Il 9 aprile, in Israele, si svolgeranno le elezioni per rinnovare il Knesset, il Parlamento monocamerale israeliano, e quanto accadrà nelle prossime settimane sembra essere decisivo sia per il Primo Ministro, Benjamin Netanyahu – capo del partito nazionalista Likud e in corsa per il quarto mandato consecutivo, quinto in totale – sia per i suoi avversari politici che stanno provando a riorganizzarsi per cercare di sfruttare tutte le argomentazioni possibili per minare il consenso di cui sembra ancora godere, nonostante le difficoltà, l’attuale premier.
Gli ultimi mesi di Netanyahu non sono stati affatto tranquilli. Il recente conflitto tra Israele e Hamas, infatti, ha lasciato pesanti strascichi all’interno della coalizione di Governo, con il Ministro della Difesa – ormai ex – Avigdor Lieberman, che ha rassegnato le dimissioni come atto di protesta contro l’ennesima tregua raggiunta dalle parti in perenne tensione. Con Lieberman, leader del partito di destra Israel Beitenu, hanno detto addio al Governo altri cinque deputati: la maggioranza si è ridotta drasticamente passando così da 66 a 61 seggi sui 120 disponibili del Knesset. Inoltre, sempre per lo stesso motivo, Netanyahu ha dovuto resistere alle minacce di dimissioni del Ministro dell’Economia, nonché capo del partito di estrema destra The Jewish Home, Naftali Bennett, poi rientrate.
Come se non bastasse, Netanyhau si trova ad affrontare tre inchieste per corruzione. La più scottante riguarda il cosiddetto ‘caso 4000’, il quale vede il leader israeliano indagato per aver fatto favori a Shaul Elovitch, magnate della compagnia di telecomunicazioni Bezeq e proprietario del sito di informazione ‘Walla’. Attraverso emendamenti ad hoc sulle telecomunicazioni, infatti, Netanyahu si sarebbe garantito una copertura ‘positiva’ sulle agenzie di Elovitch. Sempre per avvantaggiare mediaticamente la sua figura, il Primo Ministro avrebbe favorito il gruppo mediatico Yedioth Ahronoth, attuando azioni volte a danneggiare il quotidiano free press Israel Hayom: si tratta del ‘caso 2000’. In un’altra inchiesta (‘caso 1000’), che vede implicata anche la sua famiglia, viene accusato per aver ricevuto dei regali di lusso – circa 230 mila euro in casse di champagne e sigari – da parte di uomini d’affari in cambio di favori per le sue manovre politiche e finanziarie.
Pressato dalla Polizia, che all’inizio del dicembre scorso ha annunciato di aver raccomandato l’incriminazione per lui e sua moglie Sarah, Netanyahu ha dichiarato, pochi giorni fa, di voler un confronto in diretta televisiva con i suoi accusatori.
Una mossa non di poco conto dato che in un precedente annuncio, verso la fine di dicembre, Netanyahu aveva dichiarato che le elezioni, originariamente previste per novembre 2019, si sarebbero svolte ad aprile. La motivazione ufficiale è la differenza di vedute all’interno della risicata maggioranza del Knesset (61 seggi su 120) sulla nuova legge sulla leva e l’esenzione per gli ebrei ortodossi dallo svolgere il servizio militare (che in Israele è obbligatorio per tutti, uomini e donne). Ma al di là delle motivazioni di facciata, facendo così Netanyahu eviterebbe il giudizio finale del Procuratore Generale, Avichai Mandelbli, sulle accuse di corruzione.
La situazione politica israeliana, dunque, sembra molto complessa e per capire meglio come si evolverà e quali sono le sfide che dovrà affrontare Netanyhau nei prossimi mesi, abbiamo contattato Tal Schneider, blogger israeliana e corrispondente del ‘Globes’, e Rob Geist Pinfold, ricercatore associato Neubauer presso il centro studi israeliano INSS (Institute for National Security Studies).
“L’importanza delle accuse di corruzione in bilico su Netanyahu non può essere sopravvalutata”, dice Pinfold, che continua, “il premier ha definito le elezioni in anticipo come una scommessa calcolata. Spera di essere ripagato con un mandato democratico, prima che il Procuratore Generale israeliano decida se accusarlo, rafforzando così la sua mano. Sono queste accuse, piuttosto che la situazione della sicurezza o l’opposizione israeliana, che rappresentano la più grande minaccia per il Primo Ministro”. “Per le prossime elezioni Netanyahu non sembra perdere consenso”, afferma la Schneider, che spiega, “il processo legale non è ancora giunto al termine e molte persone sono convinte che, senza condanna, non sei obbligato a fare un passo indietro. Alla gente piace il modo di fare di Netanyahu, perciò, al momento, non c’è motivo di dire che queste accuse gli faranno perdere consensi. Almeno questo è quello che possiamo capire attraverso l’opinione pubblica”.
Netanyahu può sicuramente rivendicare dalla sua parte gli ottimi risultati raggiunti in ambito diplomatico e in politica estera. “Sul fronte diplomatico, io penso che abbia reso stabile la posizione di Israele nel mondo”, spiega la Schneider, che poi prosegue nell’analisi, “Netanyahu ha un’ottima relazione con Washington. Anche con gli Stati europei, sebbene qualche volta lo abbiano criticato, il rapporto è buono e non hanno fatto mancare il loro sostengo nelle situazioni delicate. Ma le relazioni sono buone anche con Brasile, Giappone e India. Nei rapporti diplomatici e negli affari esteri, il suo mandato è stato eccellente”. L’ultimo mandato di Netanyahu, però, non è solo costellato da successi diplomatici, ma avvolto da ombre, specie nella progressione del rapporto arabo-israeliano. “Dall’altra parte”, continua la giornalista, “ha fallito non dando una visione chiara d’Israele sia all’interno delle problematiche regionali, sia come Stato giusto e democratico. Non ha affrontato i problemi della separazione della Palestina e della sua statualità. In questo campo Netanyahu si è mosso per mantenere lo status quo, proseguendo la linea conservatrice, ma non tenendo conto delle generazioni future. In questo senso non ha cambiato niente”.
Ma in che modo il conflitto arabo-palestinese può influenzare il destino di Netanyahu e le prossime elezioni? “L’aumento di violenza tra Israele e palestinesi ha influenzato molte elezioni israeliane”, dice Pinfold, che prosegue, “ma i risultati di ogni violenza o di un’operazione militare corresponsabile sono sempre imprevedibili”. “Il conflitto arabo-israeliano è un tema difficile, che non è stato ancora menzionato da nessuno”, spiega, invece, la Schneider, la quale crede “che queste elezioni, dopo 10 anni di Netanyahu, non si baseranno sui programmi elettorali, ma esclusivamente sulla personalità dei candidati”.
Inevitabile, dunque, trattare delle altre relazioni e delle sfide regionali che aspettano Israele nei prossimi mesi. Gli Stati Uniti hanno annunciato il loro ritiro dalla Siria: questo fatto sicuramente aumenterà le responsabilità di Israele all’interno delle vicende medio-orientali – il quale ha goduto in questo senso dell’ottimo rapporto con la Casa Bianca – che dovrà vedersela con Turchia, Russia e, soprattutto, Iran. Lo stesso Netanyahu ha dichiarato che Israele adotterà «azioni energiche contro i tentativi dell’Iran di stabilirsi in Siria». “Israele continuerà a concentrarsi sullo stesso obiettivo di sempre: l’autoconservazione”, ammette il ricercatore INSS, che prosegue, “il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria ha scioccato i responsabili delle politiche israeliane, che speravano che gli USA sarebbero rimasti per impedire l’espansione iraniana all’interno del Paese. Israele potrebbe continuare a cercare di lavorare sempre di più con la Russia, che si è posizionata come mediatore tra gli iraniani, il regime di Assad e, appunto, Israele”.
Secondo le indiscrezioni degli ultimi giorni gli Stati Uniti avrebbero avviato negoziati con l’Iran sulla questione del nucleare. Un tema questo che potrebbe influire sulla campagna elettorale in Israele. “La questione iraniana sta influenzando la campagna elettorale israeliana poiché tutti i principali partiti sono generalmente d’accordo”, spiega Pinfold, che continua, “tutti i partiti sionisti sono scettici o ostili nei confronti dell’accordo JCPOA e preoccupati dell’invasione iraniana in Siria. Israele sarà particolarmente preoccupato per i negoziati tra Iran e Stati Uniti, a causa dell’imprevedibilità dell’amministrazione Trump, come dimostrato dalla decisione di ritirare le truppe americane dalla Siria”.
Non solo Medio Oriente, anche il ruolo della Cina all’interno dei confini israeliani rientra nelle sfide che il rinnovato Knesset ed il nuovo Governo dovranno affrontare nel prossimo futuro. Nel recente vertice USA-Israele, infatti, il consigliere americano per la sicurezza nazionale, John Bolton, ha sollevato le preoccupazioni degli Stati Uniti per il ruolo strisciante della Cina nelle infrastrutture israeliane, in particolare nella gestione imminente del porto di Haifa, uno scalo importante per la flotta statunitense.
“Negli ultimi anni, la Cina è stata più attiva nel suo coinvolgimento in Medio Oriente”, ammette Pinfold, che continua, “si è limitata principalmente ai legami economici e finora ha manifestato poco o nessun interesse a coinvolgersi nel moribondo processo di pace in Medio Oriente. Come tale, anche se i legami con la Cina sono importanti, non possono sostituire l’estesa sicurezza israeliana, i legami economici, diplomatici e culturali con gli Stati Uniti, o il rapporto sempre più stretto,ma ancora complicato, tra Israele e Russia”.
La politica estera, dunque, sembra essere una della sfide chiave per capire il futuro d’Israele. Ed è proprio questo il campo in cui Netanyahu si è dimostrato più abile in questi ultimi anni e grazie al quale è riuscito a scavare un solco tra lui e i suoi avversari politici. Al momento, infatti, non vi sono candidati seri che possano impedire all’attuale premier di correre verso un altro mandato.
L’unica incognita di queste elezioni sembra essere Benny Gantz, ex Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), che recentemente ha fondato un nuovo partito, Israel Resilience Party, con il quale pare stia raccogliendo numerosi consensi. “Gantz ancora non ha dichiarato nulla circa le sue opinioni e la sua agenda politica”, dice la giornalista, che prosegue, “al momento lui ha un ampio consenso perché la sua immagine è buona presso l’opinione pubblica e la sua popolarità è dovuta agli incarichi che ha svolto in precedenza, come Capo di Stato Maggiore, che in Israele è una posizione che reca molta visibilità. Nonostante questo non ha ancora un programma politico anche perché ha deciso di candidarsi solo due settimane fa e non ha rilasciato ancora alcuna intervista”. Le fa eco Pinfold, che dice: “Benny Gantz e il suo Israel Resilence Party sono, stando ai sondaggi, il secondo partito più grande, ma molto indietro rispetto al Likud di Netanyahu. Ciononostante, Gantz e il suo partito sono nuovi arrivati nell’arena politica israeliana, il che significa che queste elezioni saranno più imprevedibili di quelle del 2015. Gantz ha attirato finora consensi senza dire nulla. Non ha praticamente rilasciato interviste ai media. Le sue opinioni e posizioni politiche sono indecifrabili e poco chiare. Presto dovrà rendere le sue posizioni cristalline mentre ci avviciniamo al giorno delle votazioni, se le sue posizioni perderanno o attireranno i sostenitori è la grande incognita in queste elezioni”.
La sinistra israeliana, invece, sembra non dare segni di vita. “La sinistra al momento rappresenta un grosso problema”, dice la blogger, che non vede vie d’uscita per la crisi in cui versa il Partito Laburista, che “sta collassando e non possiamo prevedere cosa succederà. L’attuale leader del partito è un soggetto che proviene ed è cresciuto nell’ala destra israeliana e che è passato a sinistra solamente nell’ultimo decennio”.
In ogni caso, tutto dipenderà dal sistema delle coalizioni su cui si basa il gioco elettorale israeliano. “In Israele vige un sistema di coalizioni, quindi, per diventare Primo Ministro tu devi avere una coalizione forte”, spiega Tal Schneider, che continua, “ci sono molti partiti e, dunque, per avere una buona coalizione si deve essere in possesso di ottime capacità di negoziazione. Per questo motivo è difficile dire in anticipo chi potrà essere, oltre Netanyahu, uno dei candidati favoriti alla vittoria”.
Impossibile, dunque, azzardare delle previsioni certe. “Fino a febbraio i partiti hanno il tempo di unire le proprie forze”, spiega la Schneider, che continua, “per entrare in Parlamento la soglia di sbarramento è del 3,25%, che corrisponde a 4 seggi, il minimo. Al momento, secondi i sondaggi, molti partiti raggiungono 5 seggi, questa è un numero troppo instabile, anche perché non sai se i sondaggi sono corretti o meno”. “Le elezioni si terranno in aprile, quindi, fino ad allora, la scena politica israeliana sarà particolarmente imprevedibile e turbolenta”, dice Pinfold, “a seconda delle valutazioni del sondaggio, Netanyahu potrebbe abbassarsi nel populismo scurrile, come è noto fare quando è sotto pressione”.
Nonostante tutto, Netanyahu rimane l’unica certezza in questo panorama politico indecifrabile. “È paradossale dirlo, ma, al momento, la sfida più grande per Netanyahu è che non c’è nessuno che possa affrontarlo: sta correndo contro sé stesso”, ammette la giornalista, “Netanyahu non ha nemici, ma deve motivare il suo elettorato e per farlo ha bisogno di trovare un nemico. Prima ha guardato alla stampa come nemica, poi alla Polizia, dopo ancora al Procuratore Generale. Ha bisogno di trovare un nemico per giustificare il suo voto e spingere le persone a muoversi verso di lui”.