Parigi – Parigi chiama e Firenze risponde, inviando un suo illustre messaggero di cultura: il Rosso Fiorentino. Da domani una delle più prestigiose opere, Lo Sposalizio della Vergine, di Giovan Battista di Jacopo, detto, appunto, il Rosso per il colore dei capelli, sarà esposta presso l’Ambasciata d’Italia a Parigi e vi resterà fino al 28 febbraio. Giusto il tempo di consentire al pubblico francese di apprezzare una delle tavole più suggestive della produzione manieristica fiorentina, nonché la scienza e la tecnica del restauro di cui l’Italia e Firenze in particolare sono all’avanguardia nel mondo. Infatti, questo dipinto è appena uscito dai Laboratori delle Pietre Dure di Firenze ove è stato sottoposto ad un delicato intervento di restauro che ha restituito all’opera i colori, la forza e la lucentezza che sono una delle caratteristiche di questo grande artista che la critica e l’immaginario collettivo associano per formazione e comune percorso artistico al Pontormo.
Dipinta nel 1523 la tavola fu una delle ultime opere che l’artista creò a Firenze prima di recarsi a lavorare in Francia, dove morì nel 1540, all’età di 45 anni. Le fonti francesi tacciono sulla sua morte, mentre l’amico Giorgio Vasari avallò la tesi del suicidio dovuto ad un ribaltamento delle sue fortune; altri parlarono di un forte senso di colpa per l’accusa mossa nei confronti del pittore e amico Francesco Pellegrino, sottoposto a tortura; altri ancora espressero seri dubbi su quella tragica e immatura fine. Sta di fatto che il Rosso concluse la sua esistenza a Fontainbleu, in quella corte francese nella quale, come scrisse il Vasari nelle Vite, «egli avesse sempre avuto capriccio di finire la sua vita…. per tòrsi, a una certa miseria e povertà nella quale stanno gli uomini che lavorano in Toscana e ne’ paesi dove sono nati».
E, dunque, dati questi legami profondi con la Francia – anche attraverso il Rosso, oltre a Leonardo e Andrea del Sarto, che gli fu maestro e che lo avevano preceduto – l’Ambasciatore italiano Giandomenico Magliano, ha proposto la presentazione dell’opera quale occasione unica per offrire al pubblico francese, nel quadro della diplomazia culturale italiana, una grande occasione per conoscere ancor più l’artista e valorizzare la scienza e la tecnica del restauro. E proprio al restauro sarà dedicato un convegno nei prossimi giorni al Louvre, con il quale da tempo il Polo Museale Fiorentino ha stretto un proficuo rapporto di interscambio. Il restauro, diretto da Monica Bietti, è stato condotto con la consueta professionalità e sensibilità da Maria Teresa Castellano, nei locali della sede toscana di Art Defender. Le indagini diagnostiche sono state svolte dai tecnici dell’Opificio delle Pietre Dure, il risanamento ligneo eseguito da Roberto Buda. L’opera di restauro, interamente finanziata da privati, ha riportato al suo splendore ed alla sua intensità espressiva un’opera che, secondo la critica, sembrerebbe esprimere la “ simpatia” sia dell’artista che del committente per i pensieri savonaroliani.
Il dipinto era stato commissionato all’artista da Carlo Ginori, uno dei più importanti banchieri fiorentini, ricchissimo mecenate, che da poco aveva fatto costruire il suo palazzo di famiglia nell’omonima strada, che sfocia di fronte alla Chiesa di S.Lorenzo, straordinaria opera del Brunelleschi che racchiude noti capolavori di Michelangelo, artista al quale il giovane Rosso Fiorentino guardava con interesse, studiandolo a fondo ma trovando una propria maniera espressiva, usando colori più innaturali e dando un senso più brutale al movimento delle figure rappresentate, discostandosi così dalla tradizione. Del resto, fin da ragazzo, da quando cioè frequentò come allievo la bottega di Andrea del Sarto, manifestò, come l’altro allievo, il Pontormo, suo alter ego, una certa insofferenza, un ribellismo evidente verso le costruzioni classiciste ormai in crisi, forzando le forme equilibrate del Maestro ed esprimendo così una natura inquieta e tormentata.
Un artista, il Rosso, dotato di charme, gentile e raffinato nei modi, di bell’aspetto, come scrisse il Vasari, il quale lo conobbe personalmente e si avvalse anche dei ricordi del Bronzino. Un giovane interessato a varie attività tra cui la musica le lettere nonché alla lettura cabalistica e all’esoterismo. Pur ottenendo vari incarichi ( il primo risale al 1510, appena adolescente, essendo nato a Firenze il 18 marzo del 1495, ad esso seguì la realizzazione a quattro mani uno stemma di Leone x, alla SS.Annunziata, in onore del papa mediceo), il suo talento a Firenze non fu adeguatamente apprezzato. E se ne andò ad operare altrove. A Piombino, ospite di una famiglia di fede repubblicana e antimedicea, e a Volterra, ove dipinse una Deposizione, considerata il suo capolavoro. Forse l’ambiente provinciale gli sembrò più congeniale alla sua arte, alle sue originali innovazioni, senza i vincoli dell’ufficialità fiorentina. Inoltre, un bando l’aveva dichiarato pubblicamente insolvente non avendo risarcito un suo creditore. Nel 1522 l’artista rientrò a Firenze, dove eseguì le ultime commissioni nella sua città, tra le quali la Pala Dei, lo Sposalizio della Vergine e il Mosè difende le figlie di Jetro, donata poi al re di Francia Francesco I.
Da Firenze prese la strada per Roma, accompagnato dall’allievo inseparabile Battistino, e dalla amata scimmietta “Bertuccione”, che qualche guaio glielo combinava sempre, a seguito della peste che aveva colpito la città e che aveva costretto Andrea del Sarto a rintanarsi nella campagna mugellese e il Pontormo a chiudersi nella Certosa del Galluzzo. Inoltre, era richiamato dalle opere di Michelangelo e di Raffaello e anche dalla fresca elezione al soglio pontificio di un papa fiorentino, Giulio de’ Medici, che prese il nome di Clemente VII. All’inizio, preceduto da una certa fama, ottenne vari incarichi tra cui l’affrescatura della Cappella Cesi in S.Maria della Pace, nonché la celebre pala col Compianto, oggi a Boston. Poi, col Sacco di Roma, fu preso dai Lanzichenecchi e, dopo la liberazione riparò prima a Perugia, poi a Città di Castello e ad Arezzo, dove conobbe l’allora diciassettenne Giorgio Vasari, al quale donò un disegno per una Resurrezione. Ovunque il Rosso lasciò il segno della sua straordinaria presenza, tra cui La Madonna delle lacrime. Continui i suoi spostamenti tra queste città e S.Sepolcro: ove si dice che nottetempo dissotterrasse i cadaveri dal Vescovado e frequentasse ambigue e morbose amicizie. Poi, raggiunse Venezia via Pesaro. E dalla città lagunare, tramite forse l’Aretino, prese la strada per Parigi. Il Re fu colpito oltre che dalla sua arte, dalle sue qualità personali e gli assegnò una provvigione di 400 scudi, una casa a Parigi (ma lui preferì Fontanbleu) e la nomina a capo generale di tutte le fabbriche reali. Era definito, da taluni ospiti, gran maestro di denari e d’altre provvisioni, ma come abbiamo detto, la sua vita si chiuse tragicamente il 14 novembre 1540.
La presenza del Rosso a Parigi, sarà dunque anche un’occasione per accendere i fari sulla grande mostra che dall’8 marzo al 20 luglio si terrà a Palazzo Strozzi, a Firenze, dal titolo, appunto “ Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti “vie” della maniera. Una mostra, a cura di Carlo Falciani e Antonio Natali, che si preannuncia di straordinario interesse in quanto riunisce per la prima volta i capolavori dei due artisti, provenienti da varie parti del mondo, molti dei quali restaurati per l’occasione. Una formazione ed un percorso comuni. Due artisti tra i più anticonformisti e spregiudicati del tempo, protagonisti del nuovo modo di intendere l’arte, che dettero vita, insieme al senese Beccafumi, a quella stagione del Cinquecento, che il Vasari chiamò “maniera moderna”. A differenza del Pontormo che fu sempre preferito dai Medici e si mostrò aperto alla varietà linguistica ed al rinnovamento degli schemi compositivi, lui all’interno della tradizione manifestò aneliti di spregiudicatezza e originalità. Un percorso comune il loro e tuttavia divergente. Due sommi artisti, capaci di toccare altissime forme poetiche.
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