Stupirsi, come capita anche a me se sto sovrappensiero (poi no, ci penso e lo stupore passa), del fatto che buoni cristiani inneggino alla ‘giustizia fai-da-te’, all’arma fumante con cui il padrone ha difeso la proprietà e “tanto peggio per chi c’è rimasto secco, se l’è cercata”, inneggino, insomma, alla sempre più visibile e rapida degenerazione di quello che era lo Stato della Costituzione Italiana (in cui riecheggia tra le altre la voce di un certo Beccaria, in specie all’Art. 27: «La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte») nello stato di natura brutale, quello “che la caverna è mia e chi tocca i fili muore”. Ebbene, stupirsi di questa violenza verbale, di sentimenti e spesso e volentieri anche di atti, da parte di gente che si professa seguace di Cristo e credente nel dio dei Vangeli e del catechismo, vuol dire semplicemente ignorare sia la Storia che la Psicologia.
Infatti, talmente scoppia di violenza fisica e morale la parabola bimillenaria del Cristianesimo – violenza che i cristiani di ogni osservanza hanno rivolto sia all’interno della propria enclave, per ottenere ad ogni costo l’introiezione individuale dei precetti, sia verso quelli di ogni altra osservanza diversa dalla propria, per stabilire la supremazia della vera dottrina con dispute piuttosto belliche che non teologiche, e sia infine verso i fedeli di altre divinità, e gli atei o indifferenti (dalle Crociate alla Caccia alle Streghe, tanto per dire) – talmente, dicevo, è intrinseca la violenza alla diffusione del Cristianesimo sulla faccia della Terra che, passatemi la boutade, il Cristo storico semmai esistito potrebbe dirsi anche fortunato per non esser passato tra le grinfie dei suoi, per esser morto per mano dei Romani prima dell’istituzionalizzazione della buona novella!
Ma dicevo pure che stupirsi denota ignoranza non solo storica bensì psicologica, anche. Perché, in generale, lo status di credente è in sé un’abdicazione alle caratteristiche più evolute dell’umano – tra cui l’assunzione per via di coraggiosa e mite ragione che ogni umano (e ogni senziente, sto per dire) goda di pari diritti e tutti li leghi (o debba legarli) una sfera di reciproca com-passione – in favore invece di quelle più primitive, irrazionali, credule, superstiziose, pavide, rancorose, vendicative, belluine, spietate; e quindi: come stupirsi che un uomo o una donna il quale sta così indietro sulla via dell’emancipazione da credere nella creazione, nella provvidenza, nell’aldilà, nei sacramenti e nei miracoli, mostri tanta illogicità da dirsi cristiano ‘con una mano’ e con l’altra sparare a chi tocca i suoi possessi?
Ora – per equanimità d’ateo quale sono, e perché è vero – bisogna pure aggiungere che ciò vale per tutti i credenti, e non soltanto cristiani. Tutti, in quanto tali, abdicano alla piena umanizzazione per una permanenza (o un ritorno) allo stato di natura; tutti, quindi, sono prontissimi ad attuare la violenza in ogni sua forma, violenza di cui il mondo naturale non-umano è il regno conclamato (basti vedere un documentario a caso).
Della violenza dei credenti musulmani non parliamo neppure. Di quella dei credenti ebrei – scorrere un notiziario qualunque sui fatti di Palestina. Quella indù (l’induista comune è diverso dal tipo-umano del Mahatma quanto il cristiano medio da quello di Francesco d’Assisi), di nuovo, i manuali di Storia e le cronache l’attestano in ampiezza e dettagli.
E perfino i buddisti – sì, la cui icona in Occidente è il Dalai Lama (questo Occidente così famelico e distratto, che consuma tutto: pret-à-porter, anche la spiritualità) – perfino loro, dove sono tanti come in Birmania straziano la minoranza dei Rohingya: da anni i buoni monaci color zafferano picchiano a morte i musulmani pur loro compatrioti e incendiano i ghetti, mentre la polizia sta a guardare e nessuno soccorre i feriti (e San Suu Kyi, anche lei, tace).
Tornando ‘a bomba’: stupirsi che un cristiano – perfino un cristiano – dell’Italia del Nord (o del Centro o del Sud e Isole) non soffra di indignazione e commiserazione alla notizia dell’ennesimo morto ammazzato ‘di proprietà’, e anzi giustifichi, o addirittura condivida spassionatamente l’atto dell’ammazzatore (la cui vita, anche la sua – dimentica il cristiano –, non sarà mai più la stessa), è consentito solo per qualche istante di sovrappensiero. Poi no, ci si pensa su e lo stupore passa.
La verità è che noi atei sovrastimiamo parecchio la ‘funzionalità’ della fede; forse perché speriamo che essa possa essere per altra via (che a noi non dice nulla) comunque un contributo al contenimento della miseria e della perfidia umane, obiettivo che invece noi perseguiamo col supporto di quella coraggiosa e mite ragione di cui sopra (e che sappiamo essere per tanti motivi caratteristica oggettivamente elitaria, inintelligibile ai più).
Ma la verità vera, purtroppo, è che di uomini e di donne ce n’è di miti e di violenti, di coraggiosi e di vendicativi, di razionali e di alienati, e che la religione (così come qualunque altra cosa, sapere e bellezza compresi – che pure io ‘idolatro’) si spalma su questo essere di ciascuno e lo potenzia, nel bene e nel male, al pari di un’arma. Che spara.
Triste, solitario finale.