Qualche anno fa ho incontrato la mamma di un bambino con una situazione di salute che potremmo definire come ‘incompatibile con la vita’. Una mamma ingegnere meccanico, che viveva questa situazione drammatica e di gestione complessa e sfiancante. Però aveva capito che era importante mettere insieme le risorse delle famiglie in quella situazione e che, insieme, si potevano affrontare i problemi organizzativi e di quotidianità. Infatti, se questo vale per la gestione di bambini anche sani, figuriamoci quanto è importante in queste situazioni.
Questi bambini in grande difficoltà di salute, di assetto psicologico e di gestione ergonomica della loro vita, si possono definire come ‘incompatibili con la vita’.
Respirano tramite ventilazione meccanica, mangiano attraverso una sonda; molti sono cerebrolesi. Bambini terminali che cercano di vivere la domiciliarità in situazioni gravissime; in alcuni casi, è come se vivessero in un hospice domiciliare che deve avere il calore della casa, ridimensionare il sanitario e sviluppare il clima e l’affetto famigliare.
Ci sono associazioni (poche in verità) che fanno progetti sperimentali di assistenza con i principali ospedali pediatrici (a Milano, per esempio, e con strutture di riabilitazione). Questi bambini vivono paradossalmente la loro ‘incompatibilità con la vita’ in una sfida all’ultimo respiro, sempre con il sorriso. Così sono nati alcuni nidi famiglia specializzati dai quali poi si è strutturato un asilo. Quando nascono questi bambini, la storia famigliare si complica e cambia la vita: da inciampi organizzativi per i bambini con qualche bronchite a quello totalizzante per bambini ‘quasi incompatibili con la vita’. Dal rifiuto totale all’accettazione costruttiva ed alla gratitudine paradossale per una situazione inconcepibile e rifiutata dal resto del mondo.
La nostra mamma, con la razionalità da ingegnere meccanico, ha intuito che se c’è qualcuno che ti sostiene ‘altro da te’, se ci sono persone che ti accompagnano e ti aiutano a fare emergere le risorse di cura, di bene e di operatività che hai, allora diventa possibile vivere, e vivere bene anche in situazioni che sembrerebbero di non vivibilità. Questo modello di vita assistenziale accompagna una domiciliarità inimmaginabile, offre un po’ di respiro alle famiglie tramite la formazione, la cura e l’erogazione di servizi volti ad aumentare e sostenere la resilienza dei genitori.
Si è creato un laboratorio di innovazione, si realizzano indumenti speciali per questi bambini; a volte, per la rigidità di braccia e gambe che non permette di usare vestiti normali, oppure per i bambini che devono essere alimentati artificialmente, che hanno tubi collegati con lo stomaco. Questi vestiti rendono la vita più semplice. Sembra una caduta di spessore concettuale, mentre invece queste opportunità tecniche sono la condizione per sviluppare l’amore famigliare verso questi bambini. La credibilità d’amore aumenta se si riesce a inventare e fare scelte tecniche di sollievo. Oggi, con i progetti di intelligenza artificiale e di metaverso, si può avere un ulteriore fiducia per la vita di questi bambini ‘quasi incompatibili con la vita’.
Ci sono volontari e tutor che sostengono i genitori nel ricostruire il proprio progetto di vita, e, insieme ad alcune fondazioni, erogano i servizi di assistenza sanitaria e ne accompagnano il percorso. Quando ho domandato alla nostra mamma perché ha scelto di fare questo ‘lavoro’, ha risposto che ne ricavava gioia personale, ed ha scoperto che il proprio figlio ammalato e quelli di altre famiglie erano una risorsa per tutti, ed erano fonte di letizia per tutti. Alcune famiglie hanno preso in affido alcuni bambini con queste malattie gravi. Bisogna andare avanti sempre; e non è facile se non si depotenzia il difficile.
Ma questo ‘lavoro’ perché può farlo meglio una donna? Perchè essere donna vuol dire vivere sempre e costantemente il rapporto con un bambino, senza chiudere mai il proprio rapporto materno. Ha fatto rinunce? Sì, ha rinunciato alla ricchezza, ad un lavoro stabile ed ha abbracciato un lavoro che non finisce mai: né la notte, né il week – end. Però ha acquisito il fascino della passione e dell’altruismo. “In effetti mi trovo a dover pensare come un uomo, a comportarmi come una signora, a sembrare una ragazza sempre ed a lavorare come un mulo”. E la conforta una frase di uno dei suoi figli, che dice quanto la presenza del fratello sofferente sia fonte di crescita e di desiderio di verità della vita.
A suo tempo si raccontò di una mamma che aveva un bambino ‘quasi incompatibile con la vita’ di sei anni che andava all’asilo. Trascorreva tutta la mattina seduta in automobile per intervenire praticando l’aspirazione per la tracheotomia del bambino quando gli educatori la chiamavano. Poi ritornava in automobile pronta ad intervenire per un’altra chiamata. Il contatto con una fondazione del territorio ha risolto il problema assistenziale, fornendo gratuitamente il servizio di una infermiera. La mamma è tornata ad assistere l’altro suo figlio e lavora.
Non ho scritto il nome di quell’ingegnere meccanico che si è prestata alla difficile vita di assistenza; è una donna del bene che organizza altre mamme e che aiuta a far vivere i bambini ‘incompatibili con la vita’. Cercando nell’anonimato la forza dell’essere famosa.
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