Il cosiddetto ‘Presepe del Re’ è esposto per la prima volta nel Museo Nazionale di Arti e Tradizioni popolari a Roma dal 20 dicembre scorso al 2 marzo del prossimo anno. Fa parte di quella tradizione napoletana che ebbe notevole impulso sotto Carlo III di Borbone (1716-1788), re di Napoli e delle Due Sicilie, grazie alla personale passione del sovrano per l’allestimento dei presepi che –divenuta una vera e propria moda presso i nobili di corte e poi in tutto l’ambito napoletano– ne permise la trasmissione attraverso i secoli.
Tra il 1908 e il 1910 furono raccolte da Lamberto Loria e dai suoi collaboratori come Francesco Baldasseroni, Salvatore Di Giacomo e Pietro D’Achiardi, quasi mille figurine di ‘pastori’ (così si chiamano le statuette che compongono il presepe, indifferentemente se si tratta di angeli, re magi o altro) per la grande mostra di Etnografia da lui allestita nel 1911 a Roma nel quartiere Prati e destinata a celebrare il Cinquantenario dell’Unità d’Italia.
I pezzi furono scelti con grande perizia, grazie alla competenza e alla professionalità degli esperti cui Loria si era rivolto per tale impresa. D’altronde, come testimoniano i documenti, nelle intenzioni di Loria per l’Esposizione del 1911 dovevano essere utilizzati solo i migliori esemplari di ‘pastori’ a testimoniare l’altissima qualità dell’artigianato napoletano fra Settecento e Ottocento.
Benché acquisiti nel corso di vari anni, presso privati, collezionisti e soprattutto sul mercato antiquariale (a Napoli, ma anche a Firenze e a Roma), gli oltre mille ‘pastori’ dopo tale occasione furono raccolti ed ammassati nei depositi del Museo, e per un certo periodo conservati a Villa d’Este a Tivoli, dove originariamente si pensava di allestire il complesso museale, evocato ora da un particolare del paesaggio sullo sfondo, con l’inconfondibile tempio tondo che domina le famose cascate dell’Aniene. Questi mostrano una sostanziale unità, in primo luogo dovuta alla loro superba qualità esecutiva e poi in seconda istanza ai materiali di pregio con cui furono rivestiti, che rende il presepe delle collezioni statali ora esposto al pubblico un manufatto della massima importanza. In particolare la Madonna che solleva il velo per mostrare il Bambino Gesù agli astanti appare molto bella nel suo raccoglimento e simile a quelle dei dipinti dell’epoca.
Pur non conoscendo i nomi dei vari ‘figurari’ (ovvero degli artigiani che fra Sette e Ottocento realizzarono i pastori raccolti da Loria), tuttavia alcuni esemplari risultano riferibili all’ambito della scuola del Sammartino o alla cerchia di Francesco Celebrano, grande plasticatore e direttore dei ‘modellatori’ della Real Fabbrica di porcellane a Capodimonte sotto re Ferdinando IV.
L’allestimento attuale è opera del Maestro Nicola Maciariello, celebre allestitore di presepi napoletani, cui si deve il grande impianto scenografico con colline, ruderi e rocche su cui si aprono le abitazioni popolate dai molteplici personaggi, il tutto curato insieme a Nicolò Giacalone, mentre le luci sono di Stefano Sestili. Le figure che compongono il presepe intendono dare una fedele rappresentazione della vita e delle attività che si svolgevano allegre e febbrili nelle strade di Napoli fra Sette e Ottocento, tanto che uno scorcio del golfo partenopeo è visibile sullo sfondo, e alcune barche si scorgono in secca ai piedi di uno scoglio, sormontato da una casetta dove si affacciano dei popolani. Molti personaggi, di rango più elevato, sono rappresentati con abiti in stoffe pregiate quali broccati, damaschi e sete di San Leucio, la manifattura del re borbonico, intessute con fili d’oro e guarnite da ricami, pizzi e addirittura perle (del genere di fiume) e gemme minuscole, ad imitazione di quelle dei nobili dell’epoca.
Il corteo orientale dei Magi, anch’essi con ricche vesti e grandi turbanti colorati, che arrivano a rendere omaggio al Bambino Gesù, rappresenta una conferma dei contatti diplomatici che il regno di Napoli intratteneva con quello ottomano. Le fonti narrano infatti di un fastoso corteo di cinesi e di genti orientali in città alla metà del Settecento, che dovette molto colpire la fantasia popolare tanto da essere ricordato nelle scene presepali.
L’iconografia del presepe secondo la tradizione nasce dal sogno fatto dal pastore Benino o Benito, addormentato nella sua capanna di frasche o sulla nuda pietra in alto nel monte, nel quale fu avvertito della nascita del Redentore che avrebbe reso il mondo migliore apportando prosperità. Il paesaggio del presepe allude così all’uguaglianza tra ricchi e poveri agli occhi del Signore, e al benessere da Lui apportato all’umanità secondo il sogno di Benino.
Un’altra tradizione più colta vuole che il presepe si fosse sviluppato a seguito della visione avuta durante il periodo natalizio da San Gaetano Thiene nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma, dove in un’apposita cappella si credeva che l’imperatrice Elena avesse depositato i resti della culla del Bambino Gesù portata dalla Palestina; visione secondo la quale la Madonna avrebbe offerto al Santo la visione di Gesù neonato.
Il mondo rappresentato nel presepe mostra la creatività e la produttività umana ai massimi livelli: tutto è in movimento e in prosperoso sviluppo, in un’atmosfera vivace di letizia e serenità.
Al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari sono esposti permanentemente altri due presepi napoletani del Settecento, uno dei quali è un recente dono dei coniugi Verduzzo che, non avendo figli, hanno voluto darlo a tale istituzione perché non si disperdesse. Seppure di minore pregio, i due esemplari rappresentano uno spaccato del mondo delle Due Sicilie, sia nelle tipiche costruzioni, sia nella riproduzione di alberi e piante locali (vi compare ad esempio l’agave), sia nei pastori vestiti con costumi propri delle regioni Abruzzo, Molise, Campania e Calabria che facevano parte di questo regno.
Abbiamo parlato con Stefano Sestili, funzionario del MAT, nonché curatore delle luci del ‘Presepe del Re’.
Dove avete ritrovato questo presepe? In che occasione è arrivato al Museo?
Le statuette erano in casse di cartone e plexiglass all’interno dei depositi, gli apparati scenografici erano in materiali effimeri e si sono così deteriorati nel corso del tempo. Il presepe nasce dalla raccolta di ‘pastori’ che Lamberto Loria, etnologo, effettuò in tutta Italia per arricchire la Mostra di Etnografia Italiana per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia nel 1911.
A che periodo risale il presepe?
Il presepe in questione è stato costruito tra il 1750 e il 1800. È stato realizzato nel periodo di regno di Carlo III di Borbone, in cui Napoli era parte del regno delle Due Sicilie. Nella città si tenevano diverse rappresentazioni teatrali e quindi molta della scenografia del presepe deriva da tali illustri esempi; il re stesso era un appassionato di simili allestimenti, li curava personalmente, e determinò addirittura una moda presso la sua corte, che per imitarlo intensificò la produzione di presepi; anche la regina Amalia di Sassonia fu coinvolta in tale tendenza e pare che cucisse essa stessa per diletto gli abiti dei pastori con stoffe preziose, talora ricamandoli.
Quante figure compongono il presepe e che particolari caratteristiche hanno?
Le figure che compongono il presepe oggi allestito al MAT sono 225 delle 1000 totali esistenti, compresi anche gli animali. Esse sono in terracotta dipinta (per gli umani soltanto le parti esposte o ignude), hanno gli occhi di vetro e uno scheletro di ferro dolce con imbottitura di stoppa che ne facilita la messa in opera in varie posizioni. I denti delle figure sono di avorio. Questi ‘pastori’ presentano la stessa tecnica esecutiva delle sculture in legno del Seicento e del Settecento. Il presepe ha un’estensione pari a 42 m2 in totale.
Chi si è occupato di ricostruire le scenografie del presepe andate disperse?
Se ne è occupato il noto artigiano Nicola Maciariello, nato a Priarolo ed ex funzionario della SIP, con una passione per tali scenografie, che ha montato il presepe in due settimane. Le strutture sono realizzate in cartone, poliuretano espanso e tela di sacco incollata al di sopra, e poi dipinte. Le scenografie originali sono state ricostruite tramite due gouaches del Settecento. Le chiese, i portici, i castelli, che sono rappresentati in questo presepe derivano dai tanti edifici storici visitati in Italia da questo maestro; in particolare le fontane, presenti nell’opera in numero di quattro, sono collegabili alle sorgenti e quindi al divino. Il pozzo, invece, visibile in primo piano, con una bella figura di zingara seduta sulle scale, rimanda al mondo sotterraneo e quindi agli Inferi. L’artigiano ha anche ricostruito i fiori nei vasi esposti sui balconi o le terrazze, mentre gli alberi, come quello in primo piano sulla sinistra, presso il dormiente Benino, sono realizzati con rami veri, o i cipressi sullo sfondo sono stati ottenuti con un ramo portante ricoperto di muschio appositamente tagliato per dargli la forma allungata.
Avete restaurato il presepe? Ci può dire come si è agito e cosa si è fatto?
Molto vasellame è stato ricostruito ai primi del Novecento, così come altre piccole parti sui banchi del mercato, come le carni, i pesci e le verdure sono state rifatte ai nostri giorni. Da notare l’uso di reali minuscole telline di mare da parte dello scenografo, che le ha scelte tra le più piccole trovate davvero sulla riva, o l’utilizzo di vere zucche miniaturizzate come quelle recate su un carretto da una venditrice in primo piano. Si sono restaurati inoltre mobili o stipetti nello stile dell’epoca per appoggiarvi la merce.
Qual è il pezzo che l’ha colpita di più del presepe e perché?
Quello del mandriano costruito interamente in terracotta dallo scultore settecentesco Giuseppe Sammartino o dalla sua bottega. Esso è morfologicamente perfetto: un vero nudo accademico realizzato secondo le corrette proporzioni umane in forma terzina, ossia pari a un terzo della statura media di un uomo dell’epoca.
Il presepe è stato mai montato prima?
In questa forma, no. Era rimasto nei depositi del museo per anni, ma non è stato mai rimontato. In funzione di questo è stato anche assicurato per tre milioni di euro.