Si parla spesso di integrazione e dialogo tra culture ma con difficoltà si trovano esempi concreti. Eppure la mostra ‘Hanji – Viaggio tra i territori della carta‘ è un caso reale di come la riscoperta di un materiale antico e di una tradizione quasi dimenticata possa diventare il ponte tra due culture diverse e sconosciute l’una all’altra. I protagonisti di questo dialogo sono l’Istituto Culturale Coreano in Italia (dove ha sede la mostra, esposta dal 17 maggio) e l’Accademia di Belle Arti di Roma, nelle persone dei docenti Riccardo Ajossa e Laura Salvi, curatori di ‘Hanji Viaggio nei territori della carta‘, in cui hanno riassunto il percorso intrapreso nel 2016 in qualità di esperti della produzione della carta a mano, con metodologie orientali ed occidentali, e il conseguente approfondimento della produzione tradizionale di carta Hanji, grazie ad una serie di workshop del Maestro coreano Jang Sung Woo della cartiera Jangjibang, invitato in Italia dall’Ambasciata della Repubblica di Corea.
Tutta la carta Hanji esposta è stata realizzata interamente, in ogni sua fase, dagli studenti partecipanti ai corsi di Tecniche Grafiche Speciali e di Tecnologia della carta dell’Accademia di Belle Arti di Roma, tenuto dai due docenti, istituzione pioniera nella ricerca avanzata di integrazioni tra oriente e occidente nella manifattura della carta, applicata all’arte contemporanea come metodologia creativa autonoma o complementare alle altre tecniche artistiche: “La professoressa Salvi ed io”, ci racconta Riccardo Ajossa, “entrambi i curatori della mostra, gestiamo nell’ambito dell’Accademia di Belle Arti a Roma il primo laboratorio di produzione della carta a mano a livello accademico in tutta Italia, nato sedici anni fa. All’interno del laboratorio gli studenti sintetizzano cortecce e foglie, trasformandole in fogli di carta tradizionale, come noi li conosciamo, sia in accezione orientale, conosciuta commercialmente come “carta di riso”, sia in accezione occidentale, comunemente riconosciuta come carta di Fabriano”.
La mostra è la conseguenza della prima intuizione delle istituzioni coreane volta a divulgare la conoscenza della carta tradizionale coreana: “Attraverso alcuni contatti professionali, il nostro laboratorio è stato presentato all’Ambasciata coreana, che in questo preciso momento storico sta cercando di riportare la carta tradizionale, la carta Hanji appunto, sul mercato, a livello commerciale, nell’ambito di una intuizione, un’iniziativa legata al restauro. La carta Hanji si presta benissimo, infatti, al restauro di opere particolarmente pregiate: in Italia abbiamo un patrimonio inestimabile di opere e scritti su carta, quindi costante bisogno di carta da restauro, in grado di non danneggiare le opere originali. La carta coreana è tra le migliori e tra le meno conosciute sul mercato allo stesso tempo. Il nostro incontro nasce da una coincidenza favorevole in cui si sono incrociatii due interessi diversi ma in un certo senso analoghi: rientrando nel mercato del restauro, ci è stato richiesto di esplorare, di indagare l’aspetto più moderno della carta Hanji reinterpretato in chiave artistica contemporanea. A novembre scorso abbiamo avuto la possibilità unica, io e la mia collega, di visitare le antiche cartiere coreane, imparando a fare la carta Hanji con gli antichi nastri coreani, secondo la tradizione più pura”.
La carta Hanji presenta alcune differenze sostanziali rispetto alla carta comunemente utilizzata: “La carta Hanji viene definita in Corea la “carta dei mille anni”. Una delle particolarità è sicuramente il colore: a differenza della carta che conosciamo non è perfettamente bianca ma rimane ambrata. Nella fase di produzione iniziale si procede all’acquisizione della fibra, quindi si lavora la corteccia di questa pianta (Dak, ovvero il gelso della carta), cresciuta in Corea: in realtà non è una pianta tipicamente orientale, si trova in tutto il mondo, ma in alcune zone acquisisce delle caratteristiche specifiche dovute a ragioni di clima, piovosità, tipologia di terreno.
La parte più esterna viene pulita e liberata dalla corteccia più scura fino a rilevare un materiale più chiaro che verrà fatto bollire, senza l’utilizzo di nessun additivo chimico, né per lo sbiancamento né per la morbidezza. Questo fa un enorme differenza: la carta che utilizziamo comunemente è resa così bianca e brillante grazie all’uso di sbiancanti ottici, additivi, sostanze chimiche che fanno inevitabilmente dell’industria occidentale della carta quella tra le più inquinanti al mondo. In Corea, secondo la tradizione più antica, la carta Hanji viene sbiancata attraverso l’utilizzo della cenere, frutto delle combustioni delle potature nelle stagioni in cui viene prodotta la carta, ovvero i mesi invernali, in cui la temperatura più fredda impedisce fermentazioni ed altri fenomeni che ostacolerebbero il processo. Quindi da novembre in poi tutte le potature del periodo vengono bruciate, e da questo carbone viene prodotta una lisciva che andrà a sbiancare la carta, che ovviamente non permetterà quel bianco cangiante a cui siamo abituati, lasciando dunque il caratteristico colore ambrato, ma allo stesso tempo riconsegnerà un tipo di carta priva al suo interno di qualunque sostanza aggressiva: ecco che arriviamo dunque al motivo della “carta dei mille anni”. La sua purezza assicura che nel tempo la carta stessa non deteriorerà mai ciò che vi viene scritto o disegnato poiché non presenta elementi di disturbo interni. La particolarità di questa carta, riassumendo, sta nel fatto di essere prodotta solo con elementi naturali (corteccia, acqua, carbone, fuoco e lavoro manuale)”.
La mostra ha rappresentato un’occasione per gli insegnanti per comprendere la pratica della produzione Hanji e per condividere questa antica tradizione con gli studenti dell’Accademia, portando la storia e la manifattura della carta coreana nei programmi di formazione del Laboratorio della Carta dell’Accademia di Belle Arti di Roma, rendendo questa sperimentazione parte integrante dei programmi didattici. Grazie alla generosità dell’Ambasciata della Repubblica di Corea, l’Accademia è stata messa nelle condizioni di ricevere in dono la strumentazione originale per la manifattura Hanji, composta da vasca, telaio, ponitore e fibre, avviando un percorso di sperimentazione e di conoscenza approfondita della manifattura. Ajossa ci dice a proposito: “Nel corso della nostra esperienza in Corea del Sud abbiamo appreso ogni singolo passaggio produttivo, facendo uso dei telai tradizionali. L’incontro con l’Ambasciata è stato così positivo da farci ricevere in dono dalla Repubblica di Corea questa strumentazione tradizionale (un onore nonché un caso unico in Italia): questo ci ha permesso di consolidare la nostra abilità e soprattutto di insegnare il processo di produzione della carta Hanji ai nostri studenti. Questo è stato l’input che ci ha permesso di iniziare a lavorare alla mostra. Un altro episodio curioso di questo bellissimo scambio di interculturale è stato il dono inaspettato e dal valore inestimabile che ci è stato fatto dalla Repubblica di Corea: tenendo molto al rispetto della tradizione per la produzione della carta ai fini della mostra, l’ambasciata coreana ha fatto arrivare a Roma la fibra, le cortecce, la radice di ibisco per la creazione di una colla speciale, materiale quasi impossibile da trasportare a livello doganale. L’impegno dell’interlocutore coreano è stato invece talmente forte da permettere agli studenti di lavorare sulle opere di questa mostra facendo uso di materiale assolutamente originale”.
La mostra si presenta dunque come una collezione di opere d’arte contemporanea in cui vengono sintetizzate due metodologie creative apparentemente lontane ma che trovano nella produzione della carta il supporto ideale per aprire un dialogo ancora mai sperimentato prima: il pensiero creativo occidentale applicato alla metodologia tecnica orientale, con l’intento di produrre una sintesi poetica tra le due culture. “Molte di queste opere”, precisa Ajossa, “nascono già pensate come opere d’arte: l’ultima fase è stata proprio la produzione finale, concreta del materiale, dove questa carta è stata utilizzata come supporto di stampa fotografica (qualcosa di mai fatto). D’ altronde si tratta di una mostra unica del suo genere per diverse ragioni: è la prima volta che viene creata una esposizione partendo da un elemento naturale, addirittura da una corteccia, passando attraverso tutto il processo di produzione e arrivando all’ espressione dell’intuizione creativa dei nostri studenti. Si tratta pur sempre di arte contemporanea, le opere esposte sono assolutamente espressione libera ed originale dei ragazzi. Eppure, allo stesso tempo, il materiale attraverso cui sono state realizzate è stato prodotto nel rigido rispetto della metodologia tradizionale, con materie prime originali. Il risultato è quindi una commistione tra la tradizione orientale e la creatività occidentale, frutto di nove lunghi mesi di lavoro”. “Per un artista l’idea di riuscire a creare autonomamente il proprio supporto, qualcosa che prima non esisteva, ha un significato altissimo: se aggiunto poi all’ apprendimento della cultura e della tradizione coreana della carta Hanji, si trasforma in una esperienza unica”.
Oltre ad essere frutto di una complessa prova tecnica ed artistica, questa mostra nasce dunque da un dialogo tra “mondi” distanti, eppure non per questo incompatibili: “La relazione con la Corea è stata “semplice”, estremamente lineare, perché paradossalmente ci siamo resi conto di avere una sensibilità molto simile”, dice Ajossa, “Quello che mi ha colpito è stata la loro estrema disponibilità a condividere gli aspetti più tradizionali della loro cultura: penso ad esempio al Giappone o ad altri paesi orientali che si distinguono proprio per la chiusura nei confronti delle altre culture. Da parte nostra, l’esperienza del contatto con la Corea e i suoi abitanti è stato davvero illuminante: se ci pensiamo bene il veicolo, il tramite di questo dialogo è stata la carta, un materiale importante dal punto di vista storico e culturale, con un significato fondamentale per la modernità, mezzo di comunicazione e distribuzione di idee e sapere. Entrambi condividiamo una tradizione importantissima per la produzione della carta (Fabriano in Italia, l’Hanji appunto in Corea) e quindi veniamo da due culture che ne conoscono profondamente il valore. Ci siamo dunque ritrovati a sederci intorno ad un tavolo di trattativa rispetto alla programmazione di questa mostra parlando lingue diverse, ma con una intuizione e una sensibilità totalmente simili. Credo che questa mostra sia il frutto di una integrazione totale e proficua tra due culture così diverse ma allo stesso tempo attente allo stesso modo a quelli che secondo me sono gli aspetti più belli della vita: l’attenzione alla propria cultura, al proprio senso di appartenenza è uno di questi. La fluidità del progetto è stata tuttavia garantita da un profondo rispetto reciproco in cui nessuna delle due culture si è sovrapposta all’altra”. “L’insegnamento è stato grande non solo per noi ma soprattutto per gli studenti, che oltre ad aver fatto un’esperienza unica in termini tecnici si sono ritrovati a scoprire e vivere in prima persona una nuova cultura. Siamo certi che questo dialogo continuerà, avendo ormai portato un po’ della tradizione coreana nel cuore di Roma”.
Per chi avesse ancora dubbi sulla scelta di visitare o meno questa esposizione Ajossa aggiunge: “La particolarità di questa mostra di arte contemporanea sta nel fatto di nascere sulla base di qualcosa che ha più di duemila anni, abbiamo guardato al passato attualizzando un materiale tradizionale in chiave moderna, smentendo un po’ questa mania degli artisti contemporanei di andare alla ricerca di qualcosa di assolutamente innovativo e mai visto prima, alla caccia della “spettacolarizzazione”. Questa mostra è l’esempio concreto che nel mondo è stato ormai prodotto un bagaglio culturale talmente ampio che a volte basta guardarsi indietro e rinnovare quel che già esiste. La nostra ricerca, in fondo, parte proprio dal principio di ridare valore a ciò che in parte diamo per scontato o troppo lontano”.
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