmente ce lo meritiamo tutto. Di sicuro nella graduatoria che ogni anno compila Reportes sans frontierés sulla libertà di stampa incidono due aspetti che hanno fatto retrocedere l’Italia di quattro posti.
Intanto l’atteggiamento del Vaticano sul caso dei ‘corvi‘, il cosiddetto Vatileaks, cioè il processo (giudicato iniquo ) a Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi che rischiano fino a otto anni di carcere per aver svolto inchieste su scandali e intrighi all’interno della Santa Sede. «Ma in Vaticano non esiste una legge sulla libertà di stampa», ha ammesso lo stesso Nuzzi.
E poi le minacce e le intimidazioni, gravissime, a tanti cronisti impegnati sul fronte della mafia. Sicuramente quattordici (secondo un rapporto dell’Ordine dei Giornalisti addirittura fra i 30 e i 50) vivono in questo momento sotto scorta. Ma gli attacchi sono stati molto più numerosi: addirittura 132 soltanto nei primi quattro mesi del 2016 (quasi tremila negli ultimi dieci anni), con una sorpresa: le regioni più colpite sono state il Lazio (più della Sicilia) e la Lombardia (alla pari con la Campania), segno che non esistono più ‘isole felici’ e le infiltrazioni mafiose non conoscono confini.
Per non parlare delle ‘querele temerarie‘, specie alle piccole testate, che di fatto limitano di molto la possibilità di fare inchieste scottanti contro i ‘poteri forti’.
Paghiamo questo e ce lo meritiamo, ma c’è da dire anche che «in tutto il mondo la libertà di stampa è in consistente e preoccupante declino», come ha ammesso Reportes sans frontierés nel riassumere i dati sullo stato dell’informazione. Ovunque, sottolinea Rsf, «i leader politici sono ‘paranoici‘ nei confronti dei giornalisti e la sopravvivenza di un’informazione indipendente sta diventando sempre più precaria, sia nei media privati o controllati dagli Stati, a causa delle ideologie, soprattutto religiose, ostili alla libertà di stampa». Una minaccia consistente al giornalismo indipendente è rappresentata inoltre anche da «strumenti di propaganda su larga scala».
Un’analisi approfondita del rapporto presenta tuttavia alcune anomalie.
La Finlandia, e comunque tutte le regioni scandinave, intanto sono presentate come il ‘paradiso’ dei giornalisti, dove c’è libertà assoluta. Ma la posizione, per esempio, della giustizia svedese sul ‘caso Assange’ meriterebbe almeno qualche dubbio.
Meglio di noi, sia pure di un solo posto, sta l’Armenia. Forse non sono stati presi in considerazione i 237 arresti per una manifestazione contro l’aumento dell’elettricità e il pestaggio dei giornalisti denunciato dalla giovane Tehmina Yenoqyan o l’arresto di Ani e Sarkis Gevorkyan durante le proteste contro il sistema pensionistico.
Molte ombre sicuramente ci sono anche sulla Romania ( 52esimo posto) dov’è in atto una guerra fra il Governo e i media indipendenti e dove i reporter subiscono evidenti pressioni politiche ed economiche.
E anche in Moldova (76esimo posto), almeno nei confronti dei corrispondenti russi.
Sicuramente c’è una progressiva erosione del modello europeo. Soprattutto -rileva il rapporto- per «l’abuso delle leggi antiterrorismo, un fenomeno che negli anni scorsi era stato già studiato e denunciato soprattutto per quanto riguarda la libertà di stampa negli Stati Uniti e in Gran Bretagna». «L’approvazione di leggi per la sorveglianza di massa, crescenti conflitti di interesse e un controllo sempre maggiore sui media di stato e anche privati» sono in preoccupante aumento.
Il quadro peggiore probabilmente è in Polonia, dove la libertà di stampa ha subito un crollo vertiginoso a causa degli obiettivi, apertamente dichiarati dal Governo, di prendere il controllo dei media di proprietà estera e soprattutto della legge, approvata all’inizio del 2016, che consente direttamente al governo di licenziare o assumere i giornalisti di radio e tv pubblica (proprio come in Turchia).
In Ungheria che comunque si trova nella classifica più in alto dell’Italia (67.esimo posto) il rapporto denuncia che il «consiglio dell’informazione, controllato dal Governo, ha il compito di definire e assicurare il rispetto per la ‘pubblica decenza’ e la ‘dignità umana’».
A minacciare l’indipendenza dei giornalisti europei c’è anche il conflitto di interessi. Il modello europeo, sempre secondo Rsf, vede sempre più media di proprietà di grandi società con un’ampia gamma di interessi. Succede sicuramente in Italia, dove s’intensifica oltretutto la concentrazione delle testate ma è anche il caso della Francia (45esima) dove «la maggior parte dei media nazionali appartiene a un piccolo gruppo di imprenditori con interessi in aree economiche che nulla hanno a che vedere con il giornalismo».