venerdì, 31 Marzo
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L’Europa di von der Leyen è quella di Draghi

Difficile valutare se e fino a che punto il discorso sullo stato dell’Unione della signora Ursula von der Leyen sia sufficiente a indicare una strada attendibile per l’Europa, cioè per noi.
L’Europa come istituzione, per noi vitale come poche cose al mondo, è in un momento di passaggio molto difficile, del quale non saprei dire se e quanti se ne rendano conto. In Italia certamente pochissimi: il nostro piccolo ceto di politicanti è troppo incolto e attento alle sue beghe da cortile per comprendere quanto questo passaggio sia importante e decisivo per il nostro futuro. Nostro, italiano, innanzitutto.
Vedremo, ma certo non ci conterei.

L’Europa è a un punto di passaggio delicatissimo e difficilissimo, e, qui un primo punto: non mi pare verosimile che la signora von der Leyen sia certamente all’altezza del compito. Finora, a parte qualche scivolone e la vicenda di Ankara in cui ha dimostrato di non avere nerbo, anche se il Presidente Charles Michel ha dimostrato di essere quello che è, nulla, a parte ciò non mi pare che abbia fatto faville. E ora alla Banca Centrale Europea c’è una persona che di politica aperta al futuro non ha idea alcuna.
Certo, ha accompagnato, con qualche esitazione iniziale, l’ambizioso piano di intervento economico, dovuto principalmente a Mario Draghi, che, a cose fatte fece uscire quell’articolo su ‘Financial Times‘, solo per fare capire che era lui che lo stava pensando, e quindi -questo è l’importante- lo ‘garantiva’. Non ci credete, pensate di no? Fate come volete: vi prego però di credere che non sono stipendiato da Draghi, né da suoi amici e collaboratori; ma, quanto a questo, nemmeno da Conte. Mi limito a leggere, forse male, i giornali. Comunque, sia o non sia merito di Draghi, il piano è partito anche sulla base del fatto che la signora Angela Merkel era alle spalle della signora Ursula von der Leyen, e le diceva ‘vai avanti che puoi farlo, ho inchiodato Weidman alla sua sedia!’ Questa è la realtà documentale e documentata, perfino da una sentenza della Corte Costituzionale tedesca, proprio quando la nostra Corte Costituzionale ha iniziato a porre ostacoli a non finire dappertutto!
Ma ora Merkel non c’è più, e la nostra Corte Costituzionale avrebbe bisogno di una buona ripassata. E per di più, in Germania, tutto lascia pensare che chiunque sarà il vincitore delle elezioni, il governo sarà debole. Se poi saràdi sinistra‘, le difficoltà della signora Ursula von der Leyen potranno anche aumentare. E si troverà stretta e guardata a vista dai Paesi taccagni e odiata dai Paesi dell’Est. Quindi, problemi non pochi, specie sul patto di stabilità, sul quale già sono cominciate le stoccate, e non credo proprio che possano essere la signora von der Leyen e Paolo Gentiloni a evitare guai.
Non so, e nessuno saprà mai, fino a qual punto Draghi abbia discusso, e magari concordato il discorso di Ursula von der Leyen, ma è certo che l’altro giorno in tre parole tre Draghi ha detto esattamente ciò che von der Leyen ha detto ieri nel suo discorso. E siccome Draghi non è stupido e nemmeno insolente, escludo che avesse visto prima il discorso di von der Leyen e abbia fatto il saltafosso.
Io leggo in altro modo le cose. Draghi, anticipando il discorso di Ursula von der Leyen, ha voluto, secondo me, ‘coprirle le spalle‘. Dire, insomma, guardate che non sta dicendo cose assurde.
Invero, la cosa è cominciata male. Perché portarsi dietro la signora Bebe Vio, francamente mi è sembrata una idea pessima, di bassa propaganda inutile, che ha messo in imbarazzo lei e la povera Bebe Vio. In altre parole ha dimostrato di essere di un livello politico e umano più vicino a Matteo Salvini che a Angela Merkel.

 

Ciò premesso, Ursula von der Leyen centra il suo discorso su due punti: la difesa europea e il rafforzamento della crescita economica. E al proposito cita esplicitamente Draghi -non sono in grado di dimostrarlo, ma credo che oltre Macron non abbia citato altri. Sta in fatto, che sono ormai gli unici due che contano e, forse, fra non molto, l’ultimo.
Il tema della difesa, su cui appunto ha citato Macron, è un vecchio tema, particolarmente caro ai francesi da sempre. Prima della nascita della prima organizzazione europea, la CECA, in Europa, appunto su iniziativa francese, ci fu il tentativo di creare una Comunità Europea di Difesa, che fallì, anche per i bastoni fra le ruote poste dagli americani e la situazione della Germania, certo non in grado, appena distrutta dalla guerra, di parteciparvi, e senza la Germania una cosa del genere era impensabile.
Ora il discorso sta tornando di attualità. Ci sono sempre gli americani di mezzo: allora perché avevano vinto la seconda guerra mondiale, oggi perché hanno perso l’ennesima e più bruciante guerra. Ma oggi Macron ha l’acqua alla gola.
Una forza armata europea, cioè non un semplice coordinamento, serve -duole dirlo ma è così- per rendere le cose che si fanno credibili, in un ambiente internazionale dove la capacità di agire di un ente come l’Europa è decisiva. Tra l’altro, ciò si propone in un momento in cui la potenza e il cosiddetto ‘ombrello’ americano vengono meno, rendendo così possibile una politica estera (questo è il punto) autonoma dell’Europa, che non può essere, come oggi, succube di quella statunitense.

 

L’altro tema è quello del patto di stabilità, che può essere superato, evitando così di tornare alle brutture della austerità e sciocchezze simili, solo se l’Europa potrà avere e avrà una politica economica comune -quella che l’altro giorno era, ad opera di italiani e tedeschi, il crescere insieme, cioè operare in modo cooperativo e coerente.
La cosa, a ben vedere, non è poi così assurda o strana. All’origine, cioè nel 1951, la CECA era esattamente così, e ha realizzato successi notevoli. Fu solo a partire dal 1957, con la fondazione della CEE, che gli Stati, per dir così, vollero riprendere in mano le redini della organizzazione. Ma la CECA, e non è secondario che sia stata ‘inventata’ dalla Francia, cioè il Paese più sciovinista d’Europa, aveva creato un sistema per cui la politica di fabbricazione e commercio dell’acciaio, era interamente affidata ad organismi tecnici-politici della CECA, che operavano in maniera trasversale tra gli Stati, senza bisogno eccessivo di consenso da parte degli stessi. Certo si trattava solo di sei Stati e solo del carbone e dell’acciaio, ma è anche certo che salvò l’Europa dalla concorrenza di altri Paesi assai più forti nella produzione.
Oggi si potrebbe cercare di ripetere quella felice esperienza con riferimento all’intera economia europea.
Questo progetto ambizioso, che sarebbe decisivo per la crescita dell’intera Europa, è certamente uno dei punti di forza dell’idea di Europa di Draghi, espressa brillantemente con la sua politica alla BCE, politica da lui ‘fatta passare’ battendo l’ostilità dura della Banca centrale tedesca e non solo.
A conti fatti, è possibile intravvedere una coincidenza obiettiva tra le parole di Mario Draghi e quelle di Ursula von der Leyen. Quest’ultima, inoltre, priva della copertura di Merkel, potrebbe avere trovato un nuovo, e, secondo me, più forte e più realista, appoggio.

Giancarlo Guarino
Giancarlo Guarino
Giancarlo Guarino, ordinario, fuori ruolo, di diritto internazionale nell’Università degli Studi di Napoli Federico II, è autore di numerose pubblicazioni su diverse tematiche chiave del diritto internazionale contemporaneo (autodeterminazione, terrorismo, diritti umani, ecc.) indagate partendo dal presupposto che l’Ordinamento internazionale sia un sistema normativo complesso e non una mera sovrastruttura di regimi giuridici gli uni scollegati dagli altri.
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