Alla firma dell’intesa tra Stati Uniti e Italia, il TG-1 è stato perentorio: «A toccare il suolo lunare tra qualche anno potrebbe essere forse un astronauta italiano». Quanto sia credibile quest’affermazione e in quale arco temporale possa svolgersi una camminata lunare di un nostro concittadino, non lo sappiamo. Noi certamente ci associamo al trionfalismo che regna in queste ore nelle stanze del Governo italiano perché pensiamo, come tutti, che la dichiarazione di intenti appena firmata in remoto dal Sottosegretario di stato Riccardo Fraccaro e dal direttore della Nasa, Jim Bridenstine, ricopre un gran peso nella politica dell’alta tecnologia del nostro Paese. Ha ragione Marcello Spagnulo, esperto di geopolitica spaziale, a dire che si tratta di una firma importante sia per la valenza strategica e geopolitica nei rapporti con Washington, sia per i ritorni economici attesi per il programma lunare Artemis.
Non abbiamo ancora preso visione del documento, che essendo pubblico potrà essere consultato liberamente da chiunque, e dunque fino ad allora non ci sentiamo di commentarne la sua impalcatura. Secondo la stampa più informata dai giusti palazzi e le veline sempre attuali che circolano nell’ambiente, si tratta di un business molto importante che ci fa capire finalmente che cosa sia la space economy, tema più volte enunciato in alcuni ministeri italiani, ma poiché il termine non è stato mai tradotto in italiano, abbiamo il sospetto che nessuno ci abbia mai capito cosa fosse.
Nè sappiamo se oggi siamo in una condizione finalmente di cavar denari dallo spazio, come seppe fare la Spagna mezzo millennio fa quando le sue spedizioni sbarcarono su una terra che non era l’India, ma che comunque fruttò tanto alla storia. Siamo, però, consapevoli che un vecchio progetto -ne fu addirittura autore Wernher von Braun, padre della missione lunare Apollo- possa essere fatto rivivere da un Presidente più imprenditore che politico, per immaginare il nostro satellite naturale non una terra di conquista, ma un semplice trampolino di lancio per nuovi pianeti, elemento che potrebbe far ripartire l’economia dell’intero pianeta con elementi più promettenti delle ormai obsolete metodologie tradizionali. Occorre, però, arrivarci per primi. O almeno, con i primi. E dunque, sentendo Fraccaro affermare: «Per noi è un grande onore, oltre che una grande opportunità, essere il primo Paese europeo a siglare quest’intesa che ci darà la possibilità di partecipare alla missione lunare e di avere un ruolo da protagonista nel più ambizioso programma di attività spaziale mai attuato», quale italiano non ne sarebbe entusiasta?
Premesso che prima dell’Italia il joint statement è stato firmato da Canada e Giappone, essere primi in Europa fa sempre togliere qualche sassolino dalle scarpe, ma dobbiamo ricordare e ricordarci che dopo l’Italia ci saranno altre Nazioni pronte a candidarsi alla grande spedizione lunare e non illudiamoci che essere numero uno per posizione di arrivo sia la condizione per apparire i più robusti.
Pertanto sarà necessaria molta cura nella stesura degli implementing agreements, che naturalmente le capacità politiche e diplomatiche del nostro Paese non mancheranno di mostrare. Lo speriamo tanto, senza nessuna voglia di lamentarci ad ogni costo. Pertanto consideriamo sia molto importante una posizione assai forte da parte delle nostre istituzioni per difendere il patrimonio industriale e tecnologico di un Paese piccolo per dimensioni e istituzioni, ma grande per capacità e buona volontà.
Da parte nostra, per il ruolo di essere l’elemento di congiunzione tra gli eventi e chi li legge, non trascuriamo alcune perplessità che i più attenti osservatori del settore hanno riportato sulla carta e sulla rete. La penna acuminata, ma molto veritiera di Cesare Albanesi ha annotato, prima tra tutti, che l’accordo siglato in teleconferenza tra Palazzo Chigi e oltreoceano non può considerarsi un trattato tra governi, ma un’intesa tra un governo e un’agenzia: Albanesi scrive in un suo blog: «Certo sarebbe stato più pregnante di significato, a nostro giudizio, se fosse stato proprio il Vice Presidente americano Mike Pence nel suo ruolo di presidente del Consiglio nazionale per lo spazio statunitense, ovvero l’omologo di Riccardo Fraccaro, a firmare l’intesa». Ed è indubbio che l’ingegnere e giornalista non abbia sottolineato una cosetta da poco nel suo commento.
Né va trascurata la freddezza riportata dall’autorevole testata ‘Space News’ al riguardo: «Né la Nasa, né l’agenzia spaziale italiana hanno annunciato progetti specifici che fanno parte di quello sforzo di cooperazione», aggiungendo poi nelle sue colonne che anche sull’impegno finanziario di oltre un miliardo di dollari: «Non è chiaro se in quel totale vengano inclusi precedenti impegni del governo italiano nei programmi di esplorazione dell’Agenzia spaziale europea o nuovi investimenti italiani in programmi relativi ad Artemis». Sarà bene vederci chiaro e sarà nostra cura appurare con la massima attenzione quanto sta muovendo attorno all’intero affare.
Il prossimo mese sarà in Italia il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Nella sua agenda probabilmente ci sarà un piccolo accenno a questo argomento. Anche se il Governo sarà ancora in carica nella sua attuale struttura, sarà molto interessante comprendere meglio l’intera manovra, augurandoci comunque che questa volta il bilaterale sia legittimato da due attori con pari dignità.