Hamas ha approvato un documento con cui modifica -per la prima volta nella sua storia- il proprio programma e accetta la creazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967. L’informazione è stata diffusa ieri in tarda serata da ‘Al-Jazeera‘. La stessa fonte precisa che nel documento approvato dall’organizzazione palestinese, al potere nella Striscia di Gaza, non c’è il riconoscimento dello Stato di Israele, come chiedeva la comunità internazionale. Nel documento si sostiene che Hamas potrebbe continuare «a combattere i sionisti» che hanno occupato la Palestina, ma «il movimento rispetta gli ebrei e non ha problemi con loro o con le altre religioni».
«Hamas sostiene la liberazione di tutta la Palestina, ma è pronta a sostenere lo Stato palestinese nei confini del 1967, senza riconoscere lo Stato di Israele o cedere diritti», ha detto il leader dell’organizzazione, Khaled Meshaal. Meshaal si riferisce ai confini palestinesi prima della Guerra dei Sei Giorni, che diede a Israele il controllo della Striscia di Gaza, conquistata all’Egitto, e di Cisgiordania e Gerusalemme Est. Nel 2005, il Premier israeliano Sharon aveva deciso una sorta di ‘passo indietro’ ritirando truppe e coloni da Gaza e consegnandola di fatto ad Hamas, che ancora la controlla.
Israele ha immediatamente rigettato la dichiarazione di Hamas: il documento «è solo fumo negli occhi», ha commentato l’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Secondo il Governo israeliano l’organizzazione palestinese continua a perseguire l’obiettivo della distruzione di Israele.
Nel documento, un supplemento che modifica ma non sostituisce la Carta del 1988, Hamas ritiene la «creazione di uno Stato palestinese interamente sovrano e indipendente nelle frontiere del 4 giugno 1967 con Gerusalemme capitale» come «una formula di consenso nazionale».
Secondo gli esperti l’iniziativa è un tentativo dell’organizzazione -considerata come terroristica da Israele, Stati Uniti ed Unione Europea- di rompere il proprio isolamento internazionale e rientrare nel gioco negoziale. Il documento -inviato anche a numerose capitali straniere che attualmente non hanno alcun rapporto con Hamas- è stato reso pubblico in anticipo sui tempi previsti e a 48 ore dal primo incontro fra il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e l’omologo palestinese Abu Mazen.
La mossa sembra dettata anche dalla necessità di ricompattare il fronte palestinese, ora molto diviso, di fronte ad un nuovo corso delle relazioni internazionali, che vedono l’Amministrazione americana ancora più vicina a Israele che nel passato. Ugualmente la mossa potrebbe far scattare gli aiuti della comunità internazionale per la ricostruzione di Gaza, area in cui Hamas trova la maggior parte dei suoi sostenitori ma dove le condizioni di vita sono particolarmente dure.
È proprio una lotta per la credibilità diplomatica quella che ha spinto il Presidente dell’Autorità Palestinese a tagliare le forniture di energia elettrica nella striscia di Gaza sostanzialmente nelle mani di Hamas, smettendo di pagare la quota dovuta a Israele, il principale fornitore. In vista della visita di Trump, Mahmoud Abbas intende dimostrare di avere il controllo del fronte palestinese compatto, e di mettere all’angolo Hamas, considerata dagli Stati Uniti come un’organizzazione terroristica. La mossa potrebbe finalmente permettere ai palestinesi di mostrarsi come partner affidabili in caso di negoziato.
L’Autorità Palestinese ha recentemente ridotto di un terzo i salari di 60.000 dipendenti nella Striscia di Gaza, e già peggiorato la crisi energetica eliminando uno sgravo fiscale che aveva permesso, fino al mese scorso, il funzionamento dell’unica centrale a diesel presente nella provincia. «Se non verrà risolta velocemente, la crisi energetica potrebbe spingere Gaza in una pericolosa spirale», ha avvertito Robert Piper, ufficiale dell’ONU.