Mentre i miliziani dello Stato Islamico minacciano di avvicinarsi alle province curde di Ilam e Kermanshah e i negoziati sul programma nucleare rimangono adagiati sullo standby, il Governo guidato da Hassan Rouhani rischia di dover presto fare i conti con una valanga all’interno dei propri confini. No, non una valanga proveniente dai Monti Elborz, che dominano sulla skyline della capitale. Una valanga istituzionale, provocata da un ‘becchettìo‘. Il becchettìo dei falchi.
La prima slavina arriva lo scorso 20 agosto. Con 145 voti su 270, il Majles (Parlamento) esprime un voto di sfiducia nei confronti del Ministro delle Scienze, della Ricerca e delle Tecnologie, Reza Faraj-Dana, decretandone la rimozione. Faraj-Dana è accusato di aver nominato come capi dipartimento in alcune Università dei professori e funzionari solidali o implicati nei movimenti di protesta del 2009, scaturiti in seguito alle discusse elezioni presidenziali vinte da Mahmoud Ahmadinejad per la seconda volta. Il Ministro riformista avrebbe inoltre permesso a molti studenti responsabili dei disordini di cinque anni fa di essere reintegrati nei campus.
Fonti vicine a Faraj-Dana, invece, ribattono che molti dei parlamentari che hanno votato per la sua rimozione lo hanno fatto perché temevano che egli potesse rivelare -come pare fosse imminente- che proprio alcuni di essi avrebbero ricevuto dei diplomi falsi in alcune università durante il secondo mandato dell’amministrazione Ahmadinejad.
Fatto sta che Faraj-Dana è il primo Ministro dell’era Rouhani a doversi fare da parte, sotto le pressioni soprattutto dei parlamentari del Jebhe-ye-paaydaari-ye enqelab (Fronte della stabilità della Rivoluzione), con la solidarietà e la benedizione del Jame’e-ye-Rowhaniyat-e Mobarez (l’associazione del clero combattente), ossessionati dal fantasma di quella che le forze conservatrici chiamano ‘sedizione’, la protesta del 2009 portata avanti dei sostenitori del politico Mir Housein Mousavi.
Con l’elezione del centrista Rouhani, accettato dai conservatori e allo stesso tempo votato in buona parte anche da coloro che nel 2009 avevano sostenuto il riformista Mousavi, questo fantasma sembrava essere destinato ad evaporare dal dibattito. La rimozione di Faraj-Dana, oltre a smentire questa ipotesi rischiando invece di aprire una nuova stagione di tensioni, fa luce su un aspetto: sebbene il fronte conservatore nella sua interezza sia composto in primis da pragmatici, che hanno sinora sostenuto Rouhani, questo sostegno si è dimostrato assai debole nell’occasione. Segno che forse si sta affievolendo. E che i falchi prendono piede.
Un simile linguaggio è fuorviante, e l’occasione per capirlo si era già presentata durante i già citati movimenti del 2009, in cui molti religiosi anche di alto rango, ovviamente di orientamento riformista, hanno offerto o dichiarato il loro sostegno. Uno di questi è il Grand Ayatollah Mohammed Ali Dastgheib Shirazi.
Lo scorso 3 settembre l’Assemblea degli Esperti (Majles-e-Kobregan) -l’organo incaricato di eleggere, revocare e supervisionare l’operato della Guida Suprema, composto da 86 religiosi eletti a suffragio universale diretto ogni 8 anni- si è riunita nella sua 16esima sessione. All’appello, però, si registravano due assenze: la prima ampiamente annunciata, cioè quella dello speaker, l’Ayatollah conservatore Mohammad Reza Mahdavi-Kani, che lo scorso giugno è caduto in coma in seguito ad un attacco cardiaco. Al suo posto c’era l’Ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi, anch’egli conservatore e nato nella città irachena di Najaf, che per un certo periodo e in certi ambienti in Iran veniva accreditato come possibile successore di Khamenei. La seconda assenza, quella di Sayyid Ali Mohammad Dastgheib, non è invece un’assenza prevista.
Da Shiraz, capoluogo della provincia del Fars, l’Ayatollah fa sapere di non voler presenziare alla seduta per protesta. Il motivo lo spiega direttamente ai suoi studenti, che sul suo sito web lo tempestano di messaggi. «Ho scritto lettere sia a magistrati importanti che ad altri minori a proposito dell’incidente a Shiraz. Ho anche scritto al Presidente (Rouhani, ndr) e ad altri membri del governo. Sfortunatamente, non c’è stata alcuna risposta dal sistema giudiziario(…), il che dimostra che non è indipendente, e allo stesso tempo non ho ricevuto risposta dal presidente, poiché in caso lo avesse fatto, si sarebbe detto che difende la sedizione».
Parole molto decise. L’incidente di cui parla l’Ayatollah Dastgheib occorse in un pomeriggio del settembre 2010 nella città di Shiraz, quando alcuni Basij (paramilitari) perlopiù in borghese fecero irruzione nella moschea di Ghoba, gridando slogan contro i sermoni del religioso, considerati ‘fortemente critici del regime della Repubblica islamica’. Spinti fuori dall’edificio dai seguaci di Dastgheib, i paramilitari hanno iniziato a tirare pietre, ferendo alcune persone e innescando la reazione dei sostenitori del religioso. Gli scontri sono andati avanti fino a sera, quando la Polizia è intervenuta per disperdere i protagonisti. Secondo le forze di sicurezza, che a gennaio dello stesso anno avevano chiuso la moschea impedendo la preghiera del venerdì (e la khutba che la precede), Dastgheib la usa come una ‘piattaforma politica’, e nella fattispecie per criticare il regime e sostenere il leader riformista Mir Hossein Mousavi, agli arresti domiciliari.
Per l”incidente’ di Shiraz i giudici hanno processato quattro persone, di cui solo una tra i protagonisti dell’irruzione, Mohammed Bagher Valadan, considerato il leader del gruppo e condannato in primo grado a 5 mesi di prigione, tre anni di esilio dalla provincia del Fars e settantaquattro frustate. Ai tre sostenitori dell’Ayatollah è andata decisamente peggio, condannati a due anni di prigione, quattro anni di esilio dalla provincia e dieci anni di interdizione da attività di carattere culturale.
L’Ayatollah Dastgheib da quel giorno è diventato ancor più critico nei confronti del regime e del Governo, dando voce anche alla sua aperta contrarietà al sostegno ad Bashar al-Assad in Siria, e ha più volte sollecitato i giudici affinché rivedessero la sentenza e processassero tutti coloro che hanno attaccato la moschea di Ghoba. Il religioso afferma che i suoi sostenitori sono stati costretti ad usare la violenza, mettendo in atto una ‘legittima difesa’ della moschea. Nelle sue lettere indirizzate ai giudici, secondo quanto riporta la rivista online ‘Al Monitor‘, Dastgheib continua inoltre ad insistere affinché si indaghi anche sugli attacchi e gli incidenti occorsi (anche) a Shiraz dopo le elezioni del 2005 e del 2009, entrambe vinte da Mahmoud Ahmadinejad.
In Iran, dal punto di vista delle vision politiche, esistono ‘laici’ (specie tra gli ex militari) con idee più conservatrici di alcuni religiosi di alto rango. Idee conservatrici non necessariamente legate ad una precisa ‘indole’ politico-religiosa, bensì funzionali al mantenimento e al rafforzamento del regime che sostengono, quel ‘velayat e faqih’ (Governo del giusperito) che fu una innovazione dell’Ayatollah Khomeini nel campo sciita.
Questo, forse, lo hanno capito innanzitutto i ‘falchi’ -citati ad inizio articolo- e la prospettiva di impeachment per altri Ministri, oltre a Faraj-Dana, assomiglia molto all’inizio di un graduale tentativo (un ‘becchettìo’) di mettere in discussione Rouhani, di cui contestano soprattutto l’apertura agli Stati Uniti e la gestione definita ‘timida’ del negoziato nucleare.
Va ricordato che nel caso in cui più della metà dei Ministri venissero rimpiazzati a seguito di voto di sfiducia, si renderebbe necessario un voto di fiducia all’attuale Governo, in un Parlamento dominato dai conservatori di vario genere.
La ‘strategia dell’impeachment’, però, è anche il sintomo di una scelta obbligata per i falchi: nonostante le sue riserve, infatti, la Guida Suprema Khamenei ha accordato al Governo Rouhani piena fiducia e sostegno (non sempre incondizionato, non sempre pieno) rispetto ai negoziati con il 5+1 e sulla politica estera in generale -al netto della centralità e dell’indipendenza dal Governo dell’Irgc e delle Brigate al Quds guidate da Qassem Suleimani, operative all’estero. Ai detrattori di Rouhani non rimane, quindi, che attaccarlo sul fronte interno: cultura, media, istruzione, economia.
Rouhani, con la nomina di Najafi al posto di Faraj-Dana, ha dimostrato di non voler fare passi indietro nel suo percorso ma non può nemmeno permettersi una politica troppo ostile al fronte conservatore-principalista, dei cui voti in Parlamento ha assoluto bisogno, né tantomeno di uno scontro aperto. I prossimi saranno mesi di equilibrismo, nella speranza di schivare le valanghe.
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