martedì, 21 Marzo
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La diplomazia nella complessità del mondo liquido

Si è aperto oggi a Roma il Festival della Diplomazia 2017 con un programma ricco di incontri e di eventi. Una settimana in cui si parlerà dello strumento diplomatico affrontando tutte le sue sfaccettature, da quella culturale a quella politica, da quella economica a quella futura. Nell’ottava edizione del Festival si parlerà di valori universali e della necessità che le leadership affrontino la complessità del quadro internazionale attuale con dialogo e consapevolezza.

Abbiamo parlato proprio di diplomazia con Giampiero Massolo, Presidente del Comitato Scientifico del Festival, nonché, ambasciatore, già Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri, Presidente di Fincantieri e dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI).

Qual è il ruolo che la diplomazia ha oggi e cosa è cambiato rispetto agli anni passati?

Questo stesso Festival dimostra quanto lo strumento diplomatico sia attuale anche in un’epoca globale, di contatti diretti, di annullamento della dimensione spazio-temporale per varie ragioni; intanto perché, proprio per la complessità degli eventi, i Governi nel prendere le dovute decisioni necessitano di strumenti flessibili, che siano in grado di dare una chiave di lettura alla complessità del mondo internazionale. Hanno bisogno di strumenti che siano in grado di proporre delle opzioni al valutatore politico, al decisore governativo e che, in qualche modo, sappiano coniugare quella che è una dimensione globale con delle realtà geopolitiche che tante crisi in giro per il mondo ripropongono in maniera assillante nel nostro quotidiano. La diplomazia risponde a questo ed è, cioè, una diplomazia non più tradizionale. Per lo meno, l’idea che si aveva del diplomatico classico nell’immaginario collettivo è sostituita da tecnici ad elevata specializzazione che, nonostante ciò, non perdono mai di vista la dimensione complessiva; sanno molto degli alberi ma riescono anche a vedere la foresta. Da questo punto di vista sono degli sherpa, sono coloro i quali guidano l’alpinista che poi conquista le vette.

Oggi sempre più parliamo di diplomazia economica, di diplomazia dello sport, di diplomazia dal basso e non solo. Ci può spiegare meglio?

La diplomazia ha tante declinazioni perché la realtà è sfaccettata e i rapporti internazionali si moltiplicano. Come dicevo prima, non esiste più lo spazio, non esiste più il tempo e tutto si verifica contemporaneamente in ogni luogo, ma, d’altra parte, tutto si verifica nei campi più molteplici. In tutti questi c’è bisogno di qualcuno che, allo stesso tempo, veda la complessità dei fenomeni e che riesca anche a farne la sintesi, che riesca a mettere in comunicazione e a fare da tramite, ad unire i puntini. Questo è il compito della diplomazia nei campi più vari, non più soltanto in quello tradizionale dei rapporti fra Stati al massimo livello, ma anche in campo economico, scientifico, culturale. C’è bisogno di questo collante, di questo tramite. Il Festival unisce tutti questi contenitori, è una manifestazione ‘diffusa’ perché sono vari eventi in un contenitore anche temporalmente rilevante poiché dura una settimana; tale evento cerca di dare coerenza a queste dimensioni nell’ambito di un programma che, a prima vista, può sembrare complesso e che, però, è ricco e, soprattutto, ha dei percorsi tematici precisi.

Quanto è importante lo strumento diplomatico oggi e quanta importanza gli viene nei fatti riconosciuta, in particolare, in Italia?

Innanzitutto occorre dire che è il Ministero degli Esteri ad essere il contenitore amministrativo della diplomazia italiana; questa è sicuramente in una posizione prevalente dal punto di vista della nostra pubblica amministrazione proprio perché le varie pubbliche amministrazioni, i vari soggetti che partecipano alla proiezione internazionale del Paese, (e Dio solo sa di quanta proiezione il Paese ha bisogno per la sua reputazione, per la sua presenza nel mondo, per la domanda di Italia che c’è nel mondo), devono trovare un filo comune, una coerenza, devono in qualche modo essere sostenute ed organizzate nel loro proiettarsi all’esterno del Paese. Ecco, a questo serve la diplomazia italiana, oltre che, evidentemente, a formulare ipotesi ed opzioni alternative di condotta per il Governo nelle grandi crisi internazionali. Poi serve anche i cittadini: pensiamo a chi capita qualcosa all’estero o ai casi drammatici dei sequestri di persona; ma serve anche il ‘sistema-Paese’, quindi, aiuta le nostre aziende facendo percepire che dietro ciascuna di queste c’è un Paese, un Governo ed uno strumento capace di sostenerle efficacemente.

Bastano le risorse che lo Stato italiano investe sulla diplomazia?

Le risorse non sono mai troppe; diciamo che la situazione nel complesso non è insoddisfacente. Detto ciò, la forza della diplomazia è soprattutto nelle idee, nei concetti, nel mettere insieme le persone. Le risorse, tuttavia, come dicevo, non sono mai troppe.

Una delle critiche che si sollevano alla diplomazia italiana è il costo che, paragonato a quello degli altri Paesi europei, è qualcosa di molto sproporzionato. Me ne può parlare?

E’ così ma negli anni la diplomazia italiana ha fatto un’opera di razionalizzazione che ha consentito di ridurre in maniera molto rilevante questi divari. Detto questo bisogna anche osservare che c’è una diversità di approccio, nel senso che, in molti altri Paesi il costo vivo delle diplomazie è minore perché molte sono le spese che vengono assorbite per ragioni di servizio direttamente dai Governi. Mentre, invece, il sistema italiano è un sistema più onnicomprensivo, vale a dire un sistema che responsabilizza i singoli con delle allocazioni complessive per poi far sì che il singolo gestisca la propria allocazione senza più che l’amministrazione centrale intervenga. E’ una diversità di concezione, ma, anche in questo caso, negli anni il Ministero ha fatto delle riforme, non ultima quella dei trattamenti all’estero che ha riportato anche questo genere di cose verso una maggiore omogeneità.

Come si rapporta la diplomazia italiana con la politica e con i politici della Seconda Repubblica?

La diplomazia è la carriera burocratica quanto più vicina alla politica vi sia nella pubblica amministrazione; è evidentemente una forza della diplomazia. Il suo compito ed anche la sua rilevanza nell’ordinamento del Paese, sta nell’essere neutra, uno strumento tecnico al servizio di tutti i Governi che si succedono per il solo fatto che sono Governi della Repubblica. E si rapporta così, servendo i Governi e non sovrapponendosi ad essi, come una struttura democratica servente, non in una posizione subalterna, ma di servizio al Paese.

E’ vero che i leader mondiali calpestano il ruolo nativo dello strumento diplomatico?

Ma sicuramente no; più che calpestare, si può dire che i leader si sentono direttamente, quindi, tutto il resto non serve. Per il resto, chi pensa una cosa di questo genere trascura, dapprima, tutto il lavoro preparatorio e poi tutta quella sequenza di contatti che precedono e seguono le relazioni fra leader. Inoltre non si prendono in considerazione le dimensioni relativamente più recenti della diplomazia che prescindono dai leader stessi e riguardano i contatti tra i sistemi-Paese, tra i cittadini. Di ‘ruolo’ mi sembra che ce ne sia assolutamente abbastanza.

Quali elementi di riforma secondo lei sono necessari?

La riforma dello strumento diplomatico è un processo continuo, nel senso che, così come la realtà internazionale evolve molto rapidamente, così lo strumento diplomatico ed il Ministero che lo contiene sono in una costante fase di aggiustamento.

Come è destinata a cambiare la diplomazia in futuro?

Cambierà accentuando le sue competenze interdisciplinari, poiché, la realtà diventerà sempre più complessa e la diplomazia, per seguire, dovrà precedere questa realtà nel suo sviluppo.

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