martedì, 28 Marzo
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Il Paese che si inventa una vita

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Amman – Una nuova serie di attentati, obiettivi estremamente mirati, e attenzione mediatica senza precedenti. Non c’è un Governo e non lo si avrà probabilmente fino a fine anno. Un conflitto devastante è scppiato lungo i suoi confini terrestri -in Siria-, e minaccia costantemente di contagiarlo. Un milione di profughi si sono riversati al suo interno mettendo in ginocchio il suo welfare e le sue infrastrutture, oltre a sfasare completamente ogni meccanismo economico interno e il già traballante mondo del lavoro. Una serie di potenze internazionali utilizzano il suo striminzito suolo come teatro dove ristabilire influenze continentali.
Questa è la situazione di Beirut, al momento. E il Paese, in un modo o nell’altro, si regge in piedi, ancora.
E’ estremamente complicato spiegare al pubblico europeo la situazione che vi è nel Paese dei Cedri, il come, malgrado tutto, il Paese regga. Secondo alcuni osservatori, la motivazione risiede nella storia. Il Libano è indipendente dal 1943, ma da allora ha trascorso quasi tutto il tempo in conflitto, il più delle volte con Israele, con cui non è mai stato siglato un accordo di pace, ma anche al suo interno, logorato da una guerra civile che si è protratta per quindici anni fino al 1990, un’emergenza costante. “La popolazione libanese in questo marasma di conflitti ha dovuto inventarsi una vita“, ci dice Lorenzo Trombetta, Responsabile ‘Ansa’ per il Libano, e Direttore del portale ‘SiriaLibano’. Una calma apparente, ma comunque sufficiente per farlo diventare il Paese più colorato e allegro del Mashrik, come se ogni giorno vissuto a Beirut fosse potenzialmente l’ultimo, senza che mai lo sia.

Trombetta, com’è la situazione a Beirut al momento?
La situazione a Beirut è quella di una città che continua a vivere una vita tranquilla. Nelle zone in cui avvengono gli attentati, ovviamente, la tensione sale, ma sostanzialmente la città è abituata a vivere queste tensioni e queste ondate improvvise di violenza, ma tutto viene comunque contenuto nell’equilibrio urbano consueto.

Come può uno spettatore occidentale capire le logiche che stanno evolvendosi in questo momento in Libano?
Il Paese è esposto, in questo momento, a situazioni da un certo punto di vista inedite, come la guerra in Siria, ma nonostante siano passati quasi tre anni dall’inizio del conflitto ha dimostrato di essere estremamente flessibile e di riuscire non solo a tenere, nonostante le difficoltà, ma anche di sapere resistere all’arrivo sempre maggiore di profughi ed anche di contenere, almeno a livello nazionale le tensioni e gli episodi di violenza che si verificano sul territorio ma che rimangono circoscritti sia a livello cronologico che geografico. La popolazione libanese in questo marasma di conflitti ha dovuto inventarsi una vita.

E’ quindi la Siria la principale fonte di instabilità del Libano?
I contesti siriano e libanese sono da sempre politicamente, culturalmente, geograficamente, militarmente interconnessi fra loro. Le violenze in Siria sono da guardare in un contesto più ampio che comprende l’Iraq, e quello che sta succedendo nell’Iraq occidentale, sia i recenti avvenimenti nel Libano Orientale. I confini nazionali sotto quest’ottica non sempre sono sufficienti per capire le crisi, bisognerebbe non considerarli alcune volte per leggere adeguatamente ciò che sta accadendo. Ecco perchè se è corretto dire che la crisi libanese può essere considerata riflesso della crisi siriana, è altrettanto corretto considerare che le tensioni pre-esistenti in Libano possono essere considerate concause della crisi siriana.

Lungo l’area di confine di Naqoura ci sono ancora i contingenti internazionali Unifil. Come procede la missione?
La missione procede nel migliore dei modi, è una delle aree più tranquille del Medio Oriente in questo momento. Hezbollah, che domina la regione, al momento non ha interesse ad aprire un nuovo fronte con Israele, ne Israele ha motivo di aprire un nuovo fronte con Hezbollah nel sud del Libano. Il Generale a capo della missione in questo momento è italiano, chiaramente opera a capo di un contingente internazionale che fa capo a New York alle Nazioni Unite. La forza italiana con quella francese numericamente sono quelle occidentali più numerose. L’Italia comanda le operazioni nel settore Ovest di responsabilità Unifil.

In seguito all’escation di Dicembre, che ha visto morire l’ex Ministro Chatah, il Presidente Suleiman che si trovava a Riad con l’ex Primo Ministro Hariri ha accusato Hezbollah di essere la causa delle tensioni ed ha annunciato un riequipaggiamento dell’esercito regolare libanese sotto fornitura francese. Come va interpretata questa dichiarazione?
E’ in atto una guerra, che vede contrapporsi rivali regionali come Arabia Saudita e Iran, ognuno usa i propri agenti sul terreno per colpire la controparte. Non sempre i mandanti sono gli stessi, in alcuni casi è più semplice identificarli o intuire con maggior certezza il responsabile, in altri casi è più complicati. L’attentato del 27 Dicembre rientra nella serie di attentati contro personalità anti-siriane o anti- iraniane e di conseguenza è più logico pensare che i mandanti siano appartenenti a questo fronte. Nel caso invece dell’assassinio del membro di Hezbollah avvenuto il 4 Dicembre, una serie di indizi portano invece a pensare che il mandante sia Israele. Ogni caso va quindi considerato in un contesto, ma anche nella sua situazione particolare.

Per quello che riguarda i rapporti fra Italia e Libano, il 1978 ha segnato l’inizio degli scambi economici. Come sono le relazioni fra due Paesi al momento?
Italia e libano hanno tradizionalmente buoni rapporti economici, l’Italia è il primo partner europeo del Libano, durante l’ultima visita del Presidente del Consiglio Enrico Letta tra i vari temi affrontati con i colleghi libanesi si è discusso delle privatizzazioni di alcuni settori pubblici italiani che sono stati di fatto offerti agli investitori libanesi, aprendo quindi agli imprenditori libanesi la possibilità di incrementare gli scambi economici con l’Italia. Possiamo quindi dire che i rapporti fra i due Paesi sono più che cordiali.

Politicamente, invece?
L’Italia lavora in un quadro mediterraneo, nel particolare in un quadro di alleanza occidentale, non ha un peso politico specifico.
Cerca di lavorare in maniera coordinata coi suoi alleati occidentali, mediando o scostandosi lievemente solo in funzione di tutela della sua posizione che , a differenza dei suoi alleati occidentali, deve tenere conto della posizione centrale nel Mediterraneo. Ma nelle grandi questioni sensibili, la politica estera italiana viene diluita nelle scelte dei grandi Paesi occidentali quali Francia e Stati Uniti.

 

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