La politica nella East Africa è paragonabile all’apertura del gioco di biliardo, quando la stecca tira il pallino scatenando una serie infinita di traiettorie create dalle palle in movimento. Nessuno può prevedere la posizione dove si fermeranno. I Presidenti Uhuru Kenyatta e Yoweri Kaguta Museveni stanno, da qualche mese, dedicando molto tempo al biliardo. Le dispute sulle riserve ittiche e isole dai confini incerti sul Lago Vittoria, lo smacco di Museveni a Kenyatta nell’ aver abbandonato il progetto di oleodotto Uganda Kenya preferendo passare per la Tanzania, la guerra commerciale per polli e zucchero, la competizione militare in Somalia e storica conflittualità culturale tra i due Paesi… Tutto dimenticato, in nome di interessi superiori e comuni.
Il Presidente del Kenya ha accettato di mediare tra Museveni e il Presidente ruandese Paul Kagame per porre fine alla guerra fredda riavviata che sta compromettendo i liberi scambi tra l’Unione economica EAC.
La scorsa settimana Museveni ha effettuato una visita di Stato a Mombasa, Kenya, dalla durata di due giorni. Una visita fruttuosa soprattutto per l’Uganda. Aumento delle esportazioni di zucchero ugandese in Kenya. Da 36000 t3 a 90.000. Ripresa l’esportazione in Kenya di polli, sospesa da quasi quattro anni. L’Uganda è il primo produttore di polli nella regione. In compenso Kampala toglierà il divieto di importazione di carne dal Kenya, divieto applicato in ritorsione a quello decretato da Nairobi, colpendo l’industria degli allevamenti di pollame ugandese. Il Kenya offre un pezzo di territorio per costruire un porto a Naivasha che sarà gestito dagli ugandesi. L’Uganda sarà autorizzata a utilizzare le facilità petrolifere di Kisumu.
Nella smania di firmare accordi strategici, i due Capi di Stato hanno anche introdotto maggior sostegno al libero scambio commerciale. Una delle misure prese è quella di attuare una drastica riduzione delle pratiche burocratiche che i camionisti e le ditte di trasporto sono soggetti in entrambe le frontiere.
Non poteva essere ignorata la disputa territoriale dell’isola Migingo sul Lago Vittoria. Una piccola isola abitata per lo più da pescatori kenioti ma contesa tra Nairobi e Kampala.
Per un decennio questa disputa territoriale ha rischiato di far scatenare una guerra. A più riprese l’Uganda ha preso l’isola con la forza inviando l’Esercito. Tutt’ora Migingo è occupata dall’Uganda. È stata sola la saggezza del Presidente Kenyatta a non rispondere alle provocazioni ad evitare una escalation militare tra i due strategici Paesi dell’Africa Orientale. Il Presidente Kenyatta ha annunciato che sarà formata una commissione speciale congiunta che avrà il compito di stabilire i confini del Lago Vittoria. Kenyatta ha voluto sottolineare che il Lago Vittoria è un importante risorsa che supporta l’economia locale ma, essendo un lago transfrontaliero, i benefici vanno divisi tra Kenya e Uganda. Parole chiare che indicano quale approccio ha adottato il Governo di Nairobi verso questa delicata disputa territoriale.
I due leader si dichiarano determinati ad accelerare il progetto ferroviario del Corridoio Nord che collegherebbe Kenya con Sud Sudan, Burundi, Rwanda, Uganda. Per far comprendere a Museveni le potenzialità keniote nel progetto, Kenyatta gli ha offerto un viaggio in prima classe sul Standard Guage Railway, il recente tratto ferroviario che collega Mombasa a Nairobi. Un viaggio molto apprezzato da Museveni.
L’amore scoppiato tra i due Capi di Stato entra nelle dinamiche intrinseche della comunità economica dell’Africa Orientale (East African Community – EAC), che ambisce a creare un progetto di integrazione regionale migliore di quello dell’Unione Europea.
La realizzazione di questo progetto si rivela, però, irta di ostacoli.
Fino a qualche decennio fa gli Stati membri della EAC erano abituati a pensare in termini nazionalistici e di espansione militare o economica ai danni dei loro vicini. È naturale che nella fase avanzata della integrazione regionale, i vari Stati membri cerchino di formare alleanze per creare blocchi di potere in grado di influenzare le scelte della EAC a loro favore. In questa logica si evidenzia la non volontà di abbandonare il concetto di Nazione per iniziare a pensare in termini di Federazione Regionale. Come in Europa, i Paesi membri si professano federalisti, ma promuovono politiche basate su interessi nazionalistici, a volte conflittuali.
Rwanda e Uganda sono ai ferri corti per l’antica rivalità sulla rapina delle risorse naturali congolesi. Anche se un conflitto aperto non è immaginabile, la guerra fredda sta compromettendo i liberi scambi commerciali e sta impedendo di risolvere situazioni malsane, come quella in Burundi. Kigali si sta rivolgendo verso la Tanzania, mentre Kampala verso il Kenya.
Si sta profilando all’orizzonte la nascita di due blocchi di potere Rwanda-Tanzania e Uganda-Kenya. Burundi e Sud Sudan nelle condizioni che sono dovranno solo scegliere a quale blocco aderire.
È molto interessante osservare che più ci si avvicina alla fase finale della creazione della East African Community, più si possono osservare varie similitudini tra le dinamiche che regolano l’Unione Europea, in particolare la difficoltà di rappresentanza effettiva del Parlamento federale e le rivalità nazionalistiche, e quelle che regolano EAC. I soli tre fattori che distinguono i due esperimenti di integrazione regionale sono esercito, moneta unica e flussi migratori.
La EAC ha messo l’adozione della moneta unica -l’East Africa Shelling (EAS)- come ultima priorità del processo di integrazione. Estrema importanza è data alla necessità di creare una forza di difesa regionale, integrando i vari eserciti nazionali. La UE ha dato massima priorità alla moneta unica, introducendo l’Euro, prima del dovuto, sostengono ora alcuni osservatori; dell’esercito europeo ormai se ne parla ben poco, e il progetto rischia di entrare nell’universo dei miti e leggende.
La EAC è una regione di migrazioni fin dalla preistoria per la sua posizione geografica. Popolazioni che gli occidentali definiscono ‘nilotiche’ sono immigrate nell’Africa Orientale e nella incorporata Regione dei Grandi Laghi (che a differenza della EAC comprende il Congo), provenienti da Egitto, Tigrai (Etiopia) e Yemen. Popolazioni bantu provenienti dal Sud Africa, Angola e Zimbabwe si sono installate negli stessi territori secoli fa. I flussi migratori non sono stati indolori e pacifici. A farne le spese le etnie autoctone dell’Africa Orientale soprattutto i Batwa (Pigmei) praticamente sterminati dai nilotici e bantu.
Per secoli le rivalità tra i nilotici (pastori nomadi e guerrieri) e bantu (prevalentemente popolazioni sedentarie dedite alla agricoltura) sono state abilmente gestite nel periodo pre-coloniale per essere successivamente esasperate dai regimi coloniali di Belgio, Francia e Gran Bretagna, portando ad una instabilità e a conflitti etnici, nell’era post coloniale, che hanno avuto il loro orribile apogeo nell’Olocausto Africano in Rwanda nel 1994, e sono all’origine degli attuali conflitti all’est del Congo e in Burundi. Anche all’interno dei singoli Stati la rivalità etnica tribale è presente.
L’esempio più eclatante è il Sud Sudan, entrato in guerra civile dopo appena 4 anni dall’indipendenza acquisita dal Sudan, a causa di un conflitto per il potere tra Dinka e Nuer.
Nonostante il Kenya abbia dimostrato grandi abilità per evitare una polarizzazione politica e conseguente guerra civile, la politica, l’economia e la società in generale sono divise e controllate in base all’appartenenza etnica, con l’eterna lotta tra le principali etnie -Kikuyu, Luo e Kalengine (quest’ultima nilotica). Kikuyu e Kalengine si sono sempre alternati al potere e ora gestiscono il Paese assieme, mentre i Luo, secondo gruppo etnico nazionale, sono sempre stati esclusi dal Governo.
Nonostante questa turbolenta convivenza etnica, sia nazionale che regionale, spesso ostacolata da interessi locali e internazionali che ruotano attorno al controllo delle risorse naturali e all’acquisizione di spazio vitale per sfoltire la densità di popolazione (caso del Rwanda che si sta espandendo a livelli di popolazione nei vicini territori del Sud e Nord Kivu), la politica migratoria della East African Community tende ad indirizzarsi su una politica di frontiere aperte, di cui l’Uganda è il Paese pioniere, e di progressiva sostituzione dell’appartenenza etnica o nazionale con l’appartenenza al blocco economico, tramite la libera circolazione delle popolazioni degli Stati membri, e l’introduzione progressiva del passaporto EAC. Queste misure sono collegate con il progetto di cittadinanza unica (passaporto africano), unione politica ed economica, e libertà di movimento all’interno del continente per le popolazioni.
Una politica tesa a trasformare l’Africa in un potente blocco economico e politico che ha intrapreso un percorso nettamente opposto alla politica di chiusura delle frontiere adottata dalla Unione Europea. Una politica troppo speso generatrice di migrazione clandestina, crimini contro l’umanità e del risorgere di ideologie razziali, populiste e fasciste nel Vecchio, stanco continente che ne minano la sua unità.