Per tentare di venire a capo della situazione, abbiamo consultato Claudio Bertolotti, esperto dell’area mediorientale e collaboratore di centri studi come lo Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (ITSTIME), e l’Istituto per gli Studi di Politica Estera (ISPI).
Secondo Claudio Bertolotti, “oggi Hariri, che è e rimane Primo Ministro in quanto il Presidente Michael Aoun ne ha congelato le dimissioni, paga certamente il prezzo di un’eredità importante: l’essere il figlio di Rafīq al-Hariri, il martire ucciso nel 2006, pur senza averne la forza politica e, soprattutto, il forte sostegno di base”. La debolezza politica di Sa’d Hariri ha fatto sì che Hezbollah, il Partito di Dio di ispirazione sciita legato all’Iran (e da questo finanziato), acquisisse un ruolo sempre più importante nella politica libanese; a sua volta, l’importanza sempre maggiore di Hezbollah ha contribuito ad indebolire ulteriormente il Governo di Hariri. In effetti, ci spiega Bertolotti, “l’opposizione e parte dell’opinione pubblica, indicano Hezbollah come attore politico sempre più influente e in grado di dare una forte impronta politica al governo del Libano: non per niente tra i primi discorsi del presidente Michel Aoun, spicca quello in cui afferma la necessità di un ruolo di primo piano di Hezbollah, soprattutto in virtù della sua capacità di operare come strumento armato per l’interesse del Libano”.
La tradizione multi-confessionale del Libano si basa su degli equilibri rari per l’area. Non è un caso che il Primo Ministro Hariri sia un musulmano sunnita mentre il Presidente Aoun sia un cristiano maronita. In questo sistema di equilibri, la crescita del movimento più importante della componente musulmana sciita, secondo alcuni, rischia di rompere quegli equilibri interni che hanno mantenuto la precaria pace degli ultimi anni. Più che all’interno, però, la crescita di Hezbollah preoccupa gli Stati vicini tra cui, appunto, l’Arabia Saudita.
D’altro canto, “il ruolo di Hezbollah è stato conquistato sul campo di battaglia siriano contro il cosiddetto Stato Islamico, al fianco dell’Iran”. Si tratta, dunque, di un ruolo che, da un lato, è stato ottenuto grazie al forte contributo dato ad una guerra che interessa il Paese da vicino, ma, dall’altro, non può che preoccupare tutta una serie di Paesi che, nell’area, svolgono ruoli importanti. In effetti, spiega Bertolotti, “Hezbollah, per gli Stati Uniti, è un’organizzazione terroristica ma, nei fatti, è oggi la più forte e capace fanteria leggera dell’intero Medio Oriente”; inoltre, continua, la crescita del peso del partito sciita in Libano è avvenuta “con buona pace ma giusta preoccupazione da parte di Israele, che di certo non è rimasto a guardare in questi anni ma che non ha potuto che prendere atto del cambio degli equilibri interni al Libano così come di quelli dell’intero arco regionale”. Si tratta, dunque, di una “dinamica in cui la nomina dell’ambasciatore libanese a Damasco ha ufficializzato e confermato la legittimità di Bashar al-Assad, scelta non apprezzata ovviamente da Israele che nell’asse Assad-Hezbollah e Iran vede un’unione di forze che è recepita come vera e propria minaccia”.
Nel suo discorso tenuto a Riad, infatti, Hariri ha criticato duramente la politica dell’Iran in Libano, accusando Teheran di essere “finanziatore e sostenitore di Hezbollah in un’ottica di destabilizzazione interna al Libano”. Da parte sua, l’Iran, “messo sempre più alle strette sul piano delle relazioni internazionali dall’amministrazione statunitense, vede crescere sempre più l’ostilità degli attori regionali, in particolare quelli dell’area del Golfo, fortemente consolidati su una politica di collaborazione con Washington”. La politica di sostegno ad Hezbollah, dunque, è per Teheran una questione di fondamentale importanza: attraverso l’aumento dell’influenza sciita nel Paese, gli iraniani puntano a spostare Beirut su posizioni più favorevoli alla propria politica: i successi riportati dalle truppe regolari di Teheran e dai volontari sciiti, che si affiancano ad esse nella lotta contro Daesh, hanno portato alla creazione di un cosiddetto ‘corridoio sciita’, una vasta area controllata da uomini vicini all’Iran che va dalla Siria al Libano.
Da parte sua, invece, l’Arabia Saudita gioca un duplice ruolo nella vicenda. Secondo Bertolotti, da un lato, “il ruolo di Riad è certamente simbolico, in quanto alleato storico degli Stati Uniti”, dall’altro, però, è anche “sostanziale, in quanto i sauditi sono impegnati in una guerra quasi diretta con l’Iran nello Yemen dove i fronti sciita e sunnita si confrontano, non certamente per ragioni di natura culturale o religiosa (questo è il paravento ideologico), bensì per questioni puramente economiche e di equilibri geopolitici”. Gli equilibri geopolitici dell’area, d’altronde, sono “sempre più instabili e a rischio di collasso: dopo l’Iraq e la Siria, c’è il rischio che la situazione in Libano possa andare oltre quello stato di non-pace e di guerra civile latente che lo caratterizza ormai da troppi anni”.
Secondo l’analisi di Claudio Bertolotti, dunque, il ruolo dell’Arabia Saudita sarebbe subordinato a quello di un altro attore: “in questo gioco molto pericoloso, la miccia della miscela esplosiva è rappresentata certamente da Israele, ovviamente preoccupato per la propria sicurezza e per le conseguenze di una guerra combattuta ai propri confini (in Siria), con il rischio di essere stretto da un braccio sciita ancora più forte di quanto non lo fu prima di quella guerra civile siriana”. Nel momento in cui il partito sciita è divenuto, grazie all’apporto dei suoi miliziani, un attore fondamentale nella lotta contro Daesh, il suo peso in Libano è radicalmente aumentato e “per Israele la minaccia è tanto più sentita quanto più il ruolo di Hezbollah si istituzionalizza, con l’appoggio diretto (e reciproco) del Presidente libanese Aoun, che nel ‘Partito di Dio’ vede un elemento ormai imprescindibile per il governo e ‘per la difesa’ del Paese: questa posizione, per Israele, è semplicemente inaccettabile e potrebbe anche portare a uno scontro aperto, leggasi guerra, con il Libano, prima ancora che con Hezbollah”.
L’informazione che non paghi per avere, qualcuno paga perché Ti venga data.
Hai mai trovato qualcuno che ti paga la retta dell’asilo di tuo figlio? O le bollette di gas, luce, telefono? Io no. Chiediti perché c’è, invece, chi ti paga il costo di produzione dell'Informazione che consumi.
Un’informazione che altri pagano perché ti venga data: non è sotto il Tuo controllo, è potenzialmente inquinata, non è tracciata, non è garantita, e, alla fine, non è Informazione, è pubblicità o, peggio, imbonimento.
L’Informazione deve tornare sotto il controllo del Lettore.
Pagare il costo di produzione dell’informazione è un Tuo diritto.
"L’Indro" vuole che il Lettore si riappropri del diritto di conoscere, del diritto all’informazione, del diritto di pagare l’informazione che consuma.
Pagare il costo di produzione dell’informazione, dobbiamo esserne consapevoli, è un diritto. E’ il solo modo per accedere a informazione di qualità e al controllo diretto della qualità che ci entra dentro.
In molti ti chiedono di donare per sostenerli.
Noi no.
Non ti chiediamo di donare, ti chiediamo di pretendere che i giornalisti di questa testata siano al Tuo servizio, che ti servano Informazione.
Se, come noi, credi che l’informazione che consumiamo è alla base della salute del nostro futuro, allora entra.