Ziarat, provincia pakistana del Belucistan, notte del 15 giugno 2013. Il silenzio della mezzanotte è rotto dal fischio dei razzi e dalle esplosioni delle granate. In pochi minuti l’antica residenza del fondatore del Pakistan indipendente, Muhammad Ali Jinna, fondatore del Pakistan indipendente scomparso nel 1948, è ridotto ad un braciere fiammeggiante. Tra le macerie rimane senza vita anche un poliziotto di guardia alla abitazione, protetta come Monumento Nazionale.
Cambiamo scena e di poco anche la data. Karachi, sera del 20 marzo 2013. Abdul Razzaq Baloch è un giornalista alle prime armi, da poco impiegato in una piccola testata locale della caotica megalopoli pakistana. Il giornale, pomposamente denominato ‘Daily Tawar’, è stampato con una rotativa mossa da ruote di bicicletta, in uno scantinato della periferia cittadina. I loro articoli trattano della provincia del Belucistan, poco distante da Karachi, che invece è la capitale del Sindh. Come si evince dal cognome, Baloch è di etnia beluci, ed Il giornale è infatti sostenitore del movimento indipendentista della regione, anche se si discosta dalla sua degenerazione armata, bruscamente riesplosa nel 2004. Abdul sta rincasando con la sua bicicletta, quando sulla strada per casa si trova la via sbarrata da un SUV con i vetri opachi. Due uomini scendono, lo colpiscono, gli gettano un lenzuolo in testa e lo trascinano nel bagagliaio della macchina, che scompare nella notte. Il corpo di Abdul Razzaq Baloch viene rinvenuto in una discarica alla periferia di Karachi il 21 agosto successivo: incaprettato e strangolato.
Le due sanguinose diapositive appena descritte sono alcune tra le più recenti battute di quello che – pur quasi sconosciuto – è il più lungo e datato dei conflitti che affliggono il Pakistan. Lo strapotere tribale sulle province al confine con l’Afghanistan perdura dagli anni ’80; i sanguinosi pogrom anti-sciiti dal 1989; la guerriglia integralista islamica ed i suoi ambigui rapporti coni militari, da fine anni ‘90. La guerra di indipendenza del Belucistan, invece, è praticamente nata con il Pakistan stesso, esplodendo per la prima volta nel 1948. Ma nei 65 anni trascorsi da allora, il conflitto è riesploso altre tre volte (1958-58, 1963-69, 1973-77), per culminare con la quinta, iniziata nel 2003-04 e tutt’ora perdurante.
L’indipendentismo beluci ha avuto nel corso del tempo molte facce ed espressioni. Supportato dall’India durante la guerra del 1948, si è poi reso relativamente autonomo e dotato di un suo sostrato ideologico, basato su un forte movimento studentesco locale (1964-67), che diede vita al Baluch Liberation Front. Sotto la sua egida, l’indipendentismo iniziò a combattere per uno Stato beluci includente anche il versante iraniano della regione, provocando la dura repressione anche da parte del regime dello Scià. Il movimento ottenne così di riflesso il supporto dell’Iraq, così come dei regimi pan-arabisti e nasseriani. Nonostante questo vasto supporto, il movimento fu violentemente schiacciato dalla giunta militare di Zia-ul Aq tra il 1977 ed il 1980.
Come tutto il Pakistan occidentale, lontano dalla valle dell’Indo e dai fasti controversi della “Green Revolution” agricola, anche il Belucistan è una terra poverissima, arida e isolata. Nonché generatrice nei decenni di una enorme migrazione, soprattutto verso la vicina Karachi. Ad oggi la regione, pur occupando quasi un quarto del territorio pakistano, è abitata da soli 8 milioni di persone (6% del totale), e rappresenta poco più del 3,5% del PIL nazionale.
A sentire le stime sulle risorse minerarie ed energetiche, questi numeri sono a dir poco incredibili. Il Belucistan è la provincia di gran lunga più ricca del Paese in termini di risorse naturali: enormi depositi di rame, e più modesti di oro, carbone e gas naturale, pullulano nel sottosuolo della regione. Ma, come accaduto nel resto del Paese sia ad inizio anni ’90 con Nawaz Sharif, sia durante il regime di Musharraf, anche i pochi contratti di sfruttamento siglati dal governo regionale con le multinazionali minerarie si sono rivelati poco meno che una svendita. Intese spesso portatrici di pochi investimenti produttivi, pochissime entrate fiscali, ed uno sfruttamento minerario para-coloniale. Il caso più eclatante è stato quello scoperto nel giugno 2010, quando l’intero esecutivo del Premier Gilani finì sulla graticola per la vendita per 30 milioni dollari ad una multinazionale australiana del colossale giacimento aureo di Reki Diq, del valore stimato di 260 miliardi.
Male valorizzato ed all’abbandono, il Belucistan non ci ha messo molto a generare indipendentismi più agguerriti e radicali di quelli repressi negli anni ’70. Con il golpe del 1999, l’escalation della guerriglia integralista nel nord-ovest e il coinvolgimento del Paese nel conflitto afghano, esercito e polizia hanno gradualmente ri-perso il controllo di vaste aree della regione. Ma a differenza dei casi sopra citati, il nazionalismo beluci è rimasto un movimento in larga parte laico ed estraneo al fondamentalismo. Esiste una presenza limitata dei gruppi filo-Talebani, stimata in circa un migliaio di militanti del Fronte Jundallah, mentre il Balochistan Liberation Army, principale gruppo nazionalista, sarebbe forte di almeno 10.000 uomini.
Nonostante il gruppo sia protagonista anche di bombe ed attentati, a parte il Governo pakistano e l’Iran, nessun Paese al mondo ha iscritto il BLA nella lista ufficiale delle organizzazioni terroristiche. Gli Usa si sono limitati ad inserirlo nella “proscribed list”(una specie di pre-allerta) mentre il Regno Unito ha solo bandito i suoi militanti dal territorio nazionale. Pienamente schedati in questo senso sono invece i militanti del Lashkar-e-Balochistan (LeB), nati da una scissione interna a gruppi pre-esistenti. La totale assenza di un giudizio univoco della comunità internazionale sul nazionalismo armato beluci è indicativa dell’imbarazzo che circonda la questione. Perché almeno in questo caso, è stato il Governo di Islamabad a provocare il ritorno del conflitto armato, e nel peggiore dei modi.
A partire dalla primavera del 2003, infatti, l’indipendentismo politico beluci è stato oggetto di una campagna di repressione inaudita, al quale poi i medesimi militanti hanno risposto riprendendo le armi l’anno successivo. Squadre speciali di polizia, militari e servizi segreti hanno avviato una vera e propria “dirty war” del tutto analoga a quella della giunta militare Argentina contro gli oppositori politici negli anni ’70 e ’80. Militanti dei partiti e organizzazioni beluci vengono rapiti nella notte dalle loro case, spesso anche assieme alle famiglie. A giorni o mesi di distanza, i loro corpi vengono ritrovati in mezzo alla campagna o nelle aree intorno a Karachi, spesso orrendamente torturati. Le stime sulle vittime di questa pratica non sono certe, poiché la censura ed il silenzio di Islamabad sul conflitto sono pressoché totali. Ufficialmente le vittime civili del conflitto superano di poco le 2000, ma le ONG e la popolazione locale denunciano solo da parte beluci almeno 6000 tra uccisi e scomparsi nel nulla negli ultimi dieci anni. Il conflitto ha inoltre provocato la fuga di almeno 140mila persone.
A guidare la furia dei militari pakistani, oltre alle citate risorse della regione, è anche la posizione strategica del Belucistan e le infrastrutture in progetto. Nel 2002-03 il porto della città di Gwadar è divenuto l’inizio della corsa della Cina alla ricostruzione ed utilizzo a proprio vantaggio dei porti nell’Oceano Indiano, allarmando non poco la vicina India. A fine 2012, contro le forti proteste di Washington, il Pakistan ha praticamente rotto in questa regione le prospettive di embargo totale del gas iraniano, siglando un contratto con il regime degli Ayatollah per la costruzione di un gasdotto diretto tra i due Paesi destinato a finire proprio a Gwadar. Un opera che potrebbe spingere la stessa Cina ad aggirare le sanzioni a Teheran attraverso la gassificazione ed il trasporto liquido in Cina del suddetto gas da questo porto.
Le tensioni internazionali intorno a questi due progetti sono tali da suscitare ad Islamabad accuse di complotti a sostegno della guerriglia, principalmente in direzione dell’India, in passato effettivamente coinvolta in simili operazioni. Mentre New Delhi nega con decisione, l’ormai vistoso allontanamento tra Islamabad e Washington spinge alcuni osservatori pakistani ad accusare addirittura gli Usa ed Israele, anche in questo caso sull’onda di un precedente storico. Durante gli anni ’80, i ribelli beluci, da poco repressi sul versante pakistano, vennero infatti appoggiati da CIA e Mossad in atti di resistenza armata contro l’Iran. L’ennesimo retaggio storico di una guerra mai così incancrenita tanto quanto dimenticata.