Da dicembre 2011 in Italia è in corso il credit crunch. Sono, quindi, ormai tre anni che i finanziamenti concessi dalle banche a imprese e famiglie si riducono. Questa situazione contribuisce ad aggravare la stagnazione dell’economia. Infatti, se le banche concedono meno prestiti, famiglie e imprese riducono o rinviano consumi e investimenti. Tradizionalmente l’andamento del credito è posto sotto osservazione perché quando si scorge una ripresa nelle erogazioni ci si attende che nel corso di pochi mesi arrivi anche la ripresa economica.
L’attuale stato dell’economia italiana è così particolare, visto che non siamo in presenza di un cambiamento ciclico, ma di una situazione di difficoltà strutturale, che il credito più che essere un anticipatore del ciclo si muove a rimorchio della ripresa economica. Se non arriva quest’ultima non ci sarà ripresa del credito. Si è invertito l’usuale successione temporale dei due fenomeni. Rimane comunque fondamentale esaminare cosa accade nel mercato del credito, ponendo attenzione alle PMI (Piccole e Medie Imprese), che rappresentano il cuore del sistema produttivo nazionale e che stanno soffrendo più di altre i marosi della crisi.
Le motivazioni economico-finanziarie alla base del credit crunch sono numerose. Esse rientrano in tre categorie: regolamentari, legate allo scenario operativo, causate da inefficienze interne alle banche. Negli ultimi anni è stata modificata praticamente tutta la regolamentazione bancaria e ciò ha comportato un radicale ripensamento del modo di fare banca. A ciò si sono aggiunte richieste molto severe da parte delle autorità di vigilanza. Questi cambiamenti hanno inciso sulla gestione della banca, rendendo più complicato erogare il credito. A questa più severa vigilanza si è poi aggiunto il tetro scenario economico. Le sofferenze bancarie in forte aumento hanno indotto le banche ad essere molto più prudenti rispetto al passato, riducendo il credito già erogato e modificando gli standard per le nuove emissioni. Ma ci sono stati anche problemi interni alle banche. Si possono ricordare gli eccessi negli anni precedenti la crisi, con acquisizioni e fusioni per valori rivelatisi infondati dopo pochi anni, oppure il numero eccessivo di sportelli bancari con il conseguente aggravio di costi. Si potrebbero citare anche le situazioni in cui gli errori sono stati causati da atteggiamenti non rientranti nell’alveo della legalità.
Quindi, il problema attuale è se le banche riusciranno a superare questi ostacoli e torneranno a sostenere il tessuto produttivo nazionale poiché il credit crunch sta colpendo con maggior intensità proprio le imprese. Su questo fronte le notizie sono contrastanti. Si possono analizzare due tipologie di dati per capire se la macchina del credito si sta riavviando o se il credit crunch è destinato a durare ancora a lungo. Da un lato ci sono i dati quantitativi, stock di crediti e tassi di interesse, dall’altro quelli qualitativi, le indagini periodiche svolte dalla BCE (Banca Centrale Europea).
I dati quantitativi non sono affatto esaltanti. L’ultimo mese disponibile, agosto 2014, ha fatto registrare una riduzione dell’ammontare di prestiti alle imprese di ben 11,5 miliardi rispetto a luglio. Si è così cancellato il lieve recupero registrato nei mesi precedenti. Pare, quindi, che i flebili segnali positivi giunti tra fine primavera e inizio estate siano stati smentiti dal dato di agosto. A questo andamento si aggiunge la costante crescita delle sofferenze, salite di due miliardi tra luglio e agosto e di oltre 27 miliardi negli ultimi dodici mesi. Più la rischiosità si mantiene elevata, maggiore sarà la ritrosia delle banche ad allargare i cordoni della borsa.
Notizie migliori provengono dai tassi di interesse, che sono in discesa e che nel mese di agosto hanno fatto segnare i valori minimi da dodici mesi. Sui tassi di interesse, però, sarebbe fuorviante effettuare un’analisi solo sui dati italiani. Le imprese italiane, infatti, si trovano ad operare in un’area valutaria in cui le concorrenti tedesche, francesi o spagnole (e lo stesso vale per le altre nazioni dell’Area Euro) utilizzano la stessa moneta. Inoltre, tutte le banche dell’Area Euro attingono fondi dalla BCE alle stesse condizioni. Quindi, sarebbe lecito aspettarsi che le imprese siano trattate più o meno nello stesso modo. E invece non è così. Se si confronta il tasso di interesse sui prestiti alle imprese si nota che le imprese italiane sono costrette a pagare tassi più elevati rispetto alle imprese francesi e tedesche e rispetto anche al tasso medio pagato dalle imprese dell’Area Euro. Da rimarcare è che la differenza è più marcata per le PMI che per le grandi imprese. Infatti, per i prestiti inferiori a 1 milione di Euro (cioè i prestiti dati prevalentemente a piccole e medie imprese) le imprese italiane pagano uno spread di mezzo punto rispetto alle imprese dell’Area Euro e di oltre un punto rispetto alle imprese francesi e tedesche. Per le grandi imprese (prestiti oltre 1 milione di euro) la situazione è un po’ meno negativa: il tasso italiano è 0,3 punti percentuali più alto di quello medio dell’Area Euro e si arriva ad un differenziale di 60 punti base rispetto ai più bassi tassi tedeschi.
Quindi, le imprese italiane ricevono poco credito, lo pagano più delle loro omologhe europee e tali differenze sono più marcate per le PMI. Questo dicono i dati. È utile, però, osservare anche la percezione degli operatori. Per farlo si possono consultare due survey europee. Una si chiama BLS (Bank Lending Survey) e si basa sulle risposte date da 110 gruppi bancari europei e l’altra è la SAFE (Survey on the access to finance of enterprises) che è condotta intervistando migliaia di imprese europee e avendo come focus principale le PMI. Queste due indagini forniscono dati qualitativi utili per integrare l’analisi dei crudi numeri.
Dalle risposte di banche e imprese emerge che il sistema del credito è forse giunto ad un punto di svolta. Tra le tante domande cui rispondono gli intervistati sono di particolare importanza quelle sulle previsioni del credito nei mesi successivi alla data dell’indagine. Alle banche si chiede quale sia la loro previsione sulla domanda di credito nei successivi 3 mesi. Le ultime due rilevazioni mostrano per l’Italia i migliori dati dopo lo scoppio della crisi del debito nel corso della seconda metà del 2011. Sembra quindi che le banche abbiano una certa fiducia nel prossimo futuro. E questa propensione ad un maggiore ottimismo non riguarda solo il dato complessivo, ma anche quello relativo alle PMI. Le banche si attendono una ripresa delle domande di credito anche da parte delle imprese di minori dimensioni. In entrambi i casi le risposte delle banche italiane mostrano un risultato superiore a quello della media dell’Area Euro. Considerando che le banche hanno ora a disposizione le TLTRO (Targeted Longer Term Refinancing Operations), create appositamente per incrementare il credito alle imprese, c’è da aspettarsi che le future domande di credito saranno soddisfatte.
La situazione è simile quando si analizzano i dati della SAFE. In questo caso si chiede alle imprese di dichiarare come varierà il credito bancario nei successivi sei mesi. Per avere un’idea precisa della percezione delle imprese, si può analizzare l’andamento del numero di imprese che ha indicato un miglioramento del credito bancario per dedurre il sentiment delle stesse verso questa forma di finanziamento. Anche in questo caso il dato riferito alle imprese italiane (sia quelle grandi che le PMI) è migliore rispetto alla media dell’Area Euro. Quindi, anche dal lato della domanda di credito si nota un crescente ottimismo nei confronti del credito bancario e ciò è particolarmente importante per le PMI, visto il loro stretto legame con il sistema bancario.
Riassumendo, il credito in Italia è ancora in difficoltà. La contrazione dei prestiti non si è ancora interrotta e i tassi di interesse pagati dalle imprese sono ancora più alti di quelli medi dell’Area Euro. Accanto a questi dati quantitativi negativi, emergono segnali più incoraggianti dalle survey. Sia le banche che le imprese prospettano uno scenario del credito migliore nei prossimi mesi. Poiché tutte le parti in gioco sembrano avere un mood positivo e visto che la BCE non farà mancare il suo sostegno, si può sperare che qualcosa finalmente si muoverà nelle ormai paludose acque del credito italiano.