La Crimea ha votato per la Russia: con il 96,77% dei voti, il referendum del 16 marzo ha dato l’esito che tutti si aspettavano, benché con diversi stati d’animo. Mentre in giornata, come vedremo tra poco, il risultato ha causato scontri verbali tra la Russia del Presidente Vladimir Putin e l’asse Bruxelles–Washington, il Governo di Sinferopoli ha iniziato sin da oggi a muoversi per concretizzare la decisione dei suoi cittadini. Come dichiarato dall’agenzia russa ‘Interfax’, il Parlamento della Crimea ha dato disposizioni perché le unità militari ucraine vengano smantellate ed i beni ucraini nazionalizzati. Inoltre, lo stesso Parlamento ha legiferato per adottare il rublo come moneta, chiedendo contestualmente l’ammissione alla Federazione Russa in qualità di Repubblica e il riconoscimento presso l’ONU come Stato indipendente. È proprio all’ONU che si richiama anche l’ex Presidente sovietico Michail Gorbačëv, secondo il quale non è possibile sanzionare il voto della penisola senza il consenso del Palazzo di Vetro.
Gorbačëv appoggia perciò Putin nel conferire legittimità al voto, sostenendo che «il popolo ha deciso di correggere un errore» del passato. Tuttavia, non sembra che la stima di cui l’ex Presidente ancora gode presso i consessi occidentali possa placare gli animi di questi ultimi. Oggi la Casa Bianca ha confermato sanzioni economiche a funzionari prossimi al Presidente russo ed all’ex Presidente ucraino Viktor Janukovyč, ma all’amministrazione statunitense trapelano voci di possibili nuove sanzioni verso la Russia qualora l’annessione della Crimea procedesse. E, se il Presidente Barack Obama sottolinea l’attuale isolamento di Mosca, Putin non sembra curarsene: già domani dovrebbe infatti esprimersi sulla vicenda crimeana davanti alla Duma, la cui camera bassa, nella stessa giornata, dovrebbe rilasciare una dichiarazione di supporto al risultato del referendum. Dal canto suo, l’Unione Europea ha annunciato sanzioni simili a quelle statunitensi per 21 persone, tra cui alcuni dei politici coinvolti nell’organizzazione del referendum. Anche da Bruxelles giunge comunque l’avvertimento a Mosca: queste misure potrebbero essere le prime di una lunga serie.
L’UE avrà sicuramente gradito di più il risultato uscito dalle urne della Serbia, dove il Srpska napredna stranka (Partito progressista serbo: SNS) ha vinto le elezioni con un 48,44% dei voti che, secondo il sistema elettorale di quel Paese, gli permetterà. una maggioranza di 158 seggi sui 250 del Parlamento unicamerale. L’SNS, guidato da Aleksandar Vučić, rappresenta istanze filoeuropeiste ma affonda le sue radici nell’ultranazionalismo del Partito Radicale Serbo da cui il futuro Primo Ministro proviene. Quest’ultimo ha comunque rinnegato il suo passato ed ha promesso profonde riforme nel settore pubblico, nel sistema pensionistico e nella legislazione sul lavoro, oltre a negoziati con il FMI e, soprattutto, per l’adesione all’Unione Europea.
Continuano intanto le ricerche dell’aereo della Malaysia Airlines scomparso ormai più di una settimana fa. Ipotesi precedentemente scartate sono tornate in auge in questi ultimi giorni, come ad esempio quella per cui il velivolo avrebbe continuato a volare per alcune ore dopo la scomparsa dai radar. Anche l’Australia si è unita ai più di venti Paesi impegnati a ritrovare l’aereo, mentre Kazakistan e Kirghizistan hanno negato la possibilità che il Boeing 777 possa essere stato dirottato nel loro spazio aereo, aggiungendo che in qualsiasi caso sarebbe stato rilevato non solo dalla loro sorveglianza militare, bensì anche da quella dei Paesi che il velivolo avrebbe dovuto passare in precedenza. L’ipotesi più accreditata al momento, infatti, riguarda la possibilità di un dirottamento.
Il Governo del Venezuela ha invece informato di aver sgomberato Plaza Altamira, nella parte orientale di Caracas: la piazza era divenuta una roccaforte dei manifestanti contro Nicolás Maduro ed è stata oggetto ieri dell’attacco della Guardia Nazionale. I soldati hanno fatto uso di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i dimostranti. Nelle stesse ore, a Maracay era proprio un capitano della Guardia Nazionale a perdere la vita per un colpo di arma da fuoco, divenendo la ventinovesima vittima nelle ultime sei settimane.
Diverse dinamiche, ma comunque divisione tra Governo e ribelli anche in un altro Paese petrolifero, la Libia. La scorsa settimana il Governo aveva annunciato di voler agire contro i ribelli, che controllano i porti petroliferi della Cirenaica: ad intervenire sono stati però gli Stati Uniti. Su richiesta dei Governi di Tripoli e Nicosia, la marina statunitense ha infatti intercettato la petroliera ‘Morning Glory’, rifornitasi di greggio presso uno di quei porti e in navigazione nelle acque internazionali al largo di Cipro. «Il petrolio è l’arteria dell’economia», ha dichiarato Tripoli, «il Governo non permetterà a nessuno di prendersi gioco delle ricchezze e risorse del popolo libico». Tuttavia, come indica ‘Reuters’, la necessità di un intervento statunitense indica la persistente debolezza delle istituzioni del Paese.
In ambito mediorientale, Washington continua a seguire frattanto anche gli sviluppi israelo-palestinesi. Oggi il Presidente Obama ha infatti incontrato il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmūd Abbās, invitandolo ad assumersi i propri rischi per giungere alla pace con Israele. Abbās è comunque giunto alla riunione condizionato dal duello a distanza con Mohammed Dahlan, leader del Fatah nella Striscia di Gaza e possibile successore dello stesso Presidente dell’ANP: «sappiamo tutti che stai andando lì solo per allungare i negoziati» è il messaggio rivolto a quest’ultimo attraverso un canale tv egiziano. Per contro, Abbās ha ricevuto l’apprezzamento del Presidente israeliano Shimon Peres.
Per gli Stati Uniti rimane aperto anche il fronte dell’India: l’arresto della diplomatica di Nuova Dehli Devyani Khobragade, avvenuto in dicembre per l’accusa di aver violato le leggi sul lavoro riguardo all’impiego della sua domestica, potrebbe richiedere una «soluzione politica». Questa, almeno, la posizione del Ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid, che si è incontrato sul tema con la sua controparte statunitense, il Segretario di Stato John Kerry, ed avrebbe concordato che i funzionari dei due Paesi possano analizzare insieme le questioni relative ad immunità e privilegi per evitare problemi in futuro. Ha inoltre aggiunto: «se non vuoi problemi in futuri, una cosa ideale sarebbe porre fine a ciò che è successo».
Non è ancora chiaro, invece, quale soluzione possa esserci per la diatriba fra India e Italia a proposito dei due marò da due anni in stato d’arresto per l’omicidio di due pescatori indiani al largo del Kerala. «L’Italia è disponibile a processare i marò in patria, ma intanto chiediamo la loro libertà» è stato l’appello del Ministro degli Interni Angelino Alfano alle Nazioni Unite, dove oggi si è incontrato anche col Segretario Generale Ban Ki-moon.
Sembra aver avuto miglior esito, invece, la missione del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, oggi impegnato nel colloquio bilaterale con la Cancelliera tedesca Angela Merkel. L’incontro non partiva sotto i migliori auspici: tra la stampa tedesca che ha accennato l’incontro, l’aspetto più trattato è stata la richiesta da parte di Renzi di «una licenza per contrarre debiti», come titola ‘Der Spiegel’. Tuttavia, le prime notizie (delle agenzie italiane) riportano un giudizio favorevole della cancelliera e del Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble: «sono rimasta veramente impressionata, si tratta di un cambiamento strutturale», è stato il commento di Merkel, che ha augurato buona fortuna al Primo Ministro italiano; più cauto il giudizio di Schäuble, che, incontratosi col suo equivalente italiano Pier Carlo Padoan, ha apprezzato la volontà del Governo italiano di accelerare sulle riforme, purché ciò non causi ulteriori rinvii al consolidamento delle finanze statali.