Un primo censimento sui maggiori think tank italiani. Che cos’è un ‘think tank‘? Letteralmente vuol dire ‘serbatoio di pensiero’, nella realtà è un organismo, di solito indipendente, che si occupa di analisi delle politiche pubbliche e quindi nei settori che vanno dalla politica sociale alla strategia politica, dall’economia alla scienza e la tecnologia e via dicendo. La matrice è americana, il loro compito è produrre dati, informazioni, consigli e previsioni ai policy maker.
In Italia, grazie al mini dossier di Openpolis, ‘Cogito Ergo Sum‘, ne sono stati mappati 65 (tra i maggiori e in attività dal 1950). La nascita di queste fondazioni viene messa in relazione alla crisi della politica e al conseguente allontanamento dai centri dove si fa politica, i partiti.
Vengono considerate ‘realtà para-politiche’, e sono unite tra di loro tramite una rete di relazioni. 1.541 sono le persone che ricoprono un ruolo rilevante, 65 è il numero delle fondazioni rilevate (di cui 40 nel Lazio e 12 in Lombardia). «Due le forme giuridiche principalmente in uso. Il 73,85% dei 65 pensatoi analizzati sono fondazioni, per la restante parte sono associazioni. Le attività che svolgono sono per lo più di stampo culturale, nello specifico si tratta di organizzazione di convegni e seminari e promozione di attività editoriale. La prima attività riguarda l’89% delle strutture, mentre la seconda il 60%».
Secondo Vincenzo Smaldore di Openpolis, “dal punto di vista di analisi, quello che possiamo dire è che nella misura in cui vi è una crisi del sistema politico italiano, per cui i partiti perdono il loro ruolo e parte della loro funzione a favore di altri soggetti, come i ‘think tank’, allora bisogna intendersi su quali sono i compiti all’interno del sistema politico”. Si parla di “un trasferimento di competenze tra questi due soggetti (dai partiti alle fondazioni). C’è, allora, da interrogarsi su qual è la funzione che questi ‘think tank’ assumono” continua Vincenzo Smaldore “Se si occuperanno dell’interesse generale ci sono tutti una serie di aspetti che vanno presi in considerazione. Per esempio il loro finanziamento”.
Su ‘Repubblica’ vengono definiti «giungla», e per quanto riguarda la fitta rete di relazioni, sempre secondo il dossier, i nomi più ricorrenti sono «in totale 20 le persone con incarichi di rilievo in almeno tre dei 65 pensatoi analizzati. In particolare 6 risultano presenti con legami di vario tipo in quattro diversi ‘think tank’: Angela Maria Petroni, Ernesto Realacci, Franco Bassanini, Lorenzo Ornaghi, Marta Dassù e Stefano Rodotà».
“Dalle prime ricerche possiamo affermare che i ‘think tank’ stanno svolgendo un lavoro molto importante di formazione della classe politica. Il lavoro che un tempo svolgevano i partiti ora si sta spostando in queste strutture. Lo possiamo vedere a diversi livelli: dall’ alta amministrazione fino all’ alta politica. Per esempio un economista come Pier Carlo Padoan, politicamente ha avuto le sue prime esperienze significative dentro la ‘Fondazione Italiani Europei ‘. Un altro esempio è la ‘Fondazione Open‘ di Matteo Renzi. Quando diventa Presidente del Consiglio, si pone la questione di rinnovare il CdA di Enel e ne diventa membro il Presidente della Fondazione Open (Alberto Bianchi)”. Giustamente “se si vuole portare in Italia un modello americano, lo si deve portare nella sua interezza. In America vige una trasparenza fino all’ultimo centesimo di dollaro rispetto ai finanziamenti che una personalità riceve. Vi è anche un’attività divulgativa e spiegazione rispetto a delle politiche che si vogliono attuare. C’è un atteggiamento di confronto. È importante andare a capire gli incarichi, le strutture, le persone, e quindi come si organizza il potere politico. Però prima di tutto bisognava creare un’anagrafe dei ‘think tank’ attivi”.
A questo punto abbiamo chiesto a Stefania Craxi, presidente dell’omonima Fondazione Craxi, che cosa sono i ‘Think Tank’ italiani e se veramente l’asse decisionale della politica nazionale si sta spostando proprio qui.