Contro la corruzione, il clientelismo e le malversazioni dell’apparato pubblico. Contro la politica al servizio di potentati privati locali e del crimine organizzato. Per legislazioni draconiane contro crimini violenti, in particolare contro le donne, e per risoluzioni tecnocratiche del problema demografico. Accanto a proposte più o meno realizzabili ci sono gli slogan, urlati in manifestazioni di piazza al ritmo di ‘tutti a casa’, ‘taglio della mano per i corrotti’, ‘pena di morte ai delinquenti’.
L’anti-politica non è più un fenomeno limitato alle democrazie occidentali, alle prese con la crisi di rappresentanza dei partiti di fronte al loro limitato potere di azione aggravati da corruzione e malgoverno. Una circostanza più che evidente di fronte alla crisi globale, ai crolli della finanza internazionale ed alle politiche di austerity introdotte su pressione di organizzazioni transnazionali. Il fenomeno anti-politica ha iniziato a diffondersi anche nelle democrazie del sud del mondo di più lunga data. In questo caso però, l’impotenza della politica di fronte alla mondializzazione ha ben poco a che fare con la questione, visto che al contrario parliamo di un Paese che di tale processo è stato un beneficiario. Sia il nerbo che lo sfondo della detonazione è la corruzione e l’inefficienza della politica nazionale.
A dare fuoco alle polveri è stato, ormai tre anni fa, l’attivista anti-tangenti Anna Hazare. Ex militare di carriera negli anni ’60 e ’70, Hazare è da lungo tempo un personaggio conosciuto nell’immenso hinterland agricolo indiano per le sue iniziative benefiche incentrate sul comunitarismo di villaggio. Nel 1977, concluso il suo periodo sotto le armi, Hazare tornò nel villaggio di Ralegan Siddhi -nello Stato del Maharashtra, dove aveva servito come capo del presidio militare. Questa volta però, per promuovere iniziative collettive in favore della distribuzione idrica, miglioramento igienico-sanitario, vaccinazioni, estinzione di debiti e lotta alla criminalità.
Negli anni ’80 e ‘90 questo suo ‘villaggio ideale‘, il cui modello è stato adottato da decine di villaggi nelle aree più povere del Paese, fu all’avanguardia su scala nazionale anche sul fronte dello smantellamento delle caste. Per questi suoi risultati, Hazare è stato insignito nel 1992 della Phadma Bhushan, terza più alta onoreficenza civile del Paese. Fin dalla sua esperienza comunitarista, Hazare fu però anche criticato per le sue posizioni giustizialiste in materia di crimini e comportamenti anti-sociali, come pene molto severe anche nei confronti di piccoli furti da parte di minorenni e l’introduzione nel villaggio di una rigida politica proibizionista in materia di alcoolici. Nel 1991, il focus della sua azione politica si spostò interamente sulla lotta alla corruzione, con la fondazione del BVJA (Movimento Popolare contro la corruzione).
Per anni le iniziative di Hazare sono rimaste confinate sul piano locale, sviluppando però una particolarità del tutto peculiare. Appena un caso di corruzione veniva a galla, fosse esso denunciato ufficialmente o solo da giornali o gruppi di cittadini, i militanti del BVJA stabilivano presidi di piazza ad oltranza sotto gli uffici pubblici degli accusati, fino a quando questi rinunciavano agli incarichi o venivano trasferiti dalle autorità. Un utilizzo della piazza in senso prettamente giustizialista, dato che spesso i pubblici ufficiali si dimettevano prima di qualunque condanna giudiziaria. L’elevato livello di corruzione ed impunità che caratterizza gli apparati pubblici indiani ha però dato a queste iniziative una legittimità molto diffusa: tra un sistema giudiziario che non spara affatto e lo sparare nel mucchio, gli indiani prediligono nettamente la seconda opzione.
Anna Hazare è giunto alla ribalta delle cronache estere nella primavera del 2011, quando, dopo diversi casi di corruzione che hanno colpito l’Esecutivo del Congress di M. Singh, il suo movimento ha dato inizio ad una protesta di piazza su scala nazionale. Obiettivo dell’escalation era lo stabilimento del cosiddetto Jan Lokpal Bill, una autorità decentrata specificatamente diretta a combattere il malaffare a tutti i livelli della pubblica amministrazione utilizzando anche ricompense nei confronti di chi denuncia alle autorità casi di tangenti. Ulteriore richiesta era una lotta senza quartiere contro l’evasione fiscale internazionale che vede protagonisti i gruppi industriali privati del Paese, in particolar modo l’esportazione di capitali in Svizzera.
Almeno il primo obiettivo è stato raggiunto: nel dicembre del 2011 l’organo è stato effettivamente costituito, portando ad un ridimensionamento della mobilitazione di piazza. I toni e le richieste della protesta, guidata da Hazare attraverso uno sciopero della fame, erano però molto più aggressivi ed ambigui. I collaboratori del guru chiedevano la pena capitale per i corrotti, e simili pene anche contro la criminalità comune. Particolarmente controverse sono state le posizioni espresse da Hazare stesso su ulteriori problemi della società indiana, come quelli demografici. Il guru si è dichiarato aperto sostenitore della vasectomia di massa per limitare il numero delle nascite, riportando alla memoria degli osservatori internazionali i cupi giorni dello Stato di Emergenza di Indira Gandhi nel 1977, quando la pratica fu imposta manu militari nelle campagne del Paese.
Il raggiungimento del Jan Lokpal Bill non ha però chetato la fame di giustizialismo della società indiana, anzi. La richiesta di pugno duro sembra rafforzarsi proprio nella nuova, e ancor minoritaria, piccola e media borghesia urbana che ha iniziato da poco a godere dei benefici del boom economico degli scorsi anni. La crescita del PIL al minimo, l’alta inflazione e lo scontento conseguente hanno prodotto negli ultimi mesi una clamorosa politicizzazione di successo delle istanze di Hazare proprio nel cortile di casa del centro del potere politico: New Delhi. Il 4 dicembre scorso, alle elezioni per il rinnovo del governo della municipalità, il Congress Party non solo è stato duramente sconfitto dai conservatori del BJP, ma perfino ridotto a terzo partito: seconda formazione è risultata la Aam Aadmi Party (Partito dell’Uomo Comune), guidato dall’ex Ispettore del fisco cittadino, Aarvind Kejriwal. L’ex pubblico ufficiale nel 2011 è stato il promotore della campagna di Hazare nella capitale, per poi distaccarsene quando quest’ultimo ha rifiutato di trasformare la sua iniziativa in un movimento politico. L’AAP detiene ora il 40% dei seggi nella municipalità della capitale.
Giudicare questa escalation anti-politica (peraltro ormai a sua volta politicizzatasi) in ruolo di osservatore esterno non è semplice, soprattutto in virtù delle enormi contraddizioni che caratterizzano la società indiana. In linea di massima, l’India è un Paese nel quale privilegi, concussioni e potentati politico-economici hanno accompagnato quasi tutta la storia politica del Paese post-indipendenza. Fino a tempi relativamente recenti, buona parte degli indiani ha praticato nei confronti di corruzione e clientele un atteggiamento da quieto vivere: partecipare alla spartizione della torta quando inclusiva, fuggire quando a beneficio di pochi altri. La crescita economica post-1991 ha però aumentato le aspettative della popolazione, rendendola meno supina a privilegi politicamente motivati.
Ora che il miracolo sembra aver esaurito la sua forza primaria, la restrizione delle prospettive provoca il rigetto di dinamiche in passato accettate nel nome dell’appartenenza corporativa, di casta o politica, soprattutto nelle nuove aree urbane dell’emigrazione di massa, dove i vecchi lacci comunitari ed etnici si indeboliscono in favore di una società più fluida. Il supporto dell’opinione pubblica urbana per questi movimenti è un segnale di evoluzione qualitativa della consapevolezza civica di pari passo con lo sviluppo. L’elettore indiano urbano mediamente benestante non vuole essere più trattato da cittadino di una democrazia da serie B.
Quello che insospettisce di queste campagne populiste contro la politica è innanzitutto – esattamente come in Europa – il carattere unilaterale delle accuse. Stato ed istituzioni finiscono bersagliati sistematicamente, tralasciando completamente l’altra faccia della medaglia, cioè i corruttori privati. Le pratiche di business del capitalismo privato indiano, così come di multinazionali con pochi scrupoli, non sono affatto esenti da tale logica. La sopraffazione del piccolo da parte del grande è una circostanza diffusa anche nell’economia, oltre che nelle istituzioni del Paese, ma questa seconda pagina viene sistematicamente ignorata nell’illusione del ‘tutti contro i politici’. Non a caso, se la campagna del 2011 ha avuto successo sul fronte del controllo sugli apparati pubblici, la seconda istanza -la lotta contro l’evasione fiscale- è finita completamente nell’oblio.
La seconda ombra dell’anti-politica indiana è il mescolarsi di istanze estremiste e autoritarie ad altre più comprensibili o condivisibili. La vasectomia di massa, la pena di morte per i corrotti e le adunate oceaniche sotto i pubblici uffici possono trasformarsi rapidamente in una pentola in cui gettare altri bersagli. Come la libertà di stampa, le garanzie di un equo processo, le diversità etniche e religiose, fino alle opinioni discordanti dalla maggioranza. In Europa questo pericolo viene continuamente evocato e per lo più a sproposito, essendo le nostre istituzioni democratiche ben più solide. In India, la lunga storia democratica, invece, non è una garanzia al 100% contro derive autoritarie: basti pensare allo Stato di Emergenza proclamato da Indira Gandhi nel 1975.
Benché originati da contesti e situazioni diverse, i populismi anti-politici indiani di questo secondo decennio post-2000 mostrano gli stessi gap di quelli occidentali: una violenta retorica anti-istituzionale che si illude che il male stia tutto racchiuso nei palazzi del potere politico. Una logica che tralascia sia il malcostume diffuso nella società a livelli più bassi, sia quello del secondo potere: quello economico e finanziario. Una politica indebolita sistematicamente è il miglior veicolo per il controllo da parte di altri, soprattutto di chi ha i capitali per comprarla quando viene ridotta a prezzo di saldo.