Dalla fine dell’ ‘emergenza Nordafrica’ ai flussi ‘misti’ e alla progressiva stretta sugli ingressi per lavoro stagionale; dagli hotspot creati in Italia per volere dell’UE allo scopo di rafforzare i controlli alla ‘frontiera Sud’ europea, in concomitanza con le politiche di ricollocazione avviate nel 2015, al Codice di condotta per le ONG, fino alle missioni in diversi Paesi africani: la politica migratoria italiana si muove lungo i confini, non solo geografici, esistenti tra istanze securitarie e accoglienza, prudenza europea, ‘campagne’ di arresto dei flussi e rinnovo di misure straordinarie che traducono gli effetti delle istanze (unionali e, in varia misura, nazionali) all’interno di un sistema comune di asilo più che mai dipendente dal paradosso Dublino/Schengen.
Alla Libia, tra i partner strategici per il controllo sul transito di migranti si è aggiunto il Niger, un Paese fortemente marcato dall’influenza della ex-madrepatria (la Francia, potenza nucleare mondiale, ha ingenti interessi sulle coltivazioni di uranio, soprattutto nell’area di Arlit), teatro operativo delle nuove rotte ‘carovaniere’ sottoposte alle logiche criminali di gruppi narco-jihadisti. Non dimenticheremo che l’attuale Presidente nigerino, Mahamadou Issoufou – recentemente appellatosi alla Corte Penale Internazionale per un’inchiesta sulle pratiche di riduzione in schiavitù in Libia – , nell’ottobre 2013 riceveva un ampio consenso internazionale per la liberazione di quattro dipendenti francesi del Gruppo AREVA, sequestrati da AQMI (‘Al Qaida nel Maghreb islamico). La mediazione è stata possibile anche grazie a Mohamed Akotey, già negoziatore nel 2010 in un caso analogo che aveva coinvolto 7 ostaggi. Ex-capo della resistenza armata tuareg, poi Ministro dell’Ambiente sotto Tandja (2007) e direttore di una filiale di AREVA, Akotey, si è trovato in diretto contatto con l’emiro Abou Zeid, responsabile di diversi sequestri ed esecuzioni sommarie, deceduto all’inizio del 2013. Oggi Akotey, grazie alle sue virtù diplomatiche e ai legami di parentela con i gruppi tuareg, è tra i più stretti collaboratori di Issoufou. Peraltro, il Presidente, nel suo ristretto entourage politico conta anche personaggi variamente legati ad Al Qaeda.
Negli ultimi 4 anni, la media delle visite governative italiane in Africa (3 per Renzi e una per Gentiloni) è di una all’anno, oltre la missione libica del Ministro dell’Interno Marco Minniti. I temi fondamentali in agenda sono stati il commercio (per Matteo Renzi, l’Africa «è la nostra più grande opportunità»), la lotta al terrorismo e – nelle ultime missioni soprattutto – il contrasto ai trafficanti, oltre alle iniziative di investimento volte ad aumentare il benessere negli Stati africani, nel diffuso auspicio di frenare la spinta a cercarlo altrove, percorrendo rotte illegali.
Intanto, dopo avere inaugurato l’Ambasciata italiana a Niamey, il Ministro degli Esteri Angelino Alfano ha affermato che «Il Niger è oramai divenuto un alleato strategico nel quadro della nostra politica estera in Africa». Inoltre, quale fattore positivo dei rimpatri volontari assistiti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, «Nel 2017», fa notare Alfano, «l’Italia ha destinato al Niger il 40% delle risorse a valere sul Fondo Africa, contribuendo ad affrontare le cause profonde del fenomeno migratorio».
Nondimeno, le dinamiche profonde delle recenti missioni italiane in Africa richiedono un approfondimento retrospettivo. Lasciamo, allora, la parola a Maurizio Ambrosini, Ordinario di Sociologia delle migrazioni all’Università di Milano e Senior Advisor dell’Istituto per gli Studi di politica internazionale (ISPI).
Professor Ambrosini, è possibile tratteggiare il nostro attuale ruolo di attore in Africa occidentale, tra politica migratoria e nuovi interessi strategici nazionali?
Penso che il nostro fondamentale interesse, nelle recenti politiche africane, sia quello di fermare l’arrivo di richiedenti asilo. Lo scopo di fermare i trafficanti è una retorica: in realtà, si fermano le imbarcazioni. E sulle imbarcazioni non ci sono i trafficanti, ma i richiedenti asilo. Anche gli arresti riguardano spesso minorenni, giovanissimi, o persone della stessa nazionalità dei trasportati. È un immaginario molto naïf quello che fa pensare che un trafficante si metta alla guida della barca: le imbarcazioni sono fatte guidare da qualcun altro. Inoltre in Libia, per quel che si sa, abbiamo stretto accordi con gruppi e forze locali che sono, se non gli organizzatori, i facilitatori o addirittura i complici dei trafficanti. La cosa che, inoltre, mi colpisce è che questi trafficanti, nel momento in cui si sono messi – con i medesimi metodi – a fermare i transiti, sono diventati alleati, se non proprio presentabili, comunque utili e da rispettare, anzi: da finanziare. Quindi, la retorica della lotta ai trafficanti nasconde il vero obiettivo, che è il contrasto dei flussi di persone. I richiedenti, come ricordo sempre, non costituiscono un esodo biblico: sono numeri modesti. In Italia, a fine 2016, tra rifugiati e richiedenti asilo, accoglievamo 250.000 persone, vale a dire il 5% del totale degli immigrati che vivono regolarmente in Italia, ossia 5 milioni di persone. La prova che non si tratti di un’invasione è confermata proprio dal fatto che è bastato pochissimo – qualche missione e qualche accordo tra Governo e forze locali libiche – per ridurre drasticamente i passaggi. Se si fosse trattato di un’invasione, sarebbero state azioni prive di efficacia.
Sul Niger, probabilmente, gioca anche un’idea di accordo di mutuo sostegno con la Francia, rendendo più europea e spalleggiando la missione francese in quelle che sono le sue ex-colonie. Qui la Francia ha interessi di vario tipo, soprattutto minerari e, comunque, politici di controllo del territorio. Per tali ragioni, si dimostra una presenza e un sostegno al fragile governo locale. Da questo punto di vista, siamo partner di minoranza – beninteso – degli interessi francesi.