È dalla fine della più grande tragedia umana, quella della seconda guerra mondiale, che la nostra cultura occidentale ha iniziato a disegnare nuove programmazioni di vita sociale nella speranza di uscire in fretta da pensieri di morte andare verso quelli di vita, di superare un’idea nazi-fascista osannata da molti e proiettarsi verso Costituzioni più improntate alla libertà per passare dalla visione della distruzione al desiderio della ricostruzione, dall’ampio analfabetismo alla strada della scrittura-lettura per i più,dall’allora modesta forma di economia rurale all’aperturaeconomico-industriale delle metropoli, dall’insegnamento per pochi alla scuola di massa, etc.
Dalle macerie delle tante nazioni d’Europa non potevamo fare altro che rivolgerci verso un futuro più ricco di benessere, di cultura, di economia, di lavoro e di produzione, in cui la vita non poteva e non doveva fare altro che volgersi al bene, al meglio, al giusto anche perché tutti eravamo usciti dal ben poco inimmaginabile strazio descritto con poetico risentimento da Salvatore Quasimodo nel 1946:
E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
È così che la scuola in questi quasi 80 anni trascorsi si è prodigata pensando che l’evoluzione etica e morale, civica e di legalità si risolvessero con ogni forma d’insegnamento disciplinare mirato a produrre nuove generazioni acculturate, ricche di quella conoscenza che, se non del tutto, avrebbe certamente eliminato i tratti più pertinenti e prioritari dell’ignoranza delle sue genti. Sì, credevamo che fosse da combattere l’ignoranza di un popolo e spettasse alla grande risorsa del sapere riuscire a vincere e produrre un uomo formato su un saper essere ricco di cultura e di nuova umanità.
Facciamo però subito una breve parentesi per chiarire il significato di ‘ignoranza’, che è parola proveniente dal latino ‘ignorantia’, e che a sua volta deriva dal privativo ‘in’ e dal verbo greco ‘gnorizein’ che sta per conoscere. Quindi letteralmente ‘ignoranza’ sta per mancanza di conoscenza, e che dunque è ignorante chi non ha voluto o non ha potuto apprendere determinate conoscenze (umanistiche, artistiche, scientifiche) che si potrebbero e/o si dovrebbero apprendere seguendo un certo modello di cultura.
Ma questa immagine di ignoranza da eliminare, in tutti questi anni, si è basata sulla occultata e non giustificata credenza, che vedeva nella parola ‘insegnare’ (dal latino ‘insĭgnare’, che sta per imprimere segni nell’altrui mente) il solo modo per superare la mancanza di conoscenza. Questo modello formativo-cognitivo ci rimanda subito all’idea di un criterio valutativo portato, poco a poco, a premiare chi sa di più, chi è più abile, chi ha più notorietà, chi ha più peso nel contesto sociale. In termini grezzi e affrettati: Chi sa di più può avere di più.
Addirittura oggi si fa di tutto, famiglia e scuola, per attivare sempre più precocemente l’insegnamento. Si è pure giunti, vergognosamente, inconsciamente e pericolosamente, a mutare il nome di Scuola Materna con quello di Scuola d’Infanzia, dove il termine ‘Infante’ sta per ‘chi non ha ancora l’uso della parola’ (innegazione, fari favella). Con l’attuale nostra Scuola d’Infanzia abbiamo quindi preferito far perdere tutti i tratti educativi pertinenti della relazione materna, per esaltare i bambini come soggetti da ammaestrare per la produzione di parole. E, come se non bastasse, non dimentichiamo nemmeno che le parole di cultura militare ‘Fante’ e ‘Fanteria’ hanno la stessa identica etimologia.
Tutti ben comprendiamo che le parole che non si conoscono si insegnano, e tanto prima si insegnano quanto prima creiamo nei bambini una formazione linguistica che nulla ha a che fare con il loro primario e fortissimo bisogno di crescere. Un crescere non con le modalità dell’imprimere segni nella loro mente con parole da dire, da scrivere e da leggere, ma con un’educazione calda ed emotiva, che sia la base per sviluppare quell’humus fertile per tutte le forme di conoscenza che poi potranno avvenire.
L’amore tipico del clima Materno, l’amore tipico della Scuola Materna, non si insegna con le parole, anzi non si insegna affatto, si vive! Questo perché prima dell’insegnamento esiste un’etica dell’amore e della vita che nulla ha a che fare con le conoscenze disciplinari, con le materie, con i titoli di studio.
È dal sentimento vissuto e non insegnato, è dalla relazione d’attaccamento alla vita che tutti abbiamo il dovere di esercitare che possiamo prendere coscienza di chi siamo noi in questo mondo, della qualità relazionale delle nostre azioni e di quelle altrui.
È dalla perdita di questa nostra coscienza etica e morale, sostituita sempre più dalla precocità e dalla quantità dell’insegnamento trattato come un mero mettere in-forma una mente avulsa da un corpo sensibile e poco emo–azionato che oggi, le nostre insensibili culture del progresso scientifico e tecnologico ci fanno pagare questo pesante prezzo.
Abbiamo preferito dar colpa a un’ignoranza cognitiva, quando il buon senso comune sapeva che tutto dipendeva da quella graduale e sempre più assente perdita di vere relazioni umane, di quelle vere emozioni che rinforzano il carattere, di quei caldi e sinceri contatti fra i volti e i corpi che sviluppano amore e rispetto verso l’altro, di quella attenzione sempre meno rivolta alla bellezza del mondo e alle sue forme di vita, una meraviglia che avrebbe potuto far sbocciare in noi la contemplazione nei confronti di una natura che le società hanno preferito martoriare per i nostri interessi economici e per i nostri consumistici stili di vita.
Le nuove generazioni di bambine e bambini, di ragazze e ragazzi stanno purtroppo vivendo inconsapevolmente, ben più di quanto abbiamo vissuto noi, questa grande crociata nozionistica e digitale, mirata a purificare un’ignoranza che nulla aveva a che fare con l’evoluzione umana etica e morale, civile e democratica.
Il costante e sempre più pressante obbligo all’apprendimento delle discipline scolastiche, tra l’altro molte di queste inutili per un eventuale e prossimo futuro professionale, sta facendo perdere sempre più a tutti i nostri figli il senso di appartenenza verso quei valori e principi smarriti già da anni fra le programmazioni disciplinari fatte ben prima di conoscere la loro giovane grinta intellettiva, la loro vivace carica emo-attiva, i loro vissuti quotidiani positivi e negativi.
La vita che ha senso, la vita utile, non scorre fra le discipline scolastiche, se non è offerta gratuitamente e incondizionatamente dalla famiglia, dalla scuola e da una società ben più umanizzata di quella che dal dopo guerra abbiamo conosciuto, non riusciremo più a trasmettere alle prossime generazioni quella condotta umana che sapeva legare la vita di tutte le generazioni. I nostri figli saranno persone maggiormente smarrite dentro quelle relazioni che hanno solo a che fare con le fredde quantità di conoscenza; spetta a tutti noi, uomini, donne, educatori, politici, religiosi, scienziati, artisti, etc. far vivere quella grande estetica (tra l’altro termine confuso dalla scuola con la bellezza tout-court) che è poi quella forte esaltazione dei sensi che serve a promuovere l’umano, il riconoscimento che la nostra vita è data dal grande rispetto che dobbiamo, anche e soprattutto, a quelle persone che hanno dato la vita per far sì che noi oggi potessimo vivere questo tempo. Come, con questa breve poesia, ha voluto indicarci Giuseppe Ungaretti:
Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce.
Quando la scuola, ben prima delle discipline e dei programmi riuscirà, attraverso una vera e spontanea relazione emotivo-cognitiva, a toccare il cuore e la coscienza etica e morale dei nostri figli e nipoti, saremo tutti orgogliosamente molto più felici perché la vita degli attuali viventi, finalmente, si sarà legata alla vita di chi ha sentito il bisogno di sacrificarla per noi.
Questa è la speranza di tutti gli uomini di buona volontà, anche di quelli che ignorano le materie scolastiche, ma che hanno avuto la fortuna tutta umana di ricevere quel giusto amore che ha maturato in loro il bello dell’esistenza, di tutti, che ha fatto loro com-prendere con mente, corpo e cuore che il saper vivere è ben più importante del solo sapere.