In Francia dilaga una nuova epidemia: la sinistrosi. Non si tratta dell’omonima patologia medica, ma semplicemente di un «pessimismo ricorrente ed eccessivo», come si legge nei dizionari. Semplicemente, forse, non è un avverbio adatto a descrivere la situazione. Perché la sinistrosi non è solo un capriccio, ma ha delle cause – e delle conseguenze – economiche, sociali e soprattutto politiche.
Prima di tutto, diamo un’occhiata alle cifre. Negli ultimi mesi, il morale dei francesi sembrava essere migliorato. Ma, a novembre, la situazione ha ricominciato a deteriorarsi. Secondo un sondaggio CSA per BFMTV pubblicato alla fine del mese scorso, il 72% della popolazione è «pessimista per il futuro della società francese», e il 47% è «pessimista per il proprio futuro». Il pessimismo colpisce tutte le età, giovani e vecchi, ma è particolarmente forte per alcune categorie professionali, come gli operai e gli impiegati (74% contro il 58% per i quadri).
Il fatto che lo scoramento regni soprattutto nel ceto medio rivela, se ce ne fosse bisogno, la connessione tra l’ottimismo e l’economia. La crisi continua a imperversare, si sente parlare ogni giorno di chiusure e licenziamenti, il potere d’acquisto diminuisce e le tasse aumentano. E chi dice economia dice società: non sono in pochi a pensare che la Francia sia sull’orlo dell’esplosione sociale, in particolare agli estremi dell’arco politico, a destra come a sinistra.
E chi dice economia e società dice politica. Alla fine, la colpa della demoralizzazione ricade sul Presidente della Repubblica e sul suo governo. François Hollande aveva promesso «l’inversione della curva della disoccupazione» entro la fine dell’anno. Qualche segnale d’incoraggiamento c’è stato, ma la questione del lavoro è ancora un problema. Il Capo dello Stato aveva inoltre annunciato una riforma fiscale, della quale ha parlato anche il Primo Ministro Jean-Marc Ayrault poche settimane fa. Ma, per il momento, poco è stato fatto, e i francesi vedono solo l’aumento delle tasse e dei tagli limitati alla spesa pubblica.
Questo pessimismo ha un costo. Innanzitutto politico, perché Hollande e Ayrault hanno raggiunto il minimo storico di popolarità. E poi economico. La sinistrosi costerebbe 20 miliardi di euro, ovvero 300 euro a persona, secondo la Banca Pubblica d’Investimento. Si tratta solo di stime e non di una vera e propria analisi. Questi dati, però, sono un indice del fatto che la mancanza di ottimismo induce al ripiego su se stessi. Quindi, si limitano le spese e i consumi, e si evita di fare investimenti a lungo termine. Non si sa cosa potrebbe accadere domani, meglio limitare i rischi.
Secondo François Brottes, parlamentare socialista, la colpa sarebbe anche dei media. Dipingendo ogni giorno uno scenario drammatico, radio, giornali e tv non farebbero che alimentare il malcontento e lo scoraggiamento.
È tutta colpa della stampa? Un po’ di ottimismo potrebbe migliorare lo scenario politico, economico e sociale? Abbiamo fatto queste domande a Dominique Andolfatto, docente di Scienze Politiche all’Université de Bourgogne e autore de I Sindacati in Francia (La documentation française, 2013).
La sinistrosi è un fenomeno nuovo nella società francese?
Questo pessimismo dei francesi non è nuovo. È da qualche anno che diverse inchieste, e soprattutto dei sondaggi, lo mettono in rilievo. Lo scorso ottobre, nella sua nota di congiuntura sociale, Entreprise & Personnel, una sorta di think tank del mondo aziendale, cercava di comprendere questo fenomeno che resta, a suo dire, «un vero mistero», perché la Francia conserva delle qualità e, in particolare, uno Stato Sociale che, anche indebolito, permette di ammortizzare le conseguenze della crisi. Ma questo non esclude la crescita del pessimismo che spiegano la perdita di fiducia nel futuro, la paura del ceto medio, in particolare, di perdere il suo status sociale, il timore di un declassamento per sé o i propri figli. L’aumento sensibile della pressione fiscale nel 2013, la perdita del potere d’acquisto che ne deriva, hanno aggravato questa «sinistrosi». Questo rende sempre più angosciante la visione del futuro e acuisce il sentimento di un declino collettivo.
Quali sono le cause principali del pessimismo dal punto di vista politico?
Il contesto attuale, le delusioni che hanno fatto seguito al ritorno dei socialisti al potere, senza che ci sia per il momento una vera nostalgia per il «sarkozysmo», stanno favorendo il Front National (ovvero l’estrema destra), verso il quale le intenzioni di voto non sono mai state così alte. Il malcontento si esprime anche attraverso numerosi movimenti più o meno populisti, che mettono in causa il ruolo delle élites, e dei movimenti di categoria che si considerano vittime delle decisioni politiche attuali. Allo stesso modo, il matrimonio per tutti, poi la contestazione contro il fisco hanno alimentato molte manifestazioni, in Bretagna ma anche in una quarantina di altri dipartimenti [le province francesi, ndr]. Molte categorie o settori si sono mobilitati o restano sul chi vive: agricoltori, camionisti, artigiani, piccoli imprenditori, start up, capi d’azienda, insegnanti, gli ambienti cattolici… Questi movimenti si sono sviluppati molto spesso al di fuori del canale abituale delle organizzazioni sindacali, spesso vicine al potere, o giudicate troppo lontane da coloro di cui dovrebbero rappresentare gli interessi.
Questo fenomeno riguarda tutta le categorie o solo alcune?
Il pessimismo è un fenomeno che caratterizza soprattutto il ceto medio che si sente aspirato in un «discesa sociale» (ovvero il deteriorarsi delle loro condizioni di vita). Gli imprenditori, anche loro pessimisti, si ritengono il bersaglio di molte misure che considerano ingiuste e anti economiche. Il Presidente della Confindustria francese spiegava di recente: mentre noi andiamo al fronte (per l’economia francese), il governo ci spara alle spalle! Da quel momento, prevale un certo fatalismo. Certo, le categoria più modeste non sono risparmiate dalla crisi, nonostante gli ammortizzatori sociali. Ma è piuttosto la disperazione che andrà a caratterizzare le categorie che alimentano una sorta di nuovo lumpenproletariat.
Una maggiore fiducia nei politici consentirebbe al governo di migliorare non solo la sua popolarità, ma anche le sue performance?
La fiducia al momento è molto scarsa. Solo un quinto dei Francesi fa affidamento sul Capo dello Stato. È il livello di fiducia più basso dall’inizio della Quinta Repubblica (1958). In realtà, i francesi esprimono la loro diffidenza nei confronti dei loro rappresentanti politici da molti anni… pur partecipando abbastanza consistentemente alle diverse elezioni. Hanno anche più fiducia nei loro sindaci. Naturalmente, se la fiducia aumentasse, questo faciliterebbe la missione del governo. Detto questo, sono pochi i governi che in situazione di crisi hanno la stima del popolo. Soprattutto quando fanno delle vere riforme. E spesso perdono le elezioni. Guardate l’esempio di Schröder in Germania nel 2005.
I media esasperano la situazione?
Non credo. E degli studi hanno dimostrato che i media non creano l’opinione. Si attengono semplicemente al loro ruolo, ciascuno chiaramente con la propria identità, e in un certo contesto economico. Detto questo, si compiacciono dell’indecisione, delle contraddizioni o della mancanza di risultati dei «decisionisti» politici. Spesso non sono indulgenti. Ma a volte vorremmo che i media si copiassero meno tra di loro e sviluppassero delle inchieste approfondite, delle indagini… Nondimeno, contribuiscono a rendere più comprensibile come funziona (o non funziona) la scatola nera della politica.