In politica estera la Russia ha segnato, di recente, molti punti a proprio favore. In attesa di vedere se sarà capace di conservarli, se le sue scommesse si riveleranno durevolmente vincenti, la constatazione di segno positivo trova riscontro anche nell’agio con cui Vladimir Putin e i suoi collaboratori sembrano muoversi sulla scena internazionale. Dove, a mosse e reazioni rapide e risolute alternano pause apparentemente calibrate e funzionali, atteggiamenti duri a gesti concilianti nei confronti degli interlocutori.
Ad un comportamento analogo gli uomini del Cremlino e dintorni cercano di attenersi anche sul fronte interno, però in modo meno convincente, perché qui la situazione è ben diversa, dando luogo ad un marcato contrasto con quella esterna. Una situazione, a ben vedere, non tanto pesante e grave, dopo il tamponamento e una relativa sdrammatizzazione della crisi economica, quanto piuttosto delicata ed incerta sotto vari aspetti. Aperta, in definitiva, ad ogni possibile sviluppo anche destabilizzante.
La salute politica del ‘nuovo zar‘, non a caso così chiamato, si presenta stabilmente ottima, come quella fisica. Il tasso di consenso di cui gode nel Paese è sempre quello stellare, ben noto e invidiabile da qualsiasi governante o regnante. Tenendo conto di tutti i dati rilevanti in proposito, la sola ipotesi che Putin possa guardare con qualche preoccupazione alle elezioni del prossimo settembre per il rinnovo della Duma, la Camera principale del Parlamento federale, suona quasi comica. Sembra confermarlo, del resto, un gesto di apertura democratica appena compiuto e reso tanto più significativo, se si vuole, dall’adozione, almeno sulla carta, di un modello made in USA, proprio cioè nella potenza rivale che la netta maggioranza dei russi guarda oggi decisamente in cagnesco. Si tratta delle primarie, cui dovranno sottoporsi i candidati di Russia unita, il ‘partito del potere’ già largamente predominante benchè assai poco popolare nel Paese, che lo vota perché è quello di Putin.
Valentina Matvienko, Presidente della Duma, non ha lesinato l’enfasi per alimentare le aspettative da una novità alquanto imprevedibile, anche perché i pregi della democrazia non incantano più di tanto i suoi connazionali. La signora ha parlato di bisogno di rinnovamento, avvicendamento e ringiovanimento dei legislatori, di confronto pluralistico delle idee, addirittura di una ventata di «forte concorrenza politica» che a suo avviso non mancherà di arrivare. Avvertendo, peraltro, che rimane «indispensabile la permanenza del controllo statale sulle fondamentali leve di comando dell’economia e dei settori strategici chiave».
Non è il caso, insomma, di aspettarsi svolte epocali, anche perché, se davvero soffierà un’aria più fresca dentro il partito di Governo, favorendo magari una più costruttiva dialettica con la cosiddetta opposizione ‘di sistema’, cioè di regime, nulla lascia presumere che possa altresì migliorare il trattamento dell’opposizione extraparlamentare, di quella cioè divenuta tale perché contesta il regime da posizioni più attendibilmente liberal-democratiche. Al contrario, si registrano da parecchie settimane segni inequivocabili di un tendenziale giro di vite ai danni di partiti, gruppi e persone politicamente ai margini e libertà civiche in generale. Per restare in tema di elezioni, un’impressione del genere può apparire smentita dalla nomina di Ella Pamfilova, un personaggio con solide credenziali liberali, alla testa della Commissione elettorale centrale.
Può darsi che si tratti di un gesto apprezzabile ma sostanzialmente gratuito dal momento che Putin e compagni, a rigore, non dovrebbero temere un gran che dalla prossima prova delle urne. Tenendo evidentemente conto di passate esperienze, la nuova titolare dell’importante carica ha comunque assicurato che non esiterà a dimettersi qualora il corretto svolgimento della consultazione popolare dovesse subire intralci. Pesa tuttavia, per ora, soprattutto il fatto che la Pamfilova sia stata rimpiazzata, nella sua precedente funzione di ombudsman, ossia di garante della tutela dei diritti umani, da una figura di tutt’altro profilo: Tatjana Moskalkova, ex alto funzionario del Ministero degli Interni col grado di generale di Polizia e in seguito, fino a ieri, deputato di Russia giusta, un piccolo partito già di opposizione via via addomesticato con vari espedienti.
Contro una simile nomina (o elezione, formalmente, da parte della Duma) non hanno solo inscenato la puntuale protesta di piazza alcuni militanti di Jabloko, l’ormai vecchio e un po’ logoro drappello di oppositori radicali. Sulla sua opportunità ha levato una voce critica persino Vladimir Zhirinovskij, l’istrionico leader dei sedicenti liberal-democratici che ogni tanto trovano qualcosa da ridire sull’operato dei massimi dirigenti e qualche volta cercano di onorare la denominazione che si sono dati.