«Se la recente crisi finanziaria e la recessione ci hanno sorpreso, ancora di più lo ha fatto il comportamento delle economie industrializzate del mondo e dei mercati finanziari durante la ripresa», parola di Lawrence H. Summers, Presidente emerito alla Harvard University e Direttore del Consiglio nazionale dell’Economia per il Presidente Barack Obama.
Le previsioni hanno fatto cilecca e il recupero insolitamente veloce intravisto dagli analisti dopo la recessione non c’è stato. Produzione e occupazione non sono tornati ai livelli auspicati nel giro di poco tempo. Come il recente fallimento del bazooka di Draghi ha dimostrato venerdì scorso è Illusorio cercare d’abbassare costo del debito e valore dell’euro, come il Giappone insegna, aumentano profitti e consumi per un po’, ma gli investimenti, ove necessari, non vengono fatti in casa e quindi dopo poco tutto torna come prima, o peggio di prima.
Anche il Federal Reserve System (la Fed, la Banca Centrale americana), con la sua politica aggressiva, aveva promesso un recupero a breve termine con un PIL americano che avrebbe raggiunto 1,3 miliardi di dollari, e invece non è successo, deludendo, perciò, ogni pronostico.
Nel frattempo, il Governo cinese vuole ridurre l’eccesso di capacità produttiva in 3-5 anni. La Cina stima un taglio totale di 1,8 milioni di posti di lavoro nell’acciaio e del carbone allo scopo di ridurre la capacità produttiva in eccesso strutturale. Lo ha comunicato Yin Weimin, Ministro delle Risorse umane e della Sicurezza sociale, secondo cui la contrazione produttiva avrà alcuni effetti già quest’anno, ma l’obiettivo del Governo è tenere la disoccupazione stabile, attualmente intorno al 4,9-5%.
C’è da dire che nel 2009 quasi nessuno si sarebbe immaginato che i tassi di interesse americani sarebbero rimasti vicini allo zero per sei anni, o che i tassi di interesse in Europa sarebbero stati negativi, o ancora che le banche centrali nel G-7 volessero dichiarare di far crescere i loro bilanci oltre i 5 trilioni di dollari. Gli economisti, in realtà, ci dovevano dire che queste politiche monetarie ci avrebbero portato al disastro economico, che l’inflazione sarebbe diventata un problema serio e che sarebbe stato sorprendente come in Stati Uniti, Europa e Giappone, rimanesse ben sotto il 2%.
Sulla scia della crisi, il rapporto debito-PIL dei governi è notevolmente aumentato: da 41% nel 2008 al 74% negli Stati Uniti, dal 47% al 70% in Europa e dal 95% al 126% in Giappone. Eppure i tassi di interesse a lungo termine sono rimasti molto bassi, annunciando un’inflazione vicino all’1% per un altro decennio, così come tassi di interesse attorno allo zero per lo stesso periodo. In altre parole, in quasi sette anni di ripresa USA, le condizioni ‘normali’ dei mercati son ben lungi a venire.
Sempre secondo Summers la chiave per comprendere questa complicata situazione risiede nel concetto di ‘secular stagnation’ o stagnazione secolare, termine coniato negli anni Trenta dall’economista Alvin Hansen. Le economie del mondo industriale, in questa visualizzazione, soffrono di uno squilibrio derivante da una crescente propensione al risparmio e una decrescente propensione ad investire. Il risultato è che l’eccessivo risparmio agisce come un freno sulla domanda, riducendo la crescita e l’inflazione, e lo squilibrio tra risparmio e investimenti abbassa tassi di interesse reali. Le crescite significativa, come quella degli Stati Uniti tra il 2003 e il 2007, implicano pericolosi livelli di indebitamento, che si traduce appunto in un eccesso di risparmio con insostenibili livelli di investimento (che in quel caso determinò la bolla immobiliare).