Violenza chiama violenza, afferma un detto vecchio come il mondo, che il Medio Oriente conosce ormai a menadito. Al lancio di razzi proveniente dalla Striscia di Gaza risponde quindi la massiccia rappresaglia dell’aviazione di Israele, con un’unica differenza: mentre Tel Aviv, che pure è in continuo stato di allarme, gode della protezione del sistema di difesa Iron Dome, l’area popolata dai palestinesi è totalmente esposta ai bombardamenti israeliani. Sale perciò il numero di miliziani uccisi, tra i quali Raed al-Atar, comandante delle Brigate del martire ʿIzz al-Dīn al-Qassām, braccio armato di Ḥamās. Attualmente, l’operazione ‘Margine protettivo’ lanciata da Gerusalemme ha causato la morte di 35 persone ed il ferimento di altre 300. Eppure, secondo lo stato maggiore israeliano, il movimento islamista avrebbe a disposizione dozzine di razzi a lunga gittata: ragione sufficiente, per il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, per proseguire ed estendere l’operazione, poiché, aggiunge il Ministro della Difesa Moshe Ya’alon, «da parte nostra non sarà una battaglia di breve durata».
Totalmente ignorato, dunque, l’appello alla tregua lanciato dal Presidente palestinese Mahmūd Abbās, che ha riportato il desiderio in questo senso di tutte le fazioni palestinesi, comprese quelle di Ḥamās. Un appello che, però, all’estero è stato riecheggiato anche dal Presidente statunitense Barack Obama. In uno scritto che verrà pubblicato domani dal quotidiano tedesco ‘Die Zeit’, Obama afferma infatti che «in questo momento di pericolo, chiunque sia coinvolto deve proteggere gli innocenti ed agire in maniera sensibile e misurata, non per vendetta e ritorsione… Entrambe le parti devono essere pronte ad accettare rischi per la pace». Ma l’operazione israeliana potrebbe avere «ripercussioni negative nell’intera area mediorientale»: è quanto dichiarato dal portavoce del Governo della Giordania, che esige la cessazione della «barbara aggressione militare» israeliana. Anche le autorità egiziane potrebbero presto prendere posizione: Mahmūd Abbās avrebbe infatti avuto un colloquio telefonico col Presidente ‘Abd al-Fattāḥ al-Sīsī, al quale avrebbe chiesto appunto di intervenire.
Della situazione mediorientale parlerà anche la Ministra degli Esteri Federica Mogherini durante il colloquio col suo omologo russo Sergej Lavrov. Ovviamente, però, fra i «tanti temi di interesse comune, sia bilaterali che sfide regionali» che verranno affrontati non potrà che risaltare l’attuale situazione in Ucraina: già nella conferenza stampa congiunta, Mogherini ha dichiarato l’apprezzamento per la disponibilità russa durante l’incontro di Berlino ed ha menzionato l’ipotesi di un «controllo delle frontiere tramite osservatori Osce» per facilitare il cessate il fuoco nelle regioni in conflitto. Da parte sua, Lavrov ha dichiarato di sperare che «la Presidenza italiana del semestre europeo possa contribuire ad eliminare le barriere tra la Russia e l’UE», speranza alla quale Mogherini ha risposto asserendo che quest’ultima non agisce contro nessuno, bensì «insieme coi vicini».
Di Presidenza si parla anche in Indonesia, appena uscita dalle elezioni che hanno visto contrapposti il Governatore di Giacarta Joko ‘Jokowi’ Widodo e l’ex Comandante Prabowo Subianto. I primi exit poll danno Widodo vincitore col 45,1% dei voti contro il 42,2% dell’avversario, ma è ancora alta l’incertezza sull’esito finale. Difatti, entrambi i contendenti stanno rivendicando la vittoria: se il PDI-P, il partito di Widodo, afferma che «l’accoppiata di Jokowi e Jusuf Kalla è stata dichiarata vincitrice nella Repubblica Indonesiana per il 2014 sulla base di un rapido calcolo», il Gerindra, la formazione di Prabowo, sostiene che sia «troppo presto per dirlo» e che «il risultato finale sarà dato il 22 luglio dalla Commissione Elettorale, perciò siamo ancora ottimisti sulla vittoria di Prabowo».
È invece certa l’elezione di Hadi al-Bahra alla Presidenza della Coalizione Nazionale, la formazione di opposizione siriana sostenuta dai Governi occidentali. Al-Bahra ha guidato la delegazione della Coalizione ai negoziati di Ginevra ed è in stretto contatto col Governo dell’Arabia Saudita. Come sappiamo, l’intreccio tra la situazione della Siria si intreccia strettamente a quella dell’Iraq, in cui il Governo di Nouri al-Maliki ha espressamente accusato la popolazione curda di offrire sostegno ai miliziani islamisti dello Stato Islamico. «Onestamente», ha dichiarato il Primo Ministro in un discorso televisivo, «non possiamo tacere sul fatto che Erbil [capoluogo della regione autonoma irachena del Kurdistan, ndr] stia diventando la base delle operazioni dello Stato Islamico, dei ba’thisti, di al-Qa’ida e dei terroristi». Accuse che rischiano di spaccare ulteriormente un Paese già profondamente lacerato, come dimostra anche la progressiva diminuzione dei cristiani iracheni. La fuga delle esigue comunità cristiane rimaste nel Paese dalla violenza dello Stato Islamico potrebbe infatti porre termine a questo aspetto della storia religiosa del Paese, è l’avvertimento lanciato dagli Arcivescovi di Baghdad, Mosul e Kirkuk.
Mentre l’Iraq viene quindi scosso dalle azioni di un gruppo islamista sunnita, lo Yemen vive una situazione simile a causa di ribelli sciiti, gli Huthi. L’avanzata di queste milizie sarebbe infatti giunta a circa 50 km dalla capitale San’a’ dopo una lunga battaglia con le forze regolari, che le ha permesso di conquistare l’importante città settentrionale di Amran, capoluogo della regione omonima.
Più a nord, nel Bahrein, un ulteriore tassello potrebbe essersi aggiunto al complicato quadro mediorientale attraverso l’espulsione dal Paese di Tom Malinowski, Assistente Segretario di Stato degli Stati Uniti. Il Governo locale lo ha accusato di essere «intervenuto in modo flagrante» nella politica nazionale «intrattenendo rapporti con un partito», quello di opposizione. L’espulsione ha causato sconcerto presso la cancelleria statunitense, che sta decidendo quale risposta adottare, considerando anche la rilevanza strategica del piccolo emirato: nel Bahrein ha infatti sede il quartier generale della Quinta Flotta statunitense, che, come ricorda ‘Reuters’, è centrale nel mantenimento del potere marittimo di Washington nell’area.
Il Segretario di Stato John Kerry sarà però concentrato, nei prossimi giorni, sull’incontro annuale di alto livello con le autorità della Cina. Durante il Dialogo Strategico ed Economico, evento che durerà fino a domani, Kerry ha già incontrato, insieme al Segretario del Tesoro Jack Lew, il Presidente Xi Jinping. Oltre alle affermazioni di cortesia, per cui i due Paesi devono gestire le differenze che li separano ed evitare un confronto che sarebbe «un disastro», Xi ha in particolare ribadito che «dovremmo rispettarci reciprocamente e trattarci l’un l’altro in maniera uguale, rispettando l’altrui sovranità ed integrità nazionale, e rispettando le scelte dell’altro sulla strada dello sviluppo»: un chiaro invito a Washington perché non si intrometta nelle dispute marittime che stanno opponendo Pechino agli altri Paesi dell’Asia sud-orientale. Ma non solo: il Governo cinese non scorda la questione tibetana, se è vero che gli arresti domiciliari di Tsering Woeser, scrittrice originaria di quella zona, rappresentano una misura volta ad impedirle di incontrare lo stesso Kerry. Infine, anche le questioni valutarie sono state toccate quando il Ministro per le Finanze cinese, Lou Jiwei, ha difeso gli interventi governativi sull’andamento dello yuan, la moneta locale.
Difende la propria sovranità nazionale anche la magistratura della Germania, che starebbe indagando su una sospetta spia statunitense infiltrata nell’esercito tedesco. La notizia, riportata da ‘Reuters’, giunge a pochi giorni dall’arresto di un agente del Bundesnachrichtendienst, l’intelligence locale, reo di aver passato per due anni informazioni riservate sul caso NSA alle autorità statunitensi.
La Germania, com’è noto, ha intanto riservato una brutta sorpresa al Brasile, la cui nazionale è uscita col risultato di 7-1 dal Mondiale di calcio che stava disputando in casa. È possibile che il risultato possa dare nuova spinta alle proteste già in corso da prima del torneo: al momento, tuttavia, le azioni compiute dalla polizia antisommossa sembrano essere state dirette soprattutto contro atti di violenza non connotabili politicamente. Tra gli atti più clamorosi, risaltano l’incendio di una dozzina di autobus nella città di San Paolo e risse nei pressi della spiaggia di Copacabana, a Rio de Janeiro.