lunedì, 20 Marzo
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Jobs Act, attacco ai lavoratori

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Il menù della giornata politica prevede la polemica sempre più tesa sul Jobs Act dopo l’intenzione palesata da Renzi di superare lo Statuto dei lavoratori; il rischio scissione nel M5S, anche se si sgonfia il ‘caso Pizzarotti’; le reazioni dopo la nomina della nuova segreteria Pd; l’ennesimo indagato per corruzione di Expo 2015, il commissario delegato Antonio Acerbo; la nuova ‘guerra politica-magistratura’ dichiarata dal premier; le minacce al pg di Palermo Roberto Scarpinato e le novità sul processo alla trattativa Stato-mafia;

In evidenza, il ‘piatto della casa’, ovvero lo stallo sulle nomine di Corte Costituzionale e CSM con tanto di ennesima e furente nota del Quirinale e incontro interlocutorio a Palazzo Chigi tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Per la Consulta restano ancora in campo Donato Bruno e Luciano Violante, quest’ultimo accusato da Grillo di aver stretto un accordo con Berlusconi. M5S e Sel voteranno scheda bianca contro quello che ritengono un «inciucio».

Parte l’attacco ai diritti dei lavoratori (quelli superstiti, di diritti e di lavoratori). Questa mattina il governo ha presentato un emendamento al Jobs Act in discussione in commissione Lavoro al Senato. L’obiettivo è quello di introdurre il contratto a tempo indeterminato «a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio» per i neoassunti. In pratica, la coppia Matteo Renzi-Angelino Alfano punta a cancellare il contratto di lavoro a tempo indeterminato così come lo conosce chi ancora ce l’ha. E il premier lo ha ribadito da Torino, in visita alle sedi de “La Stampa” e dell’azienda L’Orèal.  Niente più certezza del posto fisso dunque, e meno che mai del futuro. Il provvedimento governativo, firmato dal sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, dovrà essere votato prima in commissione e mercoledì prossimo da Palazzo Madama insieme all’intero Jobs Act. Si prefigge di introdurre un «testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro». Ovvero, uno stravolgimento completo degli articoli 4, 13 e, soprattutto, 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Articolo 18 considerato un totem ammuffito degli anni ’70 dal pensiero liberista-riformista dei Maurizio Sacconi e Pietro Ichino, ma che i sindacalisti, rimasti davvero imprigionati nel secolo scorso, Maurizio Landini della Fiom e Stefania Camusso della Cgil (che minaccia lo sciopero generale), considerano comunque, e non del tutto a torto, l’ultimo bastione posto in difesa dei diritti dei lavoratori. Più «pragmatico» si definisce Raffaele Bonanni, segretario Cisl, per il quale l’articolo 18 è solo «un’ossessione». Proprio lo ‘sgozzatore di diritti’ e relatore del testo, Maurizio Sacconi, parcheggiato ora in Ncd dopo un passato da socialista craxiano, esulta perché convinto della «necessità della riforma dello Statuto dei lavoratori e in esso in modo particolare dell’articolo 18». La sua ragione di vita. Sacconi suona già le campane a morto per lo Statuto dei lavoratori, destinato ad essere sostituito da un nuovo «testo unico semplificato sulla disciplina complessiva dei rapporti di lavoro». Proprio come voleva il suo amico Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse nel 2002 a Bologna. Per una volta, dunque, il governo Renzi farà felici i falchi rigoristi di Bruxelles. Un «mercato delle vacche dove chi lavora per più tempo prende di più», questa l’opinione di Walter Rizzetto del M5S.

Proprio nel M5S rientra in parte la fronda di Pizzarotti. Il sindaco di Parma era nuovamente ai ferri corti con Beppe Grillo e i vertici del Movimento. Motivo del contendere: l’intenzione di Pizzarotti di candidarsi come consigliere provinciale in una lista unitaria con Pd, centrodestra e liste civiche. Da ricordare che non sono state abolite le Province, ma solo le elezioni. I rappresentanti provinciali adesso i politici se li votano da soli. Grillo sul punto era stato chiaro: Province ente inutile, nessuna candidatura a 5Stelle. Ma l’ambizioso primo cittadino della città ducale fino a poche ore fa tirava diritto in nome del presunto «interesse dei cittadini». Nel pomeriggio, però, ‘il Pizza’ ha fatto dietrofront e pubblicato un lungo post su facebook per chiarire che «non mi candido alle provinciali». Grillini scossi anche dal caso Andrea Defranceschi, il capogruppo uscente in Regione Emilia, indagato per le spese pazze. Grillo lo vorrebbe cacciare, ma la pattuglia di parlamentari emiliani, tra cui Giulia Sarti, è pronta a salire sulle barricate. M5S lontano anni luce dalla parola d’ordine ‘tutti a casa’. Popolo grillino deluso dal moderatismo dei suoi rappresentanti. E i sondaggi in calo lo dimostrano.

Tornando al Partito Democratico, il giorno dopo la nomina dei 15 membri della nuova ‘segreteria unitaria’, le reazioni interne al partito sono state di unanime giubilo, da Marina Sereni a Valeria Fedeli. Unica voce fuori dal coro quella del solito ‘guastafeste’ Pippo Civati. «Io sono del Pd, capisco che per qualcuno sia strano», ha detto l’irriducibile leader della fantomatica sinistra interna Democratica, «nessuno della mia area è entrato nella segreteria perché non condivido abbastanza la linea politica di Renzi, ma resto per fare opposizione interna».

Capitolo Giustizia e Misteri Italiani. Le dichiarazioni di Renzi ieri alla Camera contro gli «avvisi di garanzia citofonati sui giornali» (con riferimento implicito ai casi Rimborsopoli e tangenti Eni), che riaprono di fatto la ‘guerra tra politica e magistratura’, non erano un caso isolato. Sempre ieri i pm di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-mafia hanno depositato nuove carte che collegherebbero uno degli imputati, l’ex comandante del ROS dei Carabinieri, Mario Mori, ai nomi di Licio Gelli, Mino Pecorelli e alla sempreverde Loggia massonica P2. Oggi, non a caso secondo qualcuno, compare sulla stampa la notizia di una busta anonima lasciata pochi giorni fa sul tavolo del procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, uno dei più convinti persecutori degli ambigui rapporti tra Cosa Nostra e pezzi deviati dello Stato. Una missiva piena di minacce di morte velate, ma scritta con un tono e dei riferimenti che solo un ‘corvo’ interno al Palazzo di giustizia di Palermo poteva vergare. 

 

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