Mi chiedo a chi si rivolgesse Matteo Renzi quando diceva: «Lasciate lavorare chi sta lavorando», perché l’unico che non taceva era proprio lui.
Se qualcuno gli facesse capire che deve starsene buono ci rilasseremmo tutti. Speriamo non vada avanti a oltranza, fino a quando resterà in piedi anche uno solo di coloro che rifiutarono di esaltarne il genio (dev’essere una cosa iniziata quando era appena un bambino).
A tenergli compagnia, gli amici fidati, una rovina, quelli che gli danno ragione anche se sostiene che il Sole sorge a Ovest.
Un vecchio collaboratore di Bettino Craxi disse che la fine del capo era iniziata quando il medesimo aveva smesso di prendere il tram. La realtà se la faceva raccontare da chi gli stava intorno, che la modellava sulle attese del leader. I cortigiani sono i grandi nemici dell’autorità.
Matteo Renzi e quel fenomeno fastidioso noto come ‘renzismo’, sono dunque nient’altro che ripetizioni di fenomeni già visti, risposte sbagliate a input letti male da occhi servili e/o da ipertrofica presunzione del capo. Questo tipo di leadership intemperante, autocentrata, è viziata da difetti d’origine, abilmente mimetizzati o trasformati nell’esatto contrario. Ad esempio, se uno sbava per il potere in modo compulsivo, si mette a dire che non vede l’ora di fare dell’altro.
Formazioni reattive, direbbe l’analista di corte, ma neppure lui si è accorto di trovarsi di fronte a uno dei pacchi meglio confezionati della storia politica dell’ultimo mezzo secolo. I cantori dovrebbero aspettare almeno un ciclo completo di stagioni prima di partire coi loro peana, perché all’inizio -quando lo stupore per il nuovo è forte e i successi sembrano di per se stessi un certificato di garanzia- si può cadere in qualche svista imbarazzante, dopodiché, per non smentirsi, si cambia discorso.
Ad esempio, nei giorni scorsi, il professore, così apprezzato alla Leopolda, discettava sulla pubertà dei dirigenti del M5S: «L’insulto sfacciato, la critica virulenta, il disprezzo per le istituzioni e i suoi simboli che hanno caratterizzato questo movimento sino dai suoi esordi -tutte marche del fantasma puberale che li ha generati- deve oggi fare i conti con il passaggio alla responsabilità che comporta trovarsi dall’altra parte della barricata, a tutela di ciò che sino a poco tempo fa aggredivano». Un passaggio verso l’equilibrio e la maturità che evidentemente anche altri, dagli esordi così promettenti ma già belli carichi di indizi sulle future evoluzioni, pare abbiano mancato.
La coerenza dello stile di vita dice più delle parole dei cantori, rende visibili i recessi che essi non vedono, prendendo abbagli e confondendo, a proposito di gente che aspetta, Madama Butterfly con Telemaco.
Venerdì 23 agosto 2019 era stato il primo giorno di speranza, dopo 17 mesi di incubo, costati cari al nostro Paese. Si è iniziato a trattare, moltissimi chiedevano soluzioni ragionevoli trafficate da adulti, nell’interesse collettivo. Madama Butterfly, invece, che si sentiva trascurata e non scorgeva la nave di Pinkerton all’orizzonte, era di cattivo umore. Il mondo stava girando senza di lei! Infatti, subito, in mattinata, le prime pagine dei quotidiani davano conto di un audio di Matteo Renzi che, rivolgendosi ai partecipanti alla sua scuola di politica, denunciava una presunta manovra di Paolo Gentiloni, tesa, secondo l’ex segretario del Pd, a fare saltare l’accordo col M5S.
Tempo e luogo sbagliati.
Innanzi tutto, il luogo. L’esternazione è avvenuta mentre Madama Butterfly, in attesa impaziente, stava ‘tenendo una lezione’ presso la sua scuola di politica, ossia stava parlando ad alcuni giovani, ossia stava educando dei ragazzi a servire attraverso la politica, ossia stava testimoniando una concezione della medesima che non possiamo definire montessoriana e nemmeno impregnata di ‘spirito di servizio’. Espressione, quest’ultima, che il cattolico Matteo Renzi, compagno di particola del ministro dell’accoglienza, dovrebbe conoscere a menadito, se non altro perché, la politica, diceva Paolo VI, è l’ambito più alto della carità. Il che significa che uno, prima di fare qualunque passo, si accerta che non sta incornando la collettività.
La ‘pedagogia politica’ di Matteo Renzi forse è figlia del Vangelo, oppure, come noi crediamo, di una volontà di potenza fuori scala. Un democristiano del crepuscolo, degli anni in cui l’opaco brodo primordiale si era popolato di creature fantastiche, personaggi privi del talento dei declinanti padri politici ma risoluti a prenderne il posto, come se quel talento l’avessero davvero.
Sogno, illusione, che si dissolve al contatto con la luce del giorno, quando i difetti di maturità e la superficialità dell’elaborazione, vengono mesi a nudo.
Del luogo abbiamo detto.
Poi c’è il tempo. La mattina, a poche ore dal primo incontro tra le delegazioni Pd e M5S, non certo per facilitarlo. Non importa se il buon esito della trattativa poteva assecondare il proprio rifiuto delle urne, quello che contava era l’attimo da cogliere, la colonizzazione delle prime pagine, la memoria da consegnare ai negoziatori, al pari di un convitato di pietra. Se non mi volete, sappiate che non me ne starò con le mani in mano.
Gli ufficiali della marina tedesca, il 21 giugno 1919, provocarono, a Scapa Flow, in Scozia, l’autoaffondamento della loro flotta, perché non cadesse in mani nemiche. Anche questa una bella lezione ai partecipanti della scuola di politica, per fortuna a numero chiuso.
Proprio lui, che aveva posto il veto ad ogni accordo coi 5 Stelle, cerca ora di prendersi la scena per invocarlo e pilotarlo, sia pure a debita distanza, perché i cattivi non lo vogliono.
Sarà il tempo a dirci dove vuole andare a parare, sapremo presto cosa nasconde l’improvviso zelo istituzionale, nel frattempo mi permetto di chiedere ai giovani iscritti della scuola di politica dell’ex segretario del Pd, se pensano davvero di essere nel posto giusto. Anche in questo caso, si tratta di questione di tempo. Sapranno, sapremo.