giovedì, 23 Marzo
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La Spagna litiga sui tori, anzi sulla corrida

A volte siamo colpevoli di colpe che proprio non attengono alla tipologia delle nostre manchevolezze, colpe che non commetteremmo mai se solo fossimo liberi di scegliere, come quando, pacifisti nel profondo, siamo costretti a sostenere con le nostre tasse, senza averlo mai voluto,  le spese per una produzione (esorbitante) di armi da vendere qua e là per il mondo; non meno odiosa e altrettanto insensata è la somma che per anni abbiamo versato, quali cittadini europei, per sovvenzionare regolarmente e lautamente (129 milioni di € ogni anno) un’istituzione nefasta, crudele e ignobile quale  è la corrida, che  il Parlamento europeo ha, fino a tutto il 2015, sostenuto con un flusso di denaro pubblico, che solo nell’ottobre scorso è stato per la prima volta interrotto dal voto finalmente contrario di una maggioranza di deputati.

Siamo lontanissimi dalla  fine della corrida, ma si tratta comunque di un passo importante per contenerne  la diffusione, visto che, in assenza di questi aiuti da parte dell’Europa, le municipalità, che proprio in questi giorni   in Spagna si scontrano  per decidere se disinvestire da altri progetti in favore della nobile  causa della mattanza pubblica dei tori, incontreranno per lo meno difficoltà a sostenerne i costi. Al momento si  stanno confrontando animatamente i vari partiti.

Per quanto basiti per doverlo ancora fare, siamo  ancora qui, nel terzo millennio, ad argomentare. Si, perchè in Paesi della civilissima (?) Europa, Spagna, Portogallo, Francia del Sud, oltre che in tanta parte dell’America Latina, prospera un particolare modo di trascorrere graziosamente caldi pomeriggi in compagnia, lì sugli spalti dell’arena, dove, ad ogni appuntamento, vari tori, uno dopo l’altro, terrorizzati perché scaraventati in un luogo sconosciuto, pressati  da uomini brutali e urlanti, prima indeboliti con lauta somministrazione di purghe, vengono incitati  per un lungo corridoio scuro fino allo spiazzo della carneficina, a volte ricevendo all’ingresso un colpo dighigliottina‘ sulla testa tanto per cominciare  fessurando le ossa del cranio: questo dopo che sono stati colpiti ai reni  con sacchi di sabbia, con le corna limate non sia mai dovessero fare troppo male al  loro assassino, cosparsi di trementina sulle zampe, con vaselina negli occhi e sulle mucose del naso, spilli nei testicoli.
E’ solo a questo punto che il torero, grottesca figura in similcalzamaglia e scarpe lucide, abiti lucenti e lustrini, può finalmente dare prova del suo coraggio: coraggio che si esprime intanto nell’ordinare ai banderilleros a cavallo (vecchi cavalli a cui sono state tagliate le corde vocali, così non disturbano con le loro grida quando vengono feriti, squartati nel ventre) di inseguire e infilzare il toro sul dorso e sul collo con bastoni che hanno una punta d’acciaio lunga cinque centimetri, dopodichè  può cominciare a chiamare e richiamare una bestia sfinita, terrificata e sanguinante, che vorrebbe solo fuggire, ma non c’è un dove,  e mettere in scena quella che spaccia per  rappresentazione di virilità: altezzoso, mento in alto e petto in fuori,  sguardo fiero, puntato in quello appannato e sconvolto di chi è la vittima di tutto l’insensato orrore. Fino alla fine. Quando il toro perde anche la capacità di reggersi in piedi: allora il matador gonfia ancora un po’ il suo petto, gli si avvicina vigoroso  e mima le fasi finali del finto duello, occhi negli occhi della bestia, che di tutto questo non sa il perché, mentre, vomitando saliva e sangue, abbandona la vita.
Ma ancora non è finita perché continuano osceni rituali di taglio dell’orecchio nonchè di giri davanti agli spalti per omaggiare  il gentile pubblico,  e poi ergersi vincitore sulla gigantesca sagoma rantolante a celebrare il proprio trionfo. Folla in breve delirio, nonostante l’ansia per il risultato sia francamente sprecata dal momento che, a fronte dei tre mila tori  ogni anno trucidati solo in terra di Spagna, la morte del matador è evenienza verificatasi solo una quarantina di volte nel corso dei secoli, tutt’al più  qualche incornata.

Ecco, in sintesi, in estrema sintesi, quello che continua ad avere luogo anche nelle piazze di Paesi dell’Unione Europea. La cosa ci riguarda: perché fino a ieri tutti noi ne siamo stati sovvenzionatori ancorchè involontari, perché ancora oggi c’è chi persiste a sostenere lo spettacolo come pubblico pagante nelle trasferte turistiche; perché le non frontiere, la globalizzazione, la vicinanza creano un brodo di cultura di cui tutti ci alimentiamo; infine e soprattutto perché della specie umana, autrice di tanta indecenza, siamo comunque parte.

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