Firenze – Nel nostro Paese non infuria, come avviene altrove, la guerra che devasta persone, cose e siti archeologici, eppure il nostro patrimonio archeologico e culturale è soggetto a continua erosione, come sta avvenendo a Pompei, a Volterra e in tanti altri luoghi travolti da nubifragi, frane e smottamenti. L’ultimo allarme viene da Pompei, ove una raffica di pioggia ha sbriciolato un pezzo della spalletta che sostiene il Tempio di Venere e ha fatto crollare il muretto di una tomba. Sembra di vivere in uno stato di emergenza continua. L’allarme per quanto sta accadendo è rimbalzato anche al 10 Incontro nazionale promosso a Firenze dalla rivista bimestrale Archeologia Viva.
Piero Pruneti, fondatore e direttore della rivista che da 32 anni ormai mobilita persone, energie, interessi a tutela del nostro patrimonio archeologico non nasconde la gravità della situazione. “Il nostro è uno dei primi Paesi al mondo quanto a densità di patrimonio culturale. Ma è anche uno dei primi al mondo per distruzione dello stesso”. Così commenta quanto sta avvenendo E aggiunge: “Questa devastazione va di pari passo con quella del paesaggio, i due concetti, paesaggio e beni culturali vanno visti insieme. I beni culturali si difendono all’interno della salvaguardia del territorio e del paesaggio. Per far questo non serve la retorica politica, ma occorrono vere e proprie strategie. Si dice che l’Italia custodisca, o meglio, dovrebbe custodire, il 60% del patrimonio culturale mondiale, cifre ballerine e frutto di fantasia, poiché non esistono valutazioni e calcoli precisi, attendibili. Comunque è assai consistente. Ma a questo nostro incontro, che ha visto la partecipazione dalle 8 del mattino alle 7 e mezzo di sera, oltre il termine stabilito, di quasi 2 mila persone che hanno affollato le sale del Palazzo dei Congressi, si è fatta una ampia panoramica della situazione mondiale. E sono emerse cose positive e dati raccapriccianti”.
Vogliamo cominciare da questi ultimi?
La situazione più drammatica è quella riferita da Paolo Brusasco, docente di Archeologia del Vicino Oriente Antico all’Università di Genova e riguarda “La storia rubata”, ovvero il saccheggio archeologico e le distruzioni di chiese, moschee e simboli dell’antichità in Iraq e Siria. E prima in Afghganistan, dov’era avvenuta la distruzione dei Budda di Bamiyan. Generalmente si pensa che in Irak la situazione si sia stabilizzata. Non è così. Certo, è più facile difendere i musei, basta presidiarli militarmente, ma le aree archeologiche sono indifese e incontrollabili. Viste dall’alto appaiono come un groviera, piene di buche, fatte dai tombaroli. Le aree più depredate nel corso delle guerre sono quelle delle città sumere di Ur, Uruq Umma e anche di Babilonia. Dall’inizio della guerra civile in Siria i siti archeologici vengono usati come campi di battaglia o usati come scudi. Diecimila i siti colpiti dai saccheggi, fra cui i sei dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità: la città vecchia di Damasco, con la celebre moschea distrutta, il minareto di Aleppo, uno dei simboli del paese, l’area di Dura Europos, che conservava le chiese e gli affreschi delle prime comunità cristiane, Mahalula, laddove si parlava ancora l’aramaico. Distruzioni prodotte dall’estremismo musulmano, e dagli altri estremismi. poiché i conflitti rivestono carattere ideologico. Danni irreparabili. Brusasco, ha fornito una mappa delle distruzioni, e lanciato un appello affinché l’Occidente cessi di rendersi complice con l’acquisto di parte dei beni saccheggiati. E qualcosa in questa direzione sembra stia accadendo.
Ma, dicevi all’inizio, l’incontro ha offerto anche un ventaglio di curiosità, stimoli interessanti e novità. Ho visto che il pubblico ha seguito con particolare interesse due “star” della comunicazione televisiva come Manfredi e Angela.
Non solo loro. Tutti gli interventi, quelli sull’Italia dei Longobardi, sulla tomba etrusca di Tarquinia, sulla Domus di Tito di Aquileia, fino all’omaggio doveroso per una città come Firenze a Margherita Hack sono stati seguiti con altrettanto interesse.
Che c’entra un’astronoma con la fantascienza ?
Lo scrittore Viviano Domenici ha affrontato il tema delle indagini della scienza sugli inganni della fantarcheologia. Tema sul quale, la grande astronoma, nostra concittadina, alla quale la nostra città non aveva ancora dedicato, dopo la scomparsa, un omaggio davanti ad un pubblico così vasto, ha dedicato attenzione, non mi riferisco soltanto ai geoglifi del deserto peruviano, che non erano piste per atterraggio degli extraterrestri, ma anche alla Madonna dell’Ufo che si trova in Palazzo Vecchio. Ebbene, lei era molto pugnace nel ricondurre certi segni strani e misteriosi all’interpretazione più rigorosa e scientifica. E’ stato un modo per ricordarla con affetto.
Quanto agli interventi di Valerio Massimo Manfredi e Alberto Angela, che ha chiuso i lavori, sono stati di grande fascino e suggestione.
Manfredi ha parlato soprattutto come scrittore, no?
Sì, soffermandosi sul tema del Ritorno, in greco Nostoi, del ritorno di Ulisse e degli eroi nelle leggende dell’antica Grecia, sostenendo che nei racconti e nelle antiche leggende si nasconde
sempre qualcosa di vero. Per esempio non vi sono testimonianze a conferma della guerra di Troia, ma se Omero l’ha descritta qualcosa di veritiero e da ritenere vi sia. Insomma, l’archeologia deve saper interrogare il mito e la leggenda. E a proposito di leggende, Andrea Carandini, docente emerito di Archeologia Classica alla Sapienza di Roma, indagando sulla vicenda di Romolo e Remo, ha confermato la datazione della Fondazione di Roma al 753 a.C.
Spesso l’archeologia o la paleontologia correggono la storia. Non è così?
Sì, certo, sia gli interventi di Cristina Acidini, soprintendente al Polo Museale Fiorentino che Gino Fornaciari, ordinario di storia della Medicina all’Università di Pisa, lo hanno confermato a proposito degli studi paleopatologici sui reperti umani della famiglia Medici, riesumati dalle tombe Medicee di S.Lorenzo, il Pantheon di famiglia. La prima rivelazione riguardava Francesco I, che gli storici supponevano fosse stato avvelenato con l’arsenico, insieme alla moglie Bianca Capello, nella villa di Poggio a Caiano, dal fratello minore cardinale Ferdinando I, aspirante erede. Tesi plausibile, ma i test compiuti con le più avanzate tecnologie e coordinati dal prof. Fornaciari, hanno stabilito che si trattò di malaria. La quale colpì anche altri membri della stessa famiglia. L’ultima scoperta sempre relativa ad uno della famiglia medicea, Giovanni dalle Bande Nere, figlio di Giovanni il “popolano”, Capitano di Ventura, riguarda la correttezza o meno dell’intervento chirurgico di amputazione di una gamba, da parte di un medico-chirurgo ebreo famoso a quel tempo come Mastro Adamo. Il Capitano era rimasto ferito in battaglia da un colpo di falconetto, uno dei primi cannoncini del tempo. Fu operato da sveglio, testimone Pietro l’Aretino, e non volle che fosse tenuto fermo dagli aiutanti. Tenne lui stesso la torcia per far luce al chirurgo. Morì per l’infezione seguita all’intervento.
In effetti, le nuove ricerche hanno confermato la correttezza tecnica dell’amputazione , avvenuta sotto il ginocchio. Invece, i recenti test, hanno dimostrato che la morte di Castruccio Castracani, non avvenne per malattia, bensì per avvelenamento.
Quali altre curiosità e novità ci ha riservato questo 10 incontro?
Oltre ai “segreti “ di Michelangelo nella Cappella Sistina, riguardanti soprattutto i personaggi raffigurati nel Giudizio Universale, magistralmente narrati da Alberto Angela, in una sorta di Superquark, questo a ricordo dei 450 anni della morte del Buonarroti, mi piace ricordare gli interventi sulla musica “perduta” degli Etruschi, di Simona Rafanelli, direttore del Museo archoelogico di Vetulonia e del musicista jazz Cocco Cantini, i quali, per la prima volta hanno studiato l’affresco che ritrae un musicista etrusco con uno strumento a fiato, comparandolo con l’unico flauto etrusco ritrovato in una nave arcaica rinvenuta nei fondali di Giglio Caprese. E da lì si è capito come potesse essere il suono degli etruschi.
A conclusione della nostra conversazione Piero Pruneti, che dal 1982, anno della sua fondazione, dirige la nota rivista, ci tiene ad informare che il “pubblico militante dei nostri lettori, che conosciamo si può dire uno ad uno, essendo coinvolti non solo negli incontri annuali ma anche nelle campagne di scavo e a sostegno dell’archeologia, potrà ascoltare via internet il sonoro di questo 10 incontro fiorentino”. A Piero chiediamo quanti sono i suoi lettori: 10 mila abbonati non solo in Italia e 35 mila le copie che l’editore Giunti stampa e che non vanno mai in resa perché le rimanenze vengono distribuite nei convegni e nelle varie iniziative. “Nonostante tutto, l’interesse per la materia è grande. Si vive di archeologia e con l’archeologia”.
Le foto presenti nell’articolo sono di Valerio Ricciardi.
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