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Italia-Ue, il fardello delle infrazioni

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Qualche pazienza ha un limite di legge. Per i fornitori delle pubbliche amministrazioni italiane è 30 giorni, o in casi eccezionali 60. Peccato che in media le p.a. paghino dopo 170; sono le più lente dell’Unione europea, dove la media è 61. In Italia la direttiva dell’Ue contro i ritardi di pagamento è stata recepita sulla carta, con un decreto legislativo del novembre 2012, ma non nella pratica, e le attese sono costate alle aziende 2,1 miliardi di euro di oneri finanziari in più perché le hanno costrette a chiedere prestiti in banca. Il 3 febbraio il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, ha preso atto della violazione rilevata nei rapporti degli ‘advisor’ di Bruxelles sull’argomento, Confartigianato e Associazione nazionale costruttori edili (Ance), e di Assobiomedica e ha preso provvedimenti: è partita una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. L’ennesima.

I procedimenti aperti a carico del nostro Paese risultano 105 nell’ultimo aggiornamento sulla questione pubblicato il 23 gennaio dal Dipartimento delle Politiche europee (attivo presso la Presidenza del Consiglio), di cui 81 per violazione del diritto dell’Unione e 24 per mancato recepimento di direttive; i settori più interessati sono ambiente (22), fiscalità e dogane (14), e trasporti (12). Da alcuni anni lo stato delle procedure d’infrazione e più in generale del contenzioso riguardante l’Italia è particolarmente gravoso, anche se di recente la situazione è sensibilmente migliorata, osserva il Dipartimento sul suo sito web. Di “sensibile riduzione” parla anche, sul suo sito, la Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Ue, che ha un ruolo chiave nei contatti fra la Commissione e le amministrazioni nostrane nella gestione delle procedure d’infrazione. Comunque, l’ultimo rapporto annuale sul controllo dell’applicazione del Diritto comunitario redatto dalla Commissione europea mostra che al 31 dicembre 2012 il nostro Paese era primo per numero di procedure d’infrazione aperte: 99, delle quali 17 per ritardo di recepimento.

Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, è consapevole di questa macchia e il 29 gennaio, durante una visita ufficiale a Bruxelles, ha auspicato che le infrazioni siano “risolte o in via di risoluzione” prima dell’inizio del semestre di presidenza italiana dell’Unione, il primo luglio di quest’anno. Secondo Letta servirà anche questo, oltre ai “conti in ordine” e alla “stabilità”, per dimostrare di saper guidare bene l’Ue. Ma non è solo una questione di prestigio nazionale: rischiamo multe milionarie. La sanzione pecuniaria inflitta dalla Corte di giustizia dell’Ue, però, è l’estrema ratio. Lo Stato membro ha tempo per mettersi in regola o dimostrare alla Commissione di non aver commesso violazioni, anche prima dell’apertura formale della procedura d’infrazione (grazie al sistema Eu Pilot).

A proposito del procedimento per i ritardi delle p.a. nei pagamenti, Tajani ha ricordato di aver aspettato un anno e un mese «ma la situazione anziché migliorare è addirittura peggiorata. In nessun altro paese i rapporti degli advisor sono stati così negativi»; tuttavia, «se l’Italia è in grado di dimostrare entro cinque settimane la non violazione della direttiva, non ho problemi a chiudere la procedura». Se non sarà in grado si procederà con la ‘messa in mora’. La Corte, però, sarà ancora lontana. La procedura d’infrazione infatti ha due fasi, ‘pre-contenziosa’ e ‘contenziosa’, e il giudice europeo entra in azione solo nella seconda e se la prima si conclude negativamente.

Le decisioni relative all’apertura, all’aggravamento o alla chiusura di una procedura d’infrazione sono adottate dal Collegio dei Commissari europei, in sessioni ad hoc con cadenza mensile. La funzione di controllo è conferita alla Commissione europea dal Trattato sull’Unione europea: l’articolo 17 stabilisce che la Commissione, fra l’altro, «vigila sull’applicazione del diritto dell’Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea». La Commissione può agire su denuncia di privati (cittadini, imprese, e organizzazioni non governative e di altro tipo), sulla base di un’interrogazione parlamentare o di propria iniziativa. Nel summenzionato rapporto annuale, la Commissione riporta che nel 2012 l’Italia è stata al primo posto fra gli Stati membri per numero di denunce da privati, 438, seguita dalla Spagna (306) e dalla Francia (242), e al terzo per numero di procedimenti d’ufficio, 107 (su un totale Ue di 791), dietro a Francia (112) e Spagna (110). L’Italia risulta prima anche per i casi Eu Pilot, con 135 (su un totale di 1.326), davanti a Spagna (107) e Grecia (82), e per numero di ricorsi ai procedimenti d’infrazione, 29, prima di Francia (28) e Spagna (26).

Nella fase ‘pre-contenziosa’ (fondata sull’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) la Commissione europea tenta d’indurre lo Stato membro a mettersi in regola: emette una lettera di ‘messa in mora’ (l’apertura formale della procedura) e un parere motivato in cui identifica la violazione contestata. Questa può essere un comportamento attivo od omissivo, ad esempio la mancata attuazione di una norma europea, oppure una disposizione o una pratica amministrativa nazionali con essa incompatibili, e ne risponde sempre lo Stato, che sia commessa da un organo costituzionale, una giurisdizione, un ente territoriale o un soggetto di diritto privato sotto il controllo statale. Lo Stato membro ha due mesi per presentare le proprie osservazioni; se queste non sono soddisfacenti, o non arrivano affatto, la Commissione emette un altro parere motivato con cui constata la sussistenza della violazione e invita lo Stato a mettersi in regola.

Nel caso l’inadempimento permanga, la Commissione può adire la Corte di giustizia dell’Ue: inizia così la seconda fase, quella ‘contenziosa’ (fondata sull’articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), e la multa si avvicina. Se la Corte accerta la sussistenza della violazione ordina allo Stato membro di porvi rimedio, ad esempio con modifica, abrogazione o introduzione di una disposizione normativa, o il recepimento di una direttiva, o il mutamento di una prassi amministrativa. Se anche la sentenza resta ineseguita, però, la Commissione può adire di nuovo il giudice europeo chiedendo l’applicazione della sanzione pecuniaria: una somma forfetaria e se applicabile una penalità di mora, adeguate alla gravità e alla persistenza dell’inadempimento. Ed entrambe possono essere inflitte cumulativamente se la violazione è particolarmente grave e persistente. In un caso, inoltre, la Commissione può chiedere d’infliggere la sanzione pecuniaria già al primo deferimento al giudice europeo: se la violazione è la mancata comunicazione alla Commissione stessa, da parte dello Stato membro, delle misure adottate in attuazione di una direttiva.

Le cifre indicate dalla Commissione per l’Italia ammontano a un minimo di 8.854.000 euro per la somma forfetaria -che si paga anche se si è posto rimedio nel corso del dibattimento in Corte- e variano da 10.880 a 652.800 euro al giorno per la penalità di mora, applicata se l’infrazione persiste dopo la sentenza di condanna (è calcolata a partire dalla data della sentenza). La stragrande maggioranza delle procedure d’infrazione aperte nei confronti del nostro Paese è lontana dalla Corte, risulta dall’ultimo aggiornamento del Dipartimento delle Politiche europee: 96 su 105 sono ancora nella prima fase. Tuttavia, semestre di presidenza europea o no, è meglio darsi da fare.

 

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