Il rublo ha finalmente il suo simbolo, come ogni grande moneta che si rispetti. E’ stato indetto un referendum popolare per risolvere l’annoso problema, scegliendo tra cinque varianti. Il risultato è piuttosto scontato: una pi maiuscola, ossia la erre russa, con un segmento a tagliare il gambo. Non si può dire che la risposta popolare all’invito governativo sia stata oceanica. Su una popolazione di 143 milioni hanno votato in 284 mila, il 61% dei quali hanno sottoscritto la scelta vincente.
La Banca centrale moscovita, organizzatrice dell’evento, ci teneva molto. La sua proposta parlava di “sforzo per incoraggiare l’uso del rublo nel commercio internazionale e come potenziale moneta di riserva”. Anche all’estero qualcuno mostra di ritenere che lo sforzo sia stato utile. “Sicuramente un’importante elevazione di status”, commenta ad esempio “Business Insider”. Ma la stessa opinione pubblica russa, qualificata o meno, appare decisamente più scettica che incline ad esultare, e la cosa si spiega agevolmente considerando le attuali circostanze e ricordando i precedenti.
Il problema del simbolo era stato posto sul tappeto già negli anni ’90, dopo la frantumazione dell’URSS e il distacco anche monetario delle altre repubbliche ex sovietiche dalla Russia. Ma prima ancora che quell’agitato decennio finisse erano arrivati la crisi finanziaria, il default, la svalutazione del rublo di oltre tre volte con l’inflazione all’84%. Poi c’era stata una buona ripresa generale, anzi un vero e proprio boom, nuovamente interrotto però dalla crisi, anche russa oltre che pressocchè mondiale, esplosa nel 2008-2009.
Alla caduta del PIL si accompagnò il crollo della Borsa di Mosca (-80%) e del rublo, che perse il 35% del suo valore. Per scongiurare la catastrofe lo Stato dovette riversare enormi quantità di denaro nelle banche e nelle imprese, queste ultime in gran parte in mano agli “oligarchi”. Anche questa volta la ripresa non è mancata, inizialmente su tutta la linea. Ma ben presto l’orizzonte è tornato ad oscurarsi, soprattutto per quanto riguarda la tormentata moneta nazionale, principale vittima predestinata degli alti e bassi di un sistema economico sempre in balìa delle oscillazioni dei prezzi del petrolio e del gas.
Proprio nel corso del 2013 il rublo si è deprezzato dell’8% rispetto al dollaro, scendendo ad un cambio di 33 a 1 (e di 44 a 1 con l’euro), il più basso dal 2009. Conseguentemente, si è assistito in estate ad una vera e propria corsa all’acquisto di valute convertibili, aumentato solo tra agosto e settembre di una volta e mezza e di due volte e mezza per i dollari USA, evidentemente considerati più affidabili (al pari, malgrado tutto, dell’euro) rispetto al rublo. Per il 2014 l’economista Igor Nikolaev, ad esempio, pronostica un rublo a quota 37 contro il dollaro e 47-48 contro l’euro.
La moneta, d’altronde, è o dovrebbe essere il biglietto da visita di un’economia nazionale, che nella fattispecie non scoppia neanch’essa di salute. Si comprende perciò che un altro economista autorevole, Nikita Kricevskij, ne deduca che continuando di questo passo, senza cioè cambiamenti sistemici radicali, il rublo rischia di diventare carta straccia benchè arricchito da un simbolo.
Va in realtà precisato che la scivolata monetaria è almeno in parte voluta. Il cambio ufficiale del rublo deve mantenersi entro una banda di oscillazione, rispetto ad un paniere euro-dollaro, che è stata ripetutamente ampliata a partire dallo scorso giugno consentendo appunto la sua svalutazione. La quale, però, è stata finora temperata dagli interventi della Banca centrale, mentre gli orientamenti generali di questa e del governo lasciano prevedere per il futuro addirittura una caduta libera della moneta. I mercati finanziari si aspettano infatti una svalutazione del 50% nei prossimi due anni.
Le svalutazioni, come si sa, alimentano automaticamente l’inflazione, che in Russia è già alta (intorno al 6%) secondo i dati ufficiali ma parecchio più elevata di fatto secondo gli esperti indipendenti, e comunque assai più elevata in varie zone del Paese, non tutte periferiche, rispetto ad altre. Secondo una recente previsione dell’ex ministro delle Finanze Aleksej Kudrin basterebbe del resto un forte calo dei prezzi del petrolio a farla rimbalzare in breve tempo al 15%.
C’è poi un’altra peculiarità russa che aiuta a spiegare lo scarso entusiasmo per il simbolo del rublo. La svalutazione punta naturalmente a favorire le esportazioni rendendo più care le importazioni, che coprono la parte di gran lunga preponderante del fabbisogno di consumi e il cui rincaro danneggia quindi, soprattutto e ulteriormente, la popolazione meno abbiente.
Quali che saranno i frutti, comunque non immediati, certo, della strategia economica governativa nel suo complesso, resta da rilevare che la debolezza del rublo risente anche di altri fattori contestuali. L’attualità presenta in primo piano la fragilità e l’insoddisfacente funzionalità del sistema bancario, sulla cui buona salute il premier Dmitrij Medvedev ha sentito recentemente il bisogno di spendere parole che sono però suonate rassicuranti solo nelle sue intenzioni.
La revoca nello scorso novembre della licenza ad un piccolo ma importante istituto moscovita, la Master-Bank, ha suscitato particolare scalpore ma non è stato che l’ultimo evento di una serie. La stessa sorte hanno subito nel corso dell’anno altre 22 banche, 17 delle quali chiuse d’autorità dopo l’avvento alla testa della Banca centrale, in giugno, di Elvira Nabiullina, un’economista descritta come molto vicina al presidente Vladimir Putin e circondata da una fama di efficienza e risolutezza.
Non si sa se il probabile appoggio da parte del vertice del regime basterà ad agevolare il compito della nuova governatrice, chiamata a misurarsi con sfide come l’indebitamento dei consumatori. Cresciuto rapidamente a partire dal 2009, esso ha raggiunto un livello record nel periodo post-sovietico, provocando un sempre più pericoloso aumento dei crediti malsicuri delle banche. La stessa Nabiullina ha parlato in proposito di “minaccia alla stabilità finanziaria” mentre German Gref, presidente della più grande banca russa, la Sberbank (controllata per metà dallo Stato), ha confessato di aspettarsi che la relativa bolla scoppi nel prossimo anno.
Non è detto peraltro che le scelte politiche complessive siano tali da favorire la difesa del rublo, ovviamente necessaria nonostante i propositi di ulteriore svalutazione. Anche altre monete fra le maggiori restano oggi sottovalutate o si deprezzano programmaticamente per sostenere o promuovere le esportazioni. Ciò tende però a provocare ritorsioni minacciando di scatenare una guerra dei cambi nella quale una moneta come il rublo difficilmente potrebbe avere la meglio sulle altre, e non solo per i probabili insuccessi sul fronte esterno.
In campo interno l’indirizzo seguito sinora, e destinato a quanto pare ad accentuarsi nei prossimi anni ad ulteriore scapito del tenore di vita della popolazione, ha già fatto registrare contraccolpi anche sul piano monetario. La sfiducia nel rublo, nel quadro di un più generale malcontento per il carovita, i servizi scadenti, il peso della corruzione, ecc., ha infatti dato tangibili spinte alla ricerca di monete alternative, digitali come il bitcoin e simili, oggi sulla cresta dell’onda un po’ dovunque, ma anche di altra e meno avveniristica natura.
Sergio Romano, nella sua rubrica sul ‘Corriere della sera’, ha informato i lettori che in un minuscolo comune ligure continua a venire coniato e a circolare il luigino, moneta usata per acquisti nei negozi locali, con una parità stimata di sei dollari, benchè priva di valore legale. Ebbene, la Russia è da tempo più avanti in questa direzione. In alcune regioni periferiche, specie dell’Estremo Oriente, con problemi economico-sociali più gravi che altrove e una lamentata condizione di abbandono da parte di un potere centrale troppo lontano, il ricorso a monete alternative fatte in casa non è infrequente. E il fenomeno promette di diffondersi, con imponderabili conseguenze, se la fiducia nella moneta nazionale subirà nuovi colpi.