Maldive, una repubblica di 1.200 isole e poco più di 344mila abitanti, nell’oceano Indiano, a sud-ovest dell’India, luogo di vacanze per gli occidentali, un Paese considerato stabile e sicuro. Questo paradiso dei vacanzieri, ha il più alto numero pro capite a livello globale di combattenti stranieri che hanno viaggiato per imbracciare le armi e combattere in Siria. Il Governo si trova ora a dover affrontare l’emergenza rappresentata dalla radicalizzazione islamica, problema esacerbato da fattori sociali locali. Per la verità, c’è una storia di combattenti militanti stranieri delle Maldive che risalgono alla guerra in Afghanistan. Ma la crisi attuale ha radici più recenti, a meno di venti anni fa, per quanto i prodromi risalgano a molti anni prima.
Il Paese è una Repubblica islamica, il governo delle Maldive richiede che ogni cittadino appartenga alla religione islamica di Stato e aderisca alla legge della Sharia.
In seguito allo tsunami in Sri Lanka del 2004, spiega Global Risk Insight, varie organizzazioni non governative salafite saudite sono arrivate nelle isole con il pretesto di aiutare nella ricostruzione. «Invece, i membri di queste organizzazioni hanno gradualmente fatto il lavaggio del cervello ai giovani uomini maldiviani che vivevano al di sotto della soglia di povertà facendogli credere che lo tsunami fosse una punizione per non aver seguito i veri insegnamenti dell’Islam. Nei successivi 15 anni, l’ideologia islamista radicale si è infiltrata nel tessuto sociale delle isole».
I prodromi sono attribuiti ad un gruppo locale, noto come ‘Dot‘, con radici ideologiche e di formazione in Pakistan e gruppi jihadisti transnazionali, nonché radici ideologiche in una figura religiosa salafita locale, che risalgono alla fine degli anni ’80 e ’90.
Questo piccolo gruppo di persone, per lo più giovani uomini, ha trovato maggiore spazio per diffondere la propria ideologia sulla scia della devastazione causata dallo tsunami del 2004 e negli sconvolgimenti dovuti alle trasformazioni politiche e alle profonde frammentazioni nel più ampio panorama religioso dal 2003, spiega ‘The Diplomat‘, ricostruendo il prima-tsunami.
Gli sconvolgimenti politici e religiosi hanno causato crisi di identità alle Maldive, una Nazione che da tempo ha affermato un’identità nazionale esclusiva basata sull’appartenenza all’Islam. Ma anche sconvolgimenti sociali. «Questi contesti, a loro volta, hanno fornito terreno fertile non solo per il militante jihadismo salafita, ma anche per l’Islam salafita più ampio per mettere radici, rimpiazzando lentamente la forma più modernista di lunga data dell’Islam. Mentre il Paese ha subito una rapida liberalizzazione politica, ha adottato una nuova Costituzione e ha tenuto le sue prime elezioni democratiche multipartitiche nel 2008, questi attori religiosi hanno sostenuto uno ‘stato islamico‘ invece di una democrazia ‘apostata’.
Nel contesto successivo all’11 settembre, gli estremisti violenti hanno ulteriormente organizzato le loro attività nel Paese istituendo piccole cellule dopo aver incontrato figure di spicco di al-Qaeda nel 2007». Oltre al reclutamento nelle isole, hanno iniziato a utilizzare piattaforme Internet.
Dal 2012, hanno iniziato a ‘islamizzare‘ un nuovo gruppo: le bande di criminali locali. «Dopo che l’ISIS ha dichiarato il Califfato, nel 2014, Dot si è diviso. Un gruppo ha mantenuto la propria fedeltà ad al-Qaeda e ai gruppi correlati in Siria, e l’altro ha seguito l’ISIS. Le loro attività di reclutamento sono diminuite dopo le battute d’arresto in Siria, la più grande eredità del gruppo Dot è stata la creazione di una vasta quantità di letteratura salafita-jihadista, interi libri di importanti figure jihadiste transnazionali, infografiche, poesie, canzoni e video, nella lingua locale. Di conseguenza, c’è stata una ‘individualizzazione‘della causa dell’estremismo violento. Individui e piccole cellule, collegati in rete dai social media, con un eccesso di ideologia salafita-jihadista, hanno ora assunto la causa della diffusione dell’estremismo violento utilizzando varie piattaforme come Facebook e Telegram».
Ad aggravare la situazione, il fatto che le ideologie salafite si sono infiltrate anche nelle forze di sicurezza, le quali hanno finito per avere un ruolo nel reclutamento di giovani nell’Isis. E gli uomini maldiviani sono reclute attraenti, spiegano gli osservatori locali, per la loro esperienza nelle bande di strada, per la loro familiarità con i rigidi insegnamenti islamici, e, non ultimo, anche per la loro forza fisica.
Ora l’infiltrazione è consolidata. «Gli sceicchi sono autorizzati dal Ministero degli Affari islamici a predicare nell’arcipelago, liberi da qualsiasi controllo governativo sulla loro attività. Ciò consente di esprimere e comunicare liberamente le opinioni degli estremisti in tutte le Maldive. Senza alcun controllo, gli sceicchi radicali continueranno a predicare le loro opinioni e facilitare la radicalizzazione», sostiene Global Risk Insight. «Il governo deve lavorare per un processo di controllo più approfondito per gli imam e gli sceicchi che praticano sulle isole».
A dare una mano ai predicatori radicali c’è la fragilità socioeconomica di gran parte della popolazione, e il considerevole numero di soggetti che, causa la disoccupazione, sono abituati a vivere di piccola criminalità di strada e a entrare e uscire continuamente dalle prigioni. Trafficanti di droga e altri criminali sono stati reclutati nelle reti dell’ISIS. La narrativa dell’ISIS si offre come fonte di redenzione per i criminali. La loro propensione alla violenza e l’accesso alle reti criminali rende queste reclute risorse convenienti all’interno delle reti estremiste. «L’incentivo finanziario e il senso di scopo forniti dai gruppi terroristici si propongono come un efficace antidoto alle vite difficili che questi giovani conducono».
Secondo i dati ufficiali delle forze dell’ordine , 173 si sono recati in Siria per combattere e 432 hanno tentato di farlo (anche se si stima che il numero reale sia molto più alto). Secondo le forze dell’ordine maldiviane, a dicembre 2019 vi erano circa 1.400 ‘estremisti religiosi’ nell’arcipelago. 1 maldiviano su 2.000 ha combattuto per l’ISIS in Siria.
L’ondata di radicalizzazione rappresenta una minaccia crescente per l’industria del turismodelle Maldive, che rappresenta il 25% della produzione economica del Paese.
Il Governo ha provato a mettere mano al problema a partire dal 2014 con la legge sulla prevenzione del riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo e la legge sulla prevenzione del terrorismo. Questo secondo atto ha portato alla creazione del Centro nazionale antiterrorismo nel 2016, che ha subito più revisioni nel tentativo di rafforzare le leggi antiterrorismo del Paese.
Nell’ottobre 2019, il Presidente Ibrahim Mohamed Solih ha annunciato un piano quinquennale contro il terrorismo. I primi lavori sul piano di risposta al terrorismo nazionale sono iniziati in collaborazione con il Governo del Regno Unito nel dicembre 2020, «segnalando un inizio promettente dell’iniziativa», secondo gli analisti di Global Risk Insight.
Il Governo ha coinvolto molti organismi internazionali, come il Servizio europeo per l’azione esterna e il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite. L’ UE, nel 2019, ha fornito 2.500.000 euro al Paese per combattere il terrorismo, rafforzare la resilienza della comunità a queste forze che finora hanno creato un ambiente favorevole all’estremismo islamista nelle isole, rafforzare la capacità istituzionale del Paese di contrastare e rispondere al terrorismo. Il Paese ha inoltre la collaborazione dell’INTERPOL e dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine. Questo progetto proseguirà fino a giugno 2021. Un altro alleato nella lotta del Paese contro il terrorismo jihadista è il Giappone, che nel 2019 ha concesso al governo 4.600.000 di dollari per aiutare a contrastare l’estremismo violento e il terrorismo.
La crescente presenza di terroristi nel Paese è determinata dall’ampio spostamento strategico dell’ISIS verso il continente asiatico a seguito della sconfitta in Siria e Iraq nel 2019.
Una presenza che si è fatta subito sentire. Nel febbraio 2020, tre stranieri sono stati accoltellati e un gruppo radicale maldiviano affiliato all’ISIS si è assunto la responsabilità dell’attacco con un videomessaggio che minaccia i turisti stranieri. Due mesi dopo, l’ISIS ha rivendicato la responsabilità di un incendio doloso su una delle isole.
Le crisi e il caos della pandemia da Covid-19 creeranno ulteriore spazio per gli estremisti per organizzarsi e diffondere la loro agenda, prevedono gli osservatori locali.
Secondo alcuni osservatori, proprio il turismo sarebbe un fattore chiave per la radicalizzazione islamica. «Il contrasto sull’isola tra la cultura liberale dei turisti, che sono spesso poco vestiti e consumano alcol, con la popolazione locale, che di solito aderisce all’Islam conservatore, crea una coesistenza tesa. Ciò ha suscitato nella popolazione locale il desiderio di eliminare l’influenza della cultura occidentale. Il terrorismo è percepito come un modo efficace per dissuadere gli occidentali dal visitare l’isola e ridurre così le tensioni culturali», sostiene Global Risk Insight.
Se non vengono intraprese azioni considerevoli per affrontare le condizioni che contribuiscono alla radicalizzazione dei cittadini maldiviani, avverte Global Risk Insight, «esiste un reale potenziale per un peggioramento della violenza terroristica quando i turisti torneranno sull’isola dopo la pandemia. Il pericoloso cocktail di instabilità politica, inclusa un’economia devastata dall’impatto di COVID-19 sul turismo, i cambiamenti climatici, gli alti livelli di disoccupazione e la violenza delle bande, ha il potenziale per causare un aumento della violenza terroristica in futuro. Il governo deve ora affrontare questa minaccia estremista trascurata nonostante le potenziali sfide poste dallo status dell’Islam e dalla Sharia nel Paese e nel governo. La resistenza politica è inevitabile, ma per fare progressi il governo deve iniziare a sradicare le forze religiose radicate che stanno fornendo lo sfondo sistemico alla crescente minaccia terroristica alle Maldive».
Non è chiaro in che misura le autorità locali abbiano la capacità o l’esperienza per gestire le reti violente in patria o quelle che ancora potrebbero tornare dalla Siria, all’Iraq o dall’Afghanistan, affermano gli analisti di S. Rajaratnam School of International Studies (RSIS).
Ad esempio, ci sono collegamenti e comunicazioni tra coloro che sono all’estero e i maldiviani a casa tramite piattaforme crittografate. Secondo RSIS, il Governo si è dimostrato poco efficiente nel recupero dei rimpatriati radicalizzati.«Comprendere la connettività, i flussi verso casa e come gestire efficacemente tali individui sarà un compito cruciale per le autorità». Il Governo ha agito contro i predicatori estremisti e innalzato i livelli di minaccia in tutta la Nazione, impegnandosi anche nella contro-messaggistica religiosa. «Tuttavia, nonostante gli arresti, non sono stati in grado di perseguire i rimpatriati o di affrontare cause profonde come la corruzione e la mancanza di occupazione per i giovani».
Sul fronte dei militanti, sarà importante vedere se i gruppi affiliati all’ISIS o ad Al Qaeda inizieranno a innalzare il profilo delle Maldive come potenziale obiettivo nell’Asia meridionale. Dato che l’ISIS continua a subire pressioni sul campo di battaglia, un grosso attacco contro un bersaglio debole come le Maldive, ispirato o diretto dal gruppo, fornirebbe un utile impulso ideologico».