Nelle scorse ore, due navi da guerra della marina statunitense, con a bordo 10 marinai d’equipaggio, sono state fermate e trattenute sull’isola di Farsi, nel Golfo Persico, dai pasdaran iraniani (i guardiani della rivoluzione). Le navi, in addestramento, in viaggio dal Kuwait al Bahrain, avrebbero sforato per 2 km, circa, le acque territoriali iraniane, secondo fonti dell’Amministrazione americana, causa problemi ai motori. Il Pentagono ha immediatamente emesso una nota nella quale assicura che, dopo i contatti tra i due Governi, l’incidente è chiuso e l’Iran avrebbe provveduto a breve a far riprendere il viaggio ai marinai in condizioni di sicurezza. Come dire: nessun incidente diplomatico tra i due Paesi -il Segretario di Stato americano, John Kerry, ha assicurato il suo omologo, il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, che quella delle due navi non è stata una violazione intenzionale delle acque territoriali iraniane-, e quel che è stato è già risolto.
L’incidente -il secondo nel corso delle ultime due settimane: il mese scorso la portaerei a propulsione nucleare Uss Truman e le navi da scorta sono state sfiorate dal lancio di razzi da parte dei pasdaran- rientrerebbe, secondo alcuni osservatori, nella strategia che si sta mettendo in atto da parte dell’ala radicale iraniana volta a creare tensione tra i due Paesi in un momento assolutamente critico per le nuove relazioni tra Iran e USA: in questo mese di gennaio, le sanzioni economiche americane contro l’Iran potrebbero essere abolite, come previsto dall’intesa sul nucleare di Teheran sottoscritta lo scorso 14 luglio a Ginevra, un mese iniziato malissimo con lo scontro diplomatico tra Iran e Arabia Saudita -sulla carta alleata fedele degli Stati Uniti, ma da sempre in scontro aperto con l’Iran e contraria all’intesa sul nucleare iraniano.
I Pasdaran (punta di diamante della difesa iraniana) sono espressione dell’ala più dura del sistema di potere iraniano, rispondono alla Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e non al Presidente Hassan Rohani, artefice delle nuove relazioni con l’Occidente, con la Forza Quds -un corpo d’elite pronto per qualsiasi evenienza- si muovono dietro l’Esercito nazionale e a fianco del potere religioso, in difesa, prima ancora che del territorio, della linea ideologico-religiosa e politica del Paese.
Per questo gli incidenti di queste settimane, secondo molti analisti, non sarebbero casuali, piuttosto espressione del tentativo dell’ala più radicale del Paese di ostacolare il nuovo clima post-Ginevra.
In questo quadro si inserisce l’intervento di fine ottobre scorso di Hassan Rahimpour Azghadi, intellettuale iraniano e membro del Consiglio Supremo per la Rivoluzione Culturale, il quale aveva affermato che gli Stati Uniti d’America hanno degli agenti nelle istituzioni ufficiali iraniane.
Le provocazioni di Azghadi erano giunte durante il suo intervento, prima della predica della preghiera del venerdì, il 30 ottobre, a Teheran, e avevano richiamato l’attenzione allarmata dei riformisti iraniani.
Radà al-Qazwini al-Gharbi, esperto in affari iraniani, ha realizzato l’analisi dell’intervento dell’intellettuale radicale Azghadi.