«Il modello di sviluppo del Gujarat, che è ormai salutato dai media mainstream come il modello da replicare su scala nazionale, si basa su un’attenta repressione dei fatti». A rilasciare questa dichiarazione è l’attivista per i diritti umani Shabnam Hashmi, co-fondatrice dell’ANHAD (Act Now For Harmony and Democracy), organizzazione non governativa nata nel marzo 2003 per promuovere la tolleranza ed il dialogo interculturale tra le varie comunità confessionali indiane. Il suo intervento si è infatti svolto ad una conferenza intitolata “Il Modismo e sfide alla diversità religiosa”, organizzata dal Secular Collective and the Keluettan Study and Research Centre lo scorso febbraio.
La ONG nacque proprio in risposta ai pogrom anti-musulmani consumatisi pochi mesi prima nello Stato del Gujarat nel secondo anno del governatorato locale di Narendra Modi, accusato ancora oggi di aver coperto i fondamentalisti indù responsabili di quel massacro. Oggi, Modi è il candidato dei conservatori del Bharatiya Janata Party alle elezioni politiche che si terranno nel corso del prossimo mese e mezzo. Un candidato che porta il “Modello Gujarat” come dote della sua esperienza politica, ma soprattutto sotto il profilo socio-economico.
L’elevata crescita economica di cui il Gujarat è stato protagonista degli anni ‘2000 (10% nel 2000-2010) ha fatto parlare la pubblicistica internazionale di un “Guangdong dell’India”, con riferimento alla nota regione della Cina meridionale prospiciente Hong Kong, protagonista dell’industrializzazione cinese degli ultimi 30 anni. Con solo il 6% della popolazione indiana, il Gujarat detiene un decimo di tutte le imprese del Paese, ed un quinto di tutte quelle quotate sull’ancor arretrato mercato azionario nazionale. Lo Stato conta per oltre un sesto dell’export nazionale, è l’unico della Federazione ad essere un esportatore netto di energia elettrica ed è sede del più grande impianto di raffinazione petrolifera che esista al mondo. Un progresso economico che però, secondo i critici, sarebbe andato a vantaggio solo delle classi sociali urbane più elevate. Il Gujarat è infatti divenuto attraente grazie ad una legislazione fiscale per le imprese molto generosa, riflettutasi in poca spesa pubblica in educazione, sanità e servizi. Ma anche con una politica di bassi salari e licenziamenti facili, che avrebbe incentivato sfruttamento e condizioni di lavoro discutibili.
Proprio su questi punti si sono appuntate fino ad ora le critiche al “Modello Gujarat” di attivisti, ONG e della sinistra politica, l’ultima in ordine di tempo ad attaccare frontalmente il supposto miracolo economico di Narendra Modi. Lo scorso 24 marzo, i leader del Partito Comunista dell’India (CPIM) hanno presentato in una conferenza stampa un doppio rapporto contro Modi; il primo è stato un opuscolo “in difesa della laicità” e contro il settarismo confessionale del BJP, il secondo un’ulteriore mini-volume diretto a smontare in cifre i meriti dello Stato. Durante il Governatorato di Modi – vi si legge- il tasso di occupazione nel Gujarat in cifre assolute sarebbe cresciuto solo dello 0,4% annuale, una vera e propria “jobless growth” lontana anni luce dagli altri miracoli asiatici. Il tasso di abbandono scolastico locale è del 58%, tra i più alti in assoluto in tutta India e perfino dell’intera Asia Meridionale.
Il miracolo economico sarebbe poi strettamente rinchiuso nei recinti dei centri urbani, ed in particolar modo i vanti di Modi in materia di infrastrutture non sarebbero circostanziati dalla realtà. Ancora oggi, nelle zone di campagna del Gujarat, il 90% della popolazione rurale spende fino a tre quarti del proprio reddito per acquistare cibo e beni primari, con capacità di largo consumo pari a zero. In queste aree, la rete elettrica non funzionerebbe più di 5/6 ore al giorno, e per ottenere un allacciamento ci vogliono fino a 5 anni di attesa. L’acqua potabile invece giunge a giorni alternati o addirittura una sola volta a settimana.
Fino alla conferenza di Shabnam Hashmi, però, nemmeno i comunisti si erano spinti al punto di mettere in discussione le stesse cifre macro della crescita economica dello Stato, cosa che l’attivista ha apertamente fatto nel corso del suo intervento. «Il cosiddetto Vibrant Gujarat è stato proiettato su tutti i media nazionali come un veicolo di centinaia di milioni di dollari di investimenti. Ma di tutti i Memorandum d’Intesa tra governo locale ed investitori tra il 2003 e il 2009, solo l’8% è stato effettivamente ultimato». I tassi di crescita del Gujarat, pur sorprendenti, negli anni del governo Modi sarebbero diminuiti rispetto ai due decenni precedenti . Se poi oltre alla pura economia si guarda da vicino gli indici di sviluppo umano, il Gujarat impallidisce di fronte a molte delle altri componenti della Federazione. Secondo la Hashmi lo Stato non avrebbe visto alcun aumento relativo nei posti di lavoro. Diecimila laureati residenti sarebbero tutt’ora disoccupati, e tra le piccole e medie imprese il saldo degli ultimi dieci anni sarebbe addirittura negativo. Il Gujarat è inoltre solo tredicesimo tra tutti gli Stati per livello medio salariale, sotto la media nazionale.
Che il Modello Gujarat sia un business friendly solo per grandi capitali lo testimonierebbe anche la politica di Modi in materia di espropri per finalità industriali. Tra le decine di aziende che hanno pubblicamente espresso il loro sostegno al candidato conservatore, vi sarebbero beneficiari di vere e proprie regalie di terreni. Appezzamenti tolti ad agricoltori e pescatori con indennizzi poco più che simbolici, la cui consistenza sarebbe diminuita drammaticamente durante i suo 10 anni in carica; “Le statistiche sul numero di contadini suicidi per debiti – conclude la Hashmi- sono infatti allarmanti” Lo Stato, propagandato da Modi come uno dei meno interessati da tumulti sociali e rivolte, è invece stato costantemente tra i primi cinque in classifica nelle statistiche per violenze sia di natura economica che etnica o confessionale.
Le accuse al “Modello Gujarat” non sembrano però essere riuscite a scalfire in maniera significativa l’elevata popolarità dell’ex Governatore, il quale avrebbe anzi incassato un endorsement non da poco – per quanto indiretto- da parte statunitense. Il 13 febbraio scorso l’ambasciatrice americana in India, Nancy Powell, si è incontrata con l’ex Governatore, rompendo un boicottaggio diplomatico nei confronti del leader del BJP che gli Usa perseguivano da ormai 13 anni dopo i pogrom anti-musulmani nel suo Stato. Il 29 marzo la stessa Powell si è poi precipitosamente dimessa dal suo ruolo ed è rientrata negli Usa. Sono in molti gli osservatori ad indicare la consequenzialità tra il meeeting e le dimissioni con le volontà di Washington di togliere Modi dalla lista nera per avvicinarlo in caso di vittoria, ritirando poi la mano per evitare accuse di manipolazioni elettorali.