Nei giorni scorsi, la Guida Suprema dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, in un discorso agli studenti universitari, ha elencato le qualità di un Presidente idoneo: «Religioso, rivoluzionario,popolare, speranzoso, credente nelle potenzialità giovanili e domestiche, sostenitore della giustizia e attivamente contro la corruzione». E’ la descrizione perfetta del candidato favorito alle prossime elezioni presidenziali dell’Iran del 18 giugno: Ebrahim Raisi.
Pochi giorni dopo, presentando la candidatura, Raisi ha indirettamente risposto alla Guida Suprema quando ha detto: «Dio, sei testimone che non sono mai stato alla ricerca di posizione o potere, e anche in questa fase sono entrato in campo nonostante la volontà e gli interessi personali, e solo per servire il mio dovere di rispondere alle persone e alle élite e creare speranza».
Ebrahim Raisi, Presidente della Corte Costituzionale, a pochi giorni dall’approvazione della sua candidatura da parte del Consiglio dei Guardiani, insieme ad altre sei candidature minori, è già considerato da tutti, iraniani e osservatori internazionali, il successore di Hassan Rouhani alla Presidenza dell’Iran.
Raisi è un religioso e un giurista, ha 61 anni ed è nato da una famiglia di chierici. Ha stretti legami con la Guida Suprema, ed è molto rispettato in tutti gli ambienti religiosi e conservatori. La scelta di candidarlo sarebbe stata motivata dal fatto che èl’unico candidato accettato da tutti le diverse correnti dei conservatori, sia moderati che estremisti, per tanto capace di raccogliere un consenso largo.
Nato nel 1960, ha studiato nei seminari di Mashhad e successivamente di Qom, e ha iniziato la sua carriera all’età di 21 anni, nel 1989, come procuratore distrettuale della città di Karaj, e poco dopo, è diventato procuratore distrettuale di Hamedan, mentre, allo stesso tempo, continuava a prestare servizio come procuratore distrettuale di Karaj.
Gli anni a seguire sono quelli della scalata al successo, fino a quando è diventato vice procuratore distrettuale di Teheran, e successivamente procuratore distrettuale di Teheran fino al 1994.
Dal 2004 al 2014 è stato vice capo della magistratura e dal 2014 al 2016 è stato procuratore generale. Dal 2012 è anche capo del tribunale clericale speciale. Altresì, Raisi è stato anche nominato dall’ayatollah Khamenei amministratore (custode) di Astan Quds Razavi, a Mashhad
Nonostante la sua lunga storia all’interno del corpo della Repubblica islamica e gli incarichi di prestigio, il pubblico lo ha conosciuto solo dopo che si è candidato alla presidenza, nel 2017, e ha perso contro Rouhani.
Ebrahim Raisi è stato nominato Presidente della Corte suprema dell’Iran, il 7 marzo 2019, mentre il suo nome era sulla lista delle sanzioni dell’UE e degli Stati Uniti per violazioni dei diritti umani.
Il capo della giustizia iraniana è il capo del sistema giudiziario della Repubblica islamica dell’Iran (capo della magistratura) ed è responsabile della sua amministrazione e supervisione. Il capo della magistratura iraniana deve essere un ‘uomo d’onore’ secondo la Costituzione della Repubblica islamica dell’Iran. L’onore di Raisi si sarebbe macchiato nel 1988, quando, insieme ad altri religiosi, ha firmato le esecuzioni di migliaia di prigionieri politici per ordine dell’allora leader supremo, l’Ayatollah Ruhollah Khomeini. Da qui le sanzioni della UE e degli Stati Uniti.
La vicenda è stata ricostruita dalla ‘BBC‘. Siamo nel 1988, alla fine della guerra di otto anni tra Iran-Iraq. «Dopo che l’allora leader supremo dell’Iran, Ruhollah Khomeini, ha accettato un cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite, i membri del gruppo di opposizione iraniano Mujahedeen-e-Khalq, pesantemente armati da Saddam Hussein, hanno fatto irruzione attraverso il confine iraniano in un attacco a sorpresa. L’Iran alla fine ha fermato il loro assalto, ma l’attacco ha preparato il terreno per i falsi processi di prigionieri politici, militanti e altri. Ad alcuni che si sono presentati è stato chiesto di identificarsi. Secondo un rapporto del 1990 di Amnesty International, coloro che hanno risposto ‘mujaheddin’ sono stati mandati a morte, mentre altri sono stati interrogati sulla loro disponibilità a ‘ripulire i campi minati per l’esercito della Repubblica islamica’.
I gruppi per i diritti internazionali stimano che siano state giustiziate fino a 5.000 persone, mentre il Mujahedeen-e-Khalq stima il numero in 30.000. L’Iran non ha mai riconosciuto pienamente le esecuzioni, apparentemente eseguite su ordine di Khomeini, anche se alcuni sostengono che altri alti funzionari fossero effettivamente in carica nei mesi prima della sua morte nel 1989. Raisi, allora vice procuratore a Teheran, avrebbe preso parte ad alcuni degli incontri nelle carceri di Evin e Gohardasht. Una registrazione di un incontro di Raisi e del suo capo che incontra il famoso Grande Ayatollah Hossein Ali Montazeri è trapelato nel 2016, con Montazeri che descrive le esecuzioni come ‘il più grande crimine nella storia della Repubblica islamica’».
Raisi non ha mai riconosciuto pubblicamente il suo ruolo nelle esecuzioni durante la campagna per la presidenza nel 2017.
Alle elezioni del 2017, Raisi ha ottenuto il 38% dei voti al primo turno, contro il 57% di Rouhani, ovvero 16 milioni di voti, il numero più alto mai ottenuto da qualsiasi candidato conservatore. Da qui si comprende bene la sua capacità di aggregare tutti i conservatori di varie estrazioni, politiche e sociali.
La sua base elettorale, spiega ‘Iran International‘, «si trovava principalmente nelle province marginali dove vivono gli iraniani a basso reddito. Durante la campagna elettorale del 2017, Raisi si è recato in molte province svantaggiate, distribuendo denaro e beni di prima necessità tra le famiglie a basso reddito. Da allora, ha visitato regolarmente varie province negli ultimi quattro anni, incontrando operai, artigiani, agricoltori e altri membri della classe operaia, promettendo un futuro migliore e ottenendo sostegno». Facendo ben emergere il suo tratto populista, che probabilmente è servito a mettere in secondo piano i resoconti dei media che pure sono ampiamente circolati sul suo presunto ruolo nel massacro dei prigionieri politici del 1988. Così come gli iraniani non possono ignorare il fatto che da quando ha assunto la guida delle magistratura, ha diretto l’esecuzione di 251 persone nel 2019 e 267 persone nel 2020, e giù decine di esecuzioni nel 2021, sottolinea il National Council of Resistance of Iran. Amnesty International ha riferito che «La pena di morte è stata sempre più usata come arma di repressione politica contro manifestanti dissidenti e membri di minoranze etniche», durante il mandato di Raisi. Un caso particolare che ha suscitato clamore internazionale è stata la brutale esecuzione dello sportivo e lottatore iraniano Navid Afkari.
Raisi ha altri due vantaggi, prosegue ‘Iran International‘. Dal 2017 «mantiene un invidiabile punto d’appoggio nella televisione di Stato, che trasmette tutte le notizie sulle sue visite e sui suoi discorsi, ed evidenzia ogni sua singola presenza pubblica. D’altra parte, il leader supremo Ali Khamenei e i Guardiani della rivoluzione hanno sempre guardato con favore la sua presenza in posizioni di potere».
Raisi, afferma ‘Responsible Statecraft‘, «dovrà affrontare la percezione pubblica di essere stato apertamente consegnato alla presidenza dall’establishment. Ciò potrebbe danneggiare gravemente le prospettive per Raisi di succedere a Khamenei come leader supremo», una posizione per la quale molti hanno ipotizzato venga da tempo preparato, probabilmente dallo stesso Khamenei, con il quale ha un legame privilegiato e consolidato nel tempo.
«Raisi porterà al potere una visione del mondo intransigente che può esacerbare l’isolamento dell’Iran», secondo ‘Responsible Statecraft‘. Per Atlantic Council, il fatto che Khamenei abbia posto le basi per l’elezione praticamente certa di Raisi potrebbe portare ad una accelerazione (il collegamento è esterno) della risoluzione delle divergenze con gli Stati Uniti sul ritorno USA all’interno dell’accordo sul nucleare iraniano «ragionando che Raisi trarrebbe beneficio dall’ottimismo sulla ripresa economica. Khamenei potrebbe persino fare alcuni gesti sul fronte dei diritti umani o sulle politiche regionali iraniane per aumentare le possibilità di una presidenza Raisi di successo. La Repubblica Islamica si è dimostrata più volte estremamente pragmatica quando la sua sopravvivenza era in dubbio».
Raisi ha affermato di voler formare un «governo popolare per un Iran forte» che combatta la corruzione e migliori l’economia del Paese, il che probabilmente significherà per Raisi dover sfoderare proprio il tradizionale pragmatismo iraniano.
Infatti, Atlantic sottolinea che altro probabile risultato di una vittoria di Raisi sarebbe «l’inizio di una fase meno ideologica in Iran. Le ideologie sono buoni strumenti per il controllo, la soppressione e la propaganda, ma sono meno utili quando diventano costose da implementare. A metà degli anni 2000, Ahmadinejad poteva permettersi il suo populismo guidato dall’ideologia perché il petrolio costava 140 dollari al barile mentre la cifra preventivata era di soli 85 dollari. Non è più una prospettiva realistica.
Raisi e altri intransigenti hanno accusato Rouhani di non aver implementato una ‘economia di resistenza’ di fronte alle sanzioni statunitensi. Ma possono eliminare questa posizione se consolidano il potere. Un reale miglioramento dell’economia iraniana richiederà cambiamenti fondamentali per attrarre investimenti esteri e ridurre ulteriormente la dipendenza dal settore petrolifero. Questo può avvenire con il graduale svanire delle politiche e degli slogan anti-americani e anti-israeliani». Il che non significherà che la sua presidenza deroghi alla promessa di un governo di destra fieramente oppositore dell’Occidente, ma lo spostamento a destra dell’Iran sarà mitigato dalle urgenze economiche e dalla necessità di dare qualche concretezza alle promesse populiste che marcheranno la sua campagna elettorale.
La vittoria elettorale sarà un importante passo in avanti verso il vero posto di vertice in Iran. «Ci si può aspettare che lavorerà per consolidare la sua posizione nei principali centri di potere,comprese le forze armate e di sicurezza. Si sforzerà anche di ottenere una maggiore legittimità religiosa attirando il sostegno dei principali ayatollah di Qom e Mashhad, dove suo suocero è leader della preghiera del venerdì e grande imam di un importante santuario musulmano sciita.
Nei quarantadue anni di storia della Repubblica islamica, il primo Presidente è stato deposto e il secondo è stato ucciso in un attentato terroristico. Tutti gli altri presidenti hanno servito due mandati quadriennali. Se questo schema regge, Khamenei o sarà morto o sarà troppo fragile per continuare come leader supremo quando Raisi terminerà un secondo mandato. Raisi sarebbe quindi in cima a una lista molto breve per succedere a Khamenei», e questa è l’altra partita, quella in assoluto più importante che Raisi si gioca con il voto di giugno, considerato che il vero, unico potere in Iran è in mano alla Guida Suprema.