Uno dei fattori geopolitici di maggiore impatto verificatisi negli ultimi anni è dato indubbiamente dall’ascesa progressiva del Qatar. Sotto la guida della ambiziosissima dinastia al-Thani, il piccolo emirato ha fatto leva sulla propria immensa ricchezza patrimoniale costruita sulla rendita petrolifera e gasifera per acquistare quote rilevanti di alcune tra le principali imprese mondiali, come Volkswagen, Lvmh, Piaggio, Paris Saint-Germain, Manchester City, Bank of America, Credit Suisse, Barclays, Citic China, ecc. In termini pratici, questa montagna di investimenti gestita dalla colossale fondo sovrano qatariota (Qatar Investiment Authority) si è tradotta in radicale potenziamento del soft power di Doha, che ha permesso alla famiglia reale di predisporre una propria agenda operativa indipendente da quella dell’ingombrante vicino capace di fare il bello e cattivo tempo in seno al Consiglio per la Cooperazione del Golfo, vale a dire l’Arabia Saudita.
Sul piano geopolitico, il Qatar ha deciso di far valere tutto il proprio peso specifico acquisito nel corso degli anni per imporsi come ‘padrino’ della Fratellanza Musulmana, un movimento diffuso in quasi tutto il mondo islamico e da cui traggono ispirazione anche partiti di una certa rilevanza come Hamas e, soprattutto, l’Akp di Reçep Tayyp Erdoğan. Partiti che, non a caso, hanno instaurato con Doha un’alleanza di ferro che perdura ancora oggi. Lo scoppio delle rivolte arabe ha permesso alle varie filiali ed emanazioni della Fratellanza Musulmana di recuperare alcune delle posizioni perse nei decenni precedenti, e persino di conquistare il potere in un Paese strategicamente cruciale come l’Egitto.
L’affermazione di Mohammed Morsi ha infatti assicurato al Qatar la possibilità di accreditarsi agli occhi del mondo come l’unico soggetto in grado di contendere a Riad il controllo dei movimenti islamisti. Il successo ottenuto grazie all’appoggio ai senussiti libici in chiave anti-gheddafiana e al partito egiziano Giustizia e Sviluppo di Morsi ha avuto l’effetto di accrescere esponenzialmente la già smisurata ambizione degli al-Thani, inducendoli a trasformare il Qatar nel principale manovratore della rete islamica messa originariamente in piedi dalla Cia e dal principe saudita Bandar bin-Sultan (alias ‘Bandar Bush’) inserendovi propri uomini in molti dei posti chiave; personaggi come l’ex premier libico Mustafà Abdel Jalil, il telepredicatore al-Qaradawi, il leader di Ennahda (partito islamico tunisino) Rachid Ghannouchi, il Fratello Musulmano e presidente del Consiglio Nazionale di Transizione siriano Borhane Ghalioun e, soprattutto, il guerrigliero libico Abdelhakim Belhaj, reduce da Afghanistan ed Iraq, sono rapidamente entrati a far parte della rete. Mantenendo finanziariamente questa specie di Comintern in salsa islamica, il Qatar si era assicurato la possibilità di allontanare le pulsioni jihadiste e i conati rivoluzionari dal proprio territorio, nonché di influenzare massicciamente le dinamiche politiche inter-arabe.
Gli uomini della rete si sono installati in maniera tentacolare in Tunisia, da dove hanno avuto modo di irrobustire il fronte fondamentalista libico e siriano instradandovi aspiranti mujaheddin tunisini addestrati a dovere e poi riciclati in scenari secondari come il Mali. Anche per questo, la linea operativa di al-Thani è stata particolarmente apprezzata fin da subito da Washington, in quanto perfettamente compatibile con la strategia che gli Stati Uniti avrebbero adottato sull’onda del discorso pronunciato al Cairo da Barack Obama nel giugno 2009, in cui era stato auspicato un ‘nuovo inizio’ nei rapporti con il mondo musulmano.
La perfetta convergenza tra la linea operativa qatariota e quella statunitense, già manifestatasi nello scenario libico, si è riprodotta anche nel teatro siriano quantomeno a partire dal 2012. Ciò ha tuttavia fatto sorgere alcune preoccupazioni a Raid, come confermato da Hamad bin-Jassim bin-Jaber al-Thani, il quale ha svelato al ‘Financial Times’ la ‘competizione’ che il suo Paese aveva ingaggiato con i sauditi per assumere il controllo di queste brigate islamiste internazionali: «quando abbiamo iniziato a interferire sulla scena politica siriana (attorno al 2012) eravamo sicuri che il Qatar avrebbe rapidamente assunto la guida delle operazioni, in parte per la riluttanza dei sauditi a interferire in quel Paese. Poi però la situazione cambiò, la monarchia saudita decise di intervenire direttamente e ci chiese di sederci sul sedile posteriore. Questo portò a una competizione tra noi e loro che non si è rivelata salutare».
È in questo contesto di tensione che è maturata la decisione dei sauditi, preoccupati dall’attivismo qatariota, di garantire l’appoggio finanziario ai militari egiziani guidati dal generale al-Sisi affinché schiacciassero sia politicamente che fisicamente la Fratellanza Musulmana allo scopo di far tramontare la prospettiva di ‘Islam politico’ che mette in discussione la legittimità religiosa della casa al-Saud. Come ha ricordato Zvi Mazel, ex ambasciatore israeliano al Cairo, «quando il presidente Gamal Nasser alla metà degli anni ’50 espulse i leader dei Fratelli Musulmani, questi si rifugiarono in Qatar, allora colonia britannica, forgiando un’intesa con le tribù locali rendendole le interpreti di un fondamentalismo ostile a quello dell’Arabia Saudita […]. La tribù al-Thani del Qatar predica il fondamentalismo d’esportazione, quello dei Fratelli Musulmani, e punta a rovesciare i regimi arabi esistenti».
Il sostegno di Washington alle ambizioni qatariote, incentrate sull’appoggio a movimenti connessi alla Fratellanza Musulmana, ha determinato un allontanamento del Cairo da Washington dopo il golpe di al-Sisi, reso possibile dalla decisione dell’Arabia Saudita di sostituire con propri finanziamenti gli aiuti economici statunitensi all’Egitto, bloccati temporaneamente in seguito al rovesciamento del presidente Morsi. Successivamente, al-Sisi ha restituito il favore, trasmettendo a Riad e ad Abu Dhabi informazioni raccolte dall’intelligence egiziana circa un ambizioso piano operativo organizzato da alcune cellule della Fratellanza Musulmana intenzionate a rovesciare i governi di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti mediante due golpe simultanei.
La soffiata del Cairo ha permesso alle autorità saudite ed emiratine di individuare ed arrestare in tempo i congiurati, e posto Riad e Abu Dhabi nelle condizioni di pretendere dal Qatar il ritiro immediato del proprio appoggio alla Fratellanza. La débâcle subita ha indotto l’emiro Hamad bin-Khalifa al-Thani a rassegnare le dimissioni, consentendo ai Saud di prendersi una sonora rivincita e di ridimensionare le aspirazioni qatariote di egemonia in sede di Consiglio per la Cooperazione del Golfo.