Prima dello tsunami Renzi, il presidente del Consiglio Enrico Letta più volte ha dichiarato che è compito del Parlamento metter mano alla riforma elettorale. Sono, quindi, apparentemente incomprensibili le parole pronunciate ieri dal premier a Otto e mezzo: «Il governo in questa vicenda non entra ma bisogna rendere i cittadini più partecipi della scelta dei parlamentari». Inevitabile che Renato Brunetta infierisse con una nota contro il premier: «Non si era detto che di legge elettorale si sarebbero occupati i partiti e il Parlamento? Letta non ha forse tante altre magagne da sbrigare? È proprio necessario che metta il becco in ciò che non gli compete?» ha chiesto retoricamente il capogruppo di Forza Italia alla Camera in una nota.
Con il suo endorsment a favore di un sistema con le preferenze, il premier offre uno scudo di protezione a tutti i partitini che fino a ieri sembravano rassegnati ad accettare le liste bloccate. Il primo a rialzare la testa è stato Angelino Alfano. «Con Berlusconi e Renzi realizzeremo la legge elettorale. Quello che chiediamo è di modificare le cose che stanno più sulle scatole ai cittadini: il parlamento dei nominati e le liste bloccate» ha dichiarato oggi il segretario del Ncd a Mattino Cinque. Fa un po’ effetto sentire proprio Alfano tuonare contro il «Parlamento dei nominati» ma probabilmente si tratta di effetti collaterali frutto della convulsa situazione attuale.
Matteo Renzi però è stato chiaro: «Le riforme si fanno se sono tutti d’accordo» sapendo perfettamente che per Berlusconi le liste bloccate sono l’unico punto non negoziabile dell’Italicum. E questo perché il Cavaliere deve garantire seggi sicuri sia ai suoi fedelissimi (che con le preferenze rischierebbero una seria umiliazione) sia ai suoi alleati che sarebbero in lista con Forza Italia non avendo la matematica certezza di superare la soglia di sbarramento.
Il ragionamento è semplice. A differenza del nuovo Pd di Renzi che, se l’Italicum fosse approvato, correrebbe da solo con qualche chance di farcela, Forza Italia, invece, per vincere ha assolutamente bisogno dei voti dei tanti partitini in orbita intorno al centrodestra. Al contempo, però, nessuno di questi partitini, anche se coalizzati, sarebbe in grado di superare la soglia del 5% (ma nemmeno del 4 o del 3). Pertanto, in cambio del sostegno, esigono un determinato numero di seggi sicuri in lista con Forza Italia. Sicurezza che può dare solo un sistema di liste bloccate (corte o lunghe che siano). Prendere o lasciare.
Ecco perché oggi Denis Verdini, in un incontro con Maria Luisa Boschi del Pd, ha escluso categoricamente l’introduzione delle preferenze, aprendo però sia sull’innalzamento al 38% della soglia per raggiungere il premio di maggioranza sia sull’abbassamento dal 5% al 4% della soglia di sbarramento per i partiti che si presentano in coalizione. Perfino Dario Franceschini, costretto dagli eventi a fare la parte del renziano, va contro Letta affermando che «sarebbe un errore enorme reintrodurle per i danni al sistema politico e alla sua trasparenza». «Esse – ha aggiunto – farebbero aumentare a dismisura i costi delle campagne elettorali dei singoli candidati, con tutti i rischi connessi, e non sempre porterebbero in Parlamento i migliori».
Da molti sottovalutato il ruolo, in questa partita, del M5S che potrebbe risultare determinante nel caso in cui la minoranza Pd (che è maggioranza in Parlamento) pur di vedere cadere Renzi, proponesse un sistema elettorale gradito ai grillini. In quel caso, complici il voto segreto e la voglia di vendetta di alcune frange di Forza Italia nei confronti di Berlusconi, il risultato potrebbe essere la sconfitta totale dell’asse Renzi-Berlusconi. In ogni caso si profila una complicatissima partita a carte dove ognuno pensa di avere quella vincente in mano.
I mal di pancia dentro Forza Italia sono aumentati proprio oggi con la nomina di Giovanni Toti a “consigliere politico per il programma” da parte di Berlusconi. Toti ha oggi rassegnato le dimissioni da direttore di TG4 e Studio Aperto e ciò significa che di fatto è diventato il coordinatore unico del partito. Un brutto segnale per i falchi di Forza Italia che pensavano finalmente di non avere più ostacoli davanti per la conquista del partito. Per Raffaele Fitto l’ennesimo ritorno indietro alla casella di partenza quando era quasi giunto alla fine.