mercoledì, 22 Marzo
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Guerra russo-ucraina e apparenti giravolte dell’opinione pubblica italiana

Ricordo di essere stato interpellato anni fa da un Ministro dell’Interno, anzi, una ministra, che mi mostrò la serie storica dei dati riguardanti la criminalità. La prima curva scendeva e riguardava i dati reali dell’evoluzione della criminalità. Tecnologia, capacità di contrasto, collaborazione internazionale e altri fattori determinavano (in quasi tutto il mondo) quella significativa tendenza.
La seconda curva era di carattere demoscopico e segnalava la percezione -in particolare degli italiani- dell’andamento della criminalità. Saliva in modo costante. Ero interpellato per vedere se una ‘risposta comunicativa di tipo istituzionale’ avrebbe potuto mitigare lo scostamento.
Il rapporto che ne seguì chiarì molte cose. Tra cui la responsabilità delle stesse ‘forze di contrasto’ (nel caso la Polizia di Stato) di fornire ai media -in sé si dovrebbe dire legittimamente e in modo trasparente, ma con finalità ‘complesse’, cioè anche per sostenere con il consenso dell’opinione pubblica le proprie necessità di bilancio- molte più informazioni sui fatti criminosi di una volta. Così contribuendo all’incremento della percezione. Ma, in buona sostanza, il problema non era di ‘punire’ l’azione comunicativa delle Forze dell’ordine, ma di agevolare e implementare l’informazione di sistema, tesa a spiegare il processo della legalità nella sua vera articolazione.
Ricordo questo dato (da manuale) su cui al tempo l’allora presidente della Camera Luciano Violante fece, con ampie finalità, un quadro di audizioni, per introdurre il tema del rapporto tra questa guerra scatenata dalla Russia in Ucraina rispetto all’andamento percettivo in particolare nel nostro Paese.

FATTI E PERCEZIONI
– – – Da un lato agisce la forza di pressione cognitiva dei fatti (la realtà selezionata e mediata dagli organi di informazione) e dai dati demoscopici (costante prelievo su campioni di popolazione in ordine alla percezione dei fatti stessi e ad opinioni sulle questioni in discussione).
– – – Dall’altro lato si pone il tema delicatissimo in democrazia di dover decidere su cose spesso drammatiche, tenendo conto di elementi non tutti alla luce del sole e comunque in un quadro di responsabilità che riguardano rapporti di Stato, urgenze su andamenti aggravanti e pericolosi, doveri di preservare interessi generali nazionali, eccetera.

Insomma, la ‘democrazia trasparentea volte contro lademocrazia decidente‘. Detto altrimenti il rapporto tra l’informazione e la democrazia subisce nei momenti più critici contrazioni e violenze.
È materia per approfondimenti di etica pubblica e di filosofia della politica su cui però, nei momenti gravi e tumultuosi delle vicende, si finisce per sorvolare. Restando così l’impietoso quadro di dati spesso contraddittori, a loro volta fonte di verità e di distorsioni ben mescolate.
Veniamo in concreto ad alcuni episodi di questa guerra che attraversa anche la demoscopia, per mettere in rilievo ‘temi interessanti’ e ‘temi inquietanti’.
L’ultimo dato demoscopico -di una lunga serie- fornito il 29 aprile nel programma de ‘La7’ ‘Piazzapulita‘, proviene da un’indagine di Proger Index Reserach, che sta aprendo varie conseguenze nelle discussioni: il 43,6% degli interpellati ha dichiarato contrarietà all’invio di armi italiane agli ucraini, il 36,5% ha espresso parere favorevole, il 19,9% si è astenuto o non ha risposto.
Siamo nei giorni in cui circola la dichiarazione russa sull’imminente ‘guerra totale’ all’Ucraina che sulla popolazione russa produce ancora una maggioranza influenzata dai media di Stato più che preoccupante. Secondo l’istituto russo accreditato di ‘indipendenza’ Levada Center, il 57% dei russi riconosce i morti in Ucraina ma ne incolpa gli USA e la NATO, il 17% ritiene che sia colpa degli ucraini e solo il 7% pensa che sia colpa dei russi (tanto per parlare dell’influenzabilità della demoscopia).
La stessa rete tv, ‘La7’, in avvio della guerra, aveva raccontato -con altri sondaggi (in questo caso Ipsos)- che esattamente il 53% giudicavatroppo debolela posizione ufficiale dell’Italia a fronte del fatto che in quel momento il 79% degli italiani considerava ‘inaccettabile’ l’attacco della Russia.
Si aggiunga che l’ondeggiamento dell’opinione pubblica è maturato nella fase in cui è salita la percezione del rischio di escalation nucleare della guerra. Areastudi Legacoop e Ipsos ai primi di marzo indicavano l’idea che stava invadendo l’opinione pubblica (83%) circa l’instaurarsi di una nuovaguerra freddacon minacce atomiche.
Verso aprile Ipsos segnalava il cambio di passo: il 13 aprile solo il 25% approvava la fornitura d’armi italiana agli ucraini e il 62% si dichiarava favorevole al dialogo con Putin.
Al tempo stesso gli italiani apparivano nei sondaggi divisi sul rapporto con la NATO: il 44% filo-NATO, il 39% riteneva al contrario l’Italia troppo filo-NATO e condizionata dagli americani. Così che il 27 aprile Ipsos segnalava la stessa spaccatura attorno al tema che pareva al momento cruciale nei negoziati: il 47% dava per perso il Donbass invitando a dialogare con la Russia; il 45% non dava per perso il Donbass e sperava che gli ucraini combattessero ancora per l’integrità del Paese.

UNA LETTURA PIÙ SOTTILE
A metà aprile (esattamente il 18, su ‘Repubblica‘) Ilvo Diamanti -partendo da dati di ricerca Demos- introduceva però un’idea più sottile sulla crisi interpretativa degli italiani.
La maggioranza sarebbe «diffidente un po’ su tutto, ma soprattutto sicura di essere insicura». Insomma, un segnale di confusione percettiva sommata alla linea di continuità di un fattore ‘paura di fondo’ che ha caratterizzato l’innesto della vicenda di guerra rispetto alla lunga tensione della pandemia. Il 70% è «informato degli avvenimenti», ma va oltre al 50% la posizione di chi «ritiene l’informazione sul conflitto distorta e pilotata».
L’
eccesso difaziositànelle argomentazioni viene dichiarato dal 25%. Politicamente parlando la spinta alla diffidenza verrebbe soprattutto da cittadini con tendenza elettorale a destra, mentre «gli elettori del PD affermano in gran parte di credere alla rappresentazione della guerra proposta dai media». Ecco, alla fine, la percezione di sintesi sulla «sicurezza di essere insicuri». Sentimento che riguarda l’informazione, ma naturalmente anche in generale il rischio si subire di più l’estensione degli avvenimenti. È chiaro che rispetto al tema qui sollevato si deve sempre tener conto di una certa aleatorietà di dati percettivi che hanno dipendenze dalle circostanze informative e dalla forma del quesito, dunque con possibili ulteriori saliscendi.
Ma è soprattutto sulla crescente ambiguità dell’evoluzione del paradigma ‘
destra/sinistra’ che va a impattare questo dato che cade in un tempo ormai segnato dalle elezioni politiche.


Infatti, per tornare al rapporto tra il dato percettivo sul timore di evoluzione nucleare e il dato indicativo di contrarietà alla fornitura d’armi, in cui il fatto delle intese tra i Paesi membri della UE -che è il punto di forza maggiore della posizione di ciascun Paese dell’Europa occidentale- non viene nemmeno preso in considerazione, si è andata profilando in questi giorni una evidente contraddizione. Quella tra il quadro di governo impegnato a seguire una linea di intese ‘euro-occidentali’ e un quadro mobile dell’opinione pubblica che di improvviso appare come un bottino elettorale. Cioè il terreno su cui potrebbe evolvere il combattimento sia di partiti di destra che di sinistra (cioè quelli più critici con il governo di emergenza) per migliorare le proprie posizioni elettorali in vista della scadenza del 2023. Già nei talk-show si parla con insistenza di un «popolo senza attuale rappresentanza politica» facendo balenare chissà quali giravolte.
Insomma, il circolo si chiuderebbe non con l’annotazione di un dato in sé comprensibile di smarrimento dell’opinione pubblica, anzi, come un segnale di un sentimento civile magari ondivago ma da tenere in considerazione. Ma come un terreno di stravolgimento ulteriore del quadro politico interno. Anche in rapporto all’estrema necessità di coesione, nell’anno che resta cruciale per la lotta alla pandemia e per il nostro posizionamento in Europa in ordine ai piani di risanamento.
Quanto al giornalismo più serio, nessun bando alla demoscopia. Ma con due regole da tenere opportunamente in vista. La prima è quella di dare pari rilievo (ove possibile) al dato statistico, cioè il dato di realtà, che spesso è una risposta concreta al dato percettivo. La seconda è quella di non santificare la demoscopia, ovvero di non riferirla inginocchiati, ogni volta come una ‘verità’ assoluta. Essa, infatti, è ‘vera’ (se fatta con crismi scientifici), ma richiede attenta contestualizzazione e capacità di porre interrogativi e far riflettere.

Stefano Rolando
Stefano Rolando
Stefano Rolando, 1948, laureato a Milano in Scienze Politiche, è docente, manager, comunicatore. Dopo esperienze di management in aziende (Rai e Olivetti) e istituzioni (Presidenza Consiglio dei Ministri e Consiglio Regionale della Lombardia), è stato dal 2001 al 2018 professore di ruolo (Economia e gestione delle imprese) alla facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università IULM di Milano, dove continua gli insegnamenti in materia di comunicazione pubblica e politica e l'attività di ricerca applicata Dal 2005 al 2010 è stato segretario generale della Fondazione di ricerca dell'ateneo. È stato anche segretario generale della Conferenza dei presidenti delle assemblee regionali italiane e rappresentante italiano nel comitato scientifico Unesco-Bresce. Dal 2008 è presidente (Melfi-Roma) della Fondazione “Francesco Saverio Nitti” (www.fondazionefsnitti.it). Dal 2021 è anche presidente (Milano) della Fondazione “Paolo Grassi – La voce della cultura” (www.fondazionepaolograssimilano.org/). Attività e pubblicazioni www.stefanorolando.it
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