giovedì, 23 Marzo
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Jorge, Fidel, Barack e Aldo. Moro

La trasparenza imposta da Francesco alla Chiesa Cattolica sta toccando tutti gli ambiti. Rivoltate le pietre ne escono cose anche non bellissime (eufemismo). Ma Jorge Mario Bergoglio non demorde e va avanti per la sua strada.

Adesso il viaggio, in corso, tra Cuba e Stati Uniti può fornire l’occasione per un ulteriore passo. Che concerne l’intero mondo politico, e non solo, italiano. E tutti i cattolici, quelli impegnati in politica e no, che videro in Aldo Moro un punto di riferimento, e nel suo sequestro, prigionia e morte, un evento di non ritorno. Ora il Papa venuto dai confini del mondo ha l’occasione per verificare direttamente tanto non detto, tante cose dietro le quinte, tante voci, e concretezze, che coinvolgevano, su diversi, ma a volte convergenti fronti, Chiesa, regimi comunisti, Stati Uniti e Cia. Incontrando ed interrogando  i diretti protagonisti, o i loro eredi nella funzione. Direttamente con Fidel Castro, che ha una gran voglia di parlare, così come con il Presidente degli Stati Uniti d’America, e Comandante in Capo, Barack Obama.

In particolare, per quanto riguarda il ‘fronte interno’, suggeriamo invece  di ripartire dalle parole di Mario Moretti, leader della Brigate Rosse, ed alla testa del gruppo che sequestrò Moro. «Quando fu che il Presidente della Democrazia Cristiana sentì di avere perduto la vita?», gli chiese Sergio Zavoli intervistandolo per La notte della Repubblica. «Quando ha conosciuto il testo della lettera di Paolo VI».

In quella lettera, infatti, si diceva: «Liberatelo senza condizioni». Da questa frase, a cominciare dalla signora Eleonora Moro, ‘Noretta’, la moglie, sono partite molte illazioni: persino quella che il Papa fosse stato in qualche modo indotto, se non proprio istigato, ad inserirla. Disse all’epoca (e dopo) Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio all’epoca dei fatti: «Mi ha raccontato don Pasquale Macchi, il segretario del Papa, che Paolo VI dettò a lui, che stava alla macchina per scrivere, questa lettera. Senza la presenza di altri. Quindi nessuno aveva suggerito alcunché. L’appello del papa tendeva a questo: che finalmente Moro, già da parecchi giorni prigioniero dei brigatisti, fosse liberato. Penso quindi che volesse dire: «Basta. Non c’è un negoziato da fare, dovete liberarlo perché quella che state perpetrando é un’ingiustizia criminosa». Alla richiesta se ripensandoci ci fosse qualcosa che avrebbe potuto fare e non aveva fatto, aggiunse: «Ci ho pensato molto, dopo, e direi proprio di no! Direi proprio di no! Anche perché in quei giorni, è chiaro, non pensavamo ad altro, e quindi non si scartò nessun tentativo, si fece di tutto, si indagò, si cercò di individuare… avevamo perfino dei rapporti con gente che era in prigione! Poi si è visto che, in fondo, l’organizzazione era meno complessa di quello che in realtà si poteva temere: ed è vero che molti che stavano in prigione non sapevano niente e non erano in condizione di poter prestare la loro opera, pur volendolo. E credo che molti lo avrebbero voluto».

Ecco, se Francesco volesse (vuole), questo è un bel, vasto campo di cui rivoltare pietre. In primo luogo proprie pietre. Sulla strada della ‘Glasnost’ vaticana, tanto necessaria e tanto rigorosamente perseguita.

L’inventore della Glasnost (letteralmente pubblicità, dominio pubblico, per esteso trasparenza), il leader russo e sovietico Mikhail Gorbaciov, non ha fatto una gran bella fine politica. Sono i rischi del mestiere, caro Francesco. Quanto a Moro…

 

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